La scatola magica di Adriano
CELENTANO TORNA CON UN COFANETTO SPECIALE: 65 BRANI, TRE INEDITI. “NON HO UN BRUTTO CARATTERE, DIFENDO LE MIE IDEE”
di Malcom Pagani
Se in una missiva mistica e selvaggia, Alda Merini lo paragona a un San Francesco in grado di evangelizzare anche il “peggiore dei mostri”, della sua maschera in pellegrinaggio costante (smorfie, sfide, rughe, ginocchia flesse, provocazioni) Adriano Celentano non si è stancato. L’ha portata in giro per più di mezzo secolo: “Ho avuto modo di conoscere il mondo e l’impressione non è stata buona” e oggi la offre (in vendita, ma non in svendita) srotolando il campionario delle illusioni e delle profezie in una scatola magica che non ha timore del cromatismo kitsch (pantere nere, sfondi fucsia) né della sintesi forzata legata alla delimitazione di un repertorio sterminato. Le canzoni da oggi nei negozi di dischi sono quindi sessantacinque, gli inediti tre, i cd quattro e 68 le pagine del bel libretto allegato all’ultima fatica “…Adriano” colmo di foto natalizie di famiglia, docce rubate in una campagna indefinita, partite di tennis a piedi scalzi, baci privati, copertine di vinili del 1970 denunciate per offesa al comune senso del pudore, vignette in inglese, ricordi assortiti.
BRANI D’EPOCA e tributo alla memoria raccontano soprattutto l’Adriano cartografo, l’esploratore a caccia di una rotta utile a non smarrirsi, il costruttore di ipotesi e rime che consentano di sopravvivere ai distruttori di professione. Quando gli chiedi se “…Adriano” rappresenti una summa in versi di “celentanismo” spiccio o al contrario, la sua personale enciclopedia per orientarsi nel presente, Adriano non si nega: “Non si tratta di enciclopedie personali o di tributi, ne sono refrattario da sempre ma il desiderio di tentare, a volte anche con la violenza dialettica e effetti musicali, di lottare contro questi ‘distruttori di professione’ come lei così efficacemente li ha chiamati. Distruttori di umanità. In quasi tutte le mie canzoni è presente il mio spirito irregolare per tentare di mettere in luce le troppe ingiustizie, gli orripilanti disastri ecologici e morali, la sempre più dilagante corruzione anche se, come vede, con scarsi risultati”.
Gli domandi degli albori, della genesi del fenomeno Adriano, della prima volta che con un foglio bianco di fronte iniziò a far correre le parole. E lui si lancia nell’aneddoto, pur sospettando che la storia sia arcinota: “L’inizio fu ascoltando un 45 giri di Bill Haley, l’orologio matto. In quel periodo facevo l’orologiaio (era destino), dopo aver fatto l’idraulico, l’arrotino, il meccanico e l’elettricista. Come vede tutti mestieri diversissimi tra loro e già questo era un segnale di una certa stranezza. Quel disco fu per me come un risveglio! Lo imparai a memoria e iniziai a cantarlo in alcuni locali come il Santa Tecla di Milano. Capii che facevo successo dalle ragazze che da quel momento mi cercavano per ballare con me. Questo fu l’inizio”. Paolo Conte sosteneva che con la sua voce non gli sarebbe stato difficile interpretare (restituendo anima all’impersonale) persino l’elenco del telefono. Adriano non l’ha dimenticato: “Non posso che essere contento di ciò che afferma Paolo Conte, per un interprete è un grande complimento ‘restituire un’anima all’elenco del telefono'”.
ADRIANO CELENTANO, a quasi 76 anni, pensa ancora che desideri, treni, casi della vita e descrizione sommarie vadano sempre lette al contrario. Così provare a virare curiosi sul suo carattere o sull’approccio leggendariamente complicato e gelosamente protetto alla nebulosa chiamata universo di Adriano, invece di irritarlo, è esercizio che lo diverte: “‘Eppure son simpatico…’ canto in una mia canzone. Non credo di avere un brutto carattere. È la prima volta che lo sento. Forse si confonde il brutto carattere con chi ha le idee abbastanza chiare e le difende”.
Sull’ardua interpretazione di una poetica refrattaria al compromesso si è scritto molto e detto altrettanto. Quando Celentano dice “idea”, all’improvviso, ti viene in mente ogni singola battaglia. Ogni silenzio. Ogni frontiera. Ogni errore. Ogni intuizione. Di ieri e di oggi. Le volte in cui trovava torme di gente
pronta al plauso. E tutte le altre in cui pur dissentendo, l’Italia si fermava ad ascoltarlo. Sempre un plebiscito. Con o senza l’accento. Al cinema, sul palco, in una villa brianzola nascosta alla vista o in televisione. L’ecologia, il cemento, la violenza, la guerra, il lavoro, il cibo alterato. Qualcuno diceva che la coerenza è la virtù degli imbecilli. Ma un’antica coerenza, Celentano l’ha sempre custodita: “Credo di essere stato abbastanza “imbecille” se questo significa essere coerenti e lo ritengo un pregio. Chi afferma il contrario ha una grave carenza di imbecillità”. Tutto chiaro. Tutto criptico. Tutto in stile Celentano.
19/11/2013 – Il Fatto Quotidiano