Celentano, il predicatore dell’incoerenza
Battuta telefonata, ma inevitabile: la situazione di Sorella Terra non è buona, ma quella della coerenza dei predicatori se la passa ancora peggio. Del resto, il manifesto perfetto, più che una metafora, di quello che è successo lunedì sera su Raiuno è la dichiarazione del direttore generale della Rai Claudio Cappon: «Celentano ha fatto una performance alla Celentano: autonoma, originale e leader». Piccolo particolare: Cappon ha ammesso di non aver visto la trasmissione, «lunedì sera avevo una cena di famiglia». Fra l’altro, l’esempio del massimo dirigente Rai pare essere stato seguito anche da moltissimi italiani. I televisori accesi su Raiuno nell’ora e mezzo di trasmissione sono stati 32,29 su cento, contro il 46 per cento di Rockpolitik. Tutti a cena, come Cappon?
Il resto, viene di conseguenza. Certo, è difficile scrivere un articolo sulla coerenza televisiva di Celentano su un giornale con un direttore come Mario Giordano che al tema ha dedicato un capitolo del suo libro Senti chi parla.
Dite che scrivere di un libro del proprio direttore è pubblicità e che non sta bene far pubblicità quando si parla di Celentano, che parla – per definizione – solo di massimi sistemi ed è uno dei più strenui censori di un mondo fatto solo di business? Obiezione accolta. Mi arrendo. Del resto, l’ha fatto lo stesso Celentano che, per fugare i dubbi dei malevoli che ipotizzavano come la trasmissione potesse trasformarsi in uno spottone gratuito (anzi, pagato dalla Rai) per il suo ultimo disco, ha titolato il programma La situazione di mia sorella non è buona. In modo che nessuno potesse equivocare, pensando a un riferimento subliminale al disco Dormi amore, la situazione non è buona. Che, come ha spiegato il super-efficiente staff della comunicazione del Molleggiato, è primo in classifica, ma lo era anche prima della trasmissione.
Così come è solo un caso che, nei titoli di coda, prima ancora di sapere che avevano partecipato al programma «Gianni Bella, Laura Chiatti, Carmen Consoli…», ci fosse la segnalazione chiarissima che «gli abiti di Adriano Celentano sono di Giorgio Armani». Segnalazione che sarebbe stata perfetta anche per arricchire l’intervista con Milena Gabanelli, che non risparmia mai nulla al mondo della moda.
Ma ci sono anche settori in cui Celentano è assolutamente coerente. Ad esempio, l’attacco agli architetti-kamikaze è la logica conseguenza di Deus, canzone di ventisei anni fa, in cui Adriano scriveva «e gli architetti son dei cani che concepiscono mostruosità». Coerente anche la conclusione: polemiche e querele degli architetti. Tranne, probabilmente, quelli che hanno progettato la villa di Galbiate.
Per non parlare del rapporto di Adriano con gli accenti: l’altra sera ha discettato del passaggio da ultrà ad ultra; nel suo memorabile Fantastico scrisse sulla lavagna «La caccia e contro l’amore», senza accento. Insomma, siamo alla rivoluzione copernicana. A partire dagli accenti, Celentano è cambiato dentro, proprio come vorrebbe che facesse Berlusconi. Coerentemente.
28/11/2007 – Il Giornale