E se «Adrian» fosse come l’ultimo Picasso?
di Luca Beatrice
Aveva 86 anni Picasso quando mise mano alla Suite 347, monumentale opera grafica che ha diviso i pareri della critica, tra chi lo considera l’ultimo capolavoro e chi, proprio a causa della tarda età, gli rimprovera l’eccesso di autocompiacimento nonché l’insistere sul sesso in modo torbido e voyeuristico. Ma questo è, in genere, lo sguardo del maschio vecchio, che si nutre come un vampiro di sangue giovane e ruba alla bellezza femminile gli ultimi capitoli di una lunga vita.
Discorso analogo si può fare per Adriano Celentano, che sulla propria fisicità ha fatto leva per alimentare la musica fin da quando si faceva chiamare il Molleggiato. Oggi, che ha passato la boa degli 80 anni, è costretto a guardarsi indietro ma, a differenza di tanti altri, il suo problema non è ripercorrere le tappe principali di una carriera unica, tra un live in mezzo playback e le solite ospitate in tv, bensì continuare a rischiare, tanto lui la differenza tra un capolavoro e un fiasco non l’ha ancora capita e comunque non gli frega.
Da una settimana non si parla che di Adrian, ovvero dell’ennesimo ritorno di Celentano sul piccolo schermo. Quando arriva, per quanti minuti, cosa dirà, silenzio o sermone da predicatore sono alcuni tra i quesiti che hanno anticipato il debutto del cartoon lunedì e martedì in prima serata su Canale 5 e (al momento) introvabile in streaming sulla piattaforma Mediaset. Tecnicamente si tratta di un pastiche tra i generi, dalla fantascienza al fumetto erotico, il cui punto di forza sta nei bellissimi disegni di Milo Manara mentre una certa debolezza si evince dai testi (cui collaborò Vincenzo Cerami) e dalla sceneggiatura. Non ci fosse stato il marchio Celentano (che poi significa in gran parte Claudia Mori) l’attenzione non sarebbe stata certo così spasmodica né il dibattito, che si trascina da giorni, altrettanto insistito. Quello dell’animazione, peraltro, è linguaggio che ha spesso attratto il cantante, fin dai tempi di Yuppi Du, un film molto bello che regge l’impatto col tempo. Senza contare che Celentano, col suo incedere scimmiesco e tutto istinto, fu l’involontario ispiratore di Lando, fumettaccio erotico nell’Italia degli anni ’70. La voglia di tornarci su, di rivedersi giovane e bello, assume in Adrian i tratti di un lavoro sulla memoria. Tesi forse ardita da sostenere, sono convinto che qui non sia sufficiente uno sguardo veloce: opera postmoderna, stratificata, a tratti noiosa, banale nella trama, Adrian ha il gran pregio dei diversi livelli di lettura. E chissenefrega se non piace, se la critica lo stronca, se gli opinionisti rincarano la dose sul solito trito discorso: Celentano ci è o ci fa?
Va precisato che nei suoi confronti nutro una specie di fideismo: tutto ciò che ha fatto mi è sempre piaciuto e dunque gli ho perdonato tutto, persino Joan Lui o pessimi dischi come I miei americani. Ha portato il rock and roll in Italia, ha scritto e interpretato canzoni meravigliose, mi ha fatto ridere al cinema e ha inaugurato la moda dei solo show in tv. Direi che può bastare, trovatene un altro se ci riuscite…
27/01/2019 – Il Giornale