Serafino: un film amatriciano. Testimonianza di Giacomo Perilli
a cura di Francesco Aniballi
Siamo sul finire degli anni ’60. Ad Amatrice, in provincia di Rieti, arrivano tre uomini. Visitano il paese, scattano fotografie e poi si dirigono in un hotel – ristorante all’inizio del borgo montano. Si siedono nella sala del ristorante e, tra una portata e l’altra, chiedono informazioni sul posto e su possibili location cinematografiche per girare un film. Nella sala li accoglie Giacomo Perilli, all’epoca proprietario assieme ai fratelli del ristorante “La Conca”. «Erano persone molto distinte con le quali mi intrattenni per diverso tempo – spiega Perilli in un’intervista rilasciata alla nostra rivista – li ascoltai con piacere ed attenzione. Durante la chiacchierata mi confessarono che era loro intenzione girare un film sulla vita dei pastori ma cercavano borghi nei quali i muri fossero ancora a pietra ed i tetti coperti dalle caratteristiche schiazze». In quella occasione Giacomo fornisce delle indicazioni precise e puntuali spiegando che borghi con le caratteristiche richieste, oltre ad Amatrice, sarebbe stato possibile trovarli al confine tra Marche ed Umbria e Spelonga, Capodacqua, Borgo d’Arquata, Colle potevano fare al caso loro. L’intenzione di base della produzione era trovare un luogo che avesse come sfondo il Monte Vettore: scenografia ideale per un film del genere. I tre uomini finiscono di mangiare, ringraziano Giacomo e gli danno appuntamento di lì a qualche giorno. In primis l’incredulità la fa da padrona nella famiglia Perilli ma quando i tre uomini varcano nuovamente la soglia dell’albergo la diffidenza si trasforma in stupore. Infatti, oltre ai tre uomini, giunge ad Amatrice il regista Pietro Germi il quale svelò a Giacomo un segreto celato: Adriano Celentano sarà il protagonista del film sulla vita dei pastori e soggiornerà nell’hotel assieme alla famiglia ed agli inseparabili amici. Dopo un ulteriore sopralluogo della produzione, con al seguito il Maestro Germi, giunse il placet definitivo: Amatrice sarà set di alcune scene e base logistica del film Serafino.
La data prevista per l’arrivo del “molleggiato” sotto i Monti della Laga era stata prevista per il 2 maggio 1968 ma, purtroppo, a causa di un imprevisto, l’arrivo fu posticipato al giorno seguente. «Ricordo bene l’emozione che provai quel giorno – racconta Giacomo Perilli con un grande sorriso sulle labbra – è stata ed è ancora indescrivibile». Assieme a Celentano arrivarono la moglie Claudia Mori, la madre di Celentano la signora Giuditta, la madre di Claudia Mori, i figli, il padre spirituale Padre Ugolino, il paroliere Luciano Beretta, il cantante Lorenzo Pilat in arte Pilade, il nipote di Celentano Gino Santercole e tanti altri amici del famoso “Clan Celentano”. Ma anche altri importanti attori arrivarono ad Amatrice; tra di essi Saro Urzì, al secolo Rosario Urzì, che nel film interpreta l’avido Zio Agenore padre della bella Lidia (impersonata da una splendida Ottavia Piccolo) della quale si invaghisce Serafino. Ma oltre ai personaggi maschili ad Amatrice arrivarono anche affascinanti attrici del periodo come Ottavia Piccolo e Francesca Romana Coluzzi che, oltre ad essere una brava attrice, era anche un’abile pittrice. Lasciò in ricordo alla famiglia Perilli un disegno di Celentano a carboncino in abiti di scena. Purtroppo questi meravigliosi ricordi sono andati perduti a causa del sisma del 24 agosto 2016.
Ad Amatrice le giornate del famoso ospite erano scandite dai tempi di lavoro cinematografici. La mattina Celentano si recava a Borgo d’Arquata per girare tutte le scene ambientate in montagna e quelle della vita quotidiana nel paese. Al calar della sera tornava ad Amatrice ma ogni volta ad attenderlo c’erano numerosi ammiratori provenienti da Roma, Ascoli, L’Aquila. «Ogni sera, al rientro dal set, si creava un gran parapiglia – sottolinea Perilli – perché, complice la bella stagione, frotte di fans si accalcavano di fronte al nostro albergo. Chiedevano tutti un autografo. Spesso capitava che ero direttamente io a consegnare le immagini alle persone in attesa».
Concluse le riprese in terra marchigiana le macchine da presa furono posate sul suolo amatriciano. Il complesso dell’Opera Don Minozzi divenne una caserma per soldati di leva. Infatti, all’inizio del film, il pastore Fiorin Serafino viene chiamato alle armi. Due carabinieri lo vanno a prelevare negli stazzi montani per portarlo forzosamente in caserma: era renitente alla leva da tre anni. Per le comparse dei fanti il regista Germi scelse quasi tutti ragazzi del posto eccitati dall’idea di poter recitare in un film. Molti di loro ancora ricordano con emozione e trasporto quella esperienza a contatto con Celentano e Gino Santercole, che nella pellicola interpretava il ruolo del sergente. Il centro del paese di Amatrice, invece, fu utilizzato come set per le scene “istituzionali”. Infatti, nella parte centrale del film, i parenti di Serafino capeggiati dallo zio Agenore (Saro Urzì) si recano nel capoluogo per una udienza in tribunale. L’avido Agenore, infatti, era riuscito a far interdire Serafino, poiché, a suo dire, stava dilapidando l’eredità lasciatagli dalla zia Gesuina. Il motivo, in realtà, era un altro. Lo zio Agenore voleva tenere tutto per sé il patrimonio ma le cose andranno diversamente. Amatrice e la sua gente, invece, diventano protagonisti durante le scene prematrimoniali delle nozze tra Serafino e Lidia, la figlia di Agenore. Nel capoluogo vengono acquistati il vestito da sposo, realizzato su misura dal sarto del paese, e le fedi in una nota gioielleria amatriciana realmente esistita. Viene fuori uno spaccato ben chiaro delle abili competenze artigianali amatriciane di un tempo; in brevi frame vengono descritti il lavoro del sarto e dell’orefice.
Tra una ripresa e l’altra Celentano divenne il beniamino degli amatriciani: si era integrato completamente all’interno della comunità. La domenica andava a messa nella cattedrale di San Francesco e, durante la funzione, suonava l’organo e cantava nel coro. Grazie all’amicizia che si era man mano consolidata con Giacomo Perilli, il molleggiato ebbe la possibilità di scoprire le bellezze della conca amatriciana e la proverbiale ospitalità dei “matriciani”. «Condussi Celentano fino alla frazione di Sommati – conclude Giacomo – perché era affascinato dal ballo tipico delle nostre zone: il saltarello. Volle anche ballarlo ed ebbe la possibilità di farlo in coppia con una robusta signora del paese. Era diventato un vero amatriciano».
09/06/2017 – Didattica Luce in Sabina (didatticaluceinsabina.com)