Memorie da Molleggiato: «Così scampai alle bombe»
La vita e gli aneddoti nel racconto del nipote Celentano. Pasolini voleva fare un film sulla via Gluck.
MILANO — E se quel giorno fosse andato a scuola, rimanendo come qualche suo compagno, sotto le macerie della scuola bombardata? E se negli ultimi anni 60 Pierpaolo Pasolini fosse riuscito a trasformare «Il ragazzo della via Gluck?» in un film? E se vent’anni dopo, certi malintesi non avessero bloccato un disco epocale a tre voci con Lucio Battisti e Mina? Adriano Celentano pensa spesso e ovviamente con sentimenti diversi a queste tre schegge di vita capitategli in periodi molto diversi. La prima è stata un colossale colpo di fortuna, con lui alle elementari che simula la febbre per non aver fatto i compiti: un raid aereo anglo-americano seminerà lutti e distruzione anche nella sua aula. Le altre due restano invece occasioni mancate che continuano a pesargli nel cuore. Non si sa se più quel progetto cinematografico tanto voluto (ma invano) dal regista-scrittore o la possibilità di unirsi, pure per un solo disco, ai due cantanti dai lui massimamente apprezzati.
Ecco un Celentano anche inedito: prima bambino discolo, poi showman acclamato, anticonformista furbo, guru imprevedibile, interprete di mezzo secolo di costume italiano. Per l’occasione raccontato da uno di famiglia, il nipote Bruno Perini, 59 anni, giornalista, che per Mondadori ha firmato, facendo il verso a Marguerite Yourcenar, «Memorie di zio Adriano». La biografia, in anteprima al Corriere della Sera, ancora prima di uscire ha suscitato distaccate reazioni preventive da parte del celebre zio («Io non ho autorizzato nessun libro, ci mancherebbe… ») e soprattutto dalla zia Claudia Mori, che guarda caso risulta pure lei al lavoro su una (presumibilmente autorizzata) «Celentano Story». Quando nasce Adriano? Come quinto (e non particolarmente desiderato) figlio del venditore ambulante Leontino e della sarta a domicilio Giuditta, vede la luce il 6 gennaio 1938 a Milano in via Gluck. Come personaggio-fenomeno che cambierà radicalmente il modo di fare musica, televisione e comunicazione, nasce invece nell’estate del 1959 quando la radio e i primi juke box lanciano una canzone che agita gli adolescenti e preoccupa i genitori: «Il tuo bacio è come un rock». Quel ritmo indiavolato, quella scarica di pura adrenalina in jeans sintetizza bene la potente energia d’un Paese che dalla rifondazione si affaccia sul boom economico.
«E pensare che almeno fino alla tarda adolescenza—ricorda il nipote-autore (figlio di Maria, unica sorella viva di Adriano) — lo zio è stato l’unico in famiglia a rifiutarsi di cantare». Ma poi è arrivato il rock e niente è stato più come prima. Lui che timido non è mai stato, visto che da ragazzino metteva in fuga i fidanzati sgraditi delle sorelle tirandosi giù le mutande, a quel punto si è scatenato. Prima le imitazioni di Jerry Lewis, poi da aspirante orologiaio a urlante interprete di «L’orologio matto», versione nostrana del classico «Rock around the clock». Al punto da rimediare un invito (taroccato) in Germania per sostituire nientemeno che Elvis Presley. Al posto del divino Elvis, Adriano e il suo sconosciuto gruppo: Giorgio Gaber alla chitarra, Enzo Jannacci al piano, Luigi Tenco al sax. Il libro sorvola giustamente sulla sua galleria di successi, stranoti e stratrasmessi da decenni per battere strade più personali. Quella religiosa per esempio: radicata fin dall’inizio, coltivata in tanti incontri al Centro San Fedele, dei Gesuiti, tradizionale appuntamento di dibattito ad alto livello e culminata nel commosso incontro in Vaticano con Papa Wojtyla.
Poi c’è la questione politica che non ha risparmiato colpi di scena. A partire dai roventi anni 70 quando canta a Sanremo la reazionaria «Chi non lavora non fa l’amore» dopo aver preso distanza da capelloni e generazione beat. Quindi svolta progressista con la sensibilizzazione sui problemi economici cadenzata dalla originale «Svalutation» e la presa di posizione contro la caccia. Quando però c’è la discesa in campo di Silvio Berlusconi, lui applaude quella che all’inizio ritiene una salutare, energica novità. Ma gradatamente innesta la retromarcia fino alla polemica presa di posizione con l’ultima apparizione tv di «Rockpolitik» dove parlano Enzo Biagi, vittima dell’editto bulgaro, Roberto Benigni, il nobel Dario Fo, Beppe Grillo, Daniele Luttazzi, Michele Santoro, tanto per dare un’idea del cambiamento di rotta. Certamente, pur non autorizzato, questo resta pur sempre un libro di famiglia. Per cui la famosa e divulgata storia d’amore con Ornella Muti è soltanto accennata. Sulla pesante e mai sanata diatriba con Don Backy, ex amico del Clan, si sorvola. Così come non si scava sul recente grande freddo con Mogol, i cui testi hanno contribuito al suo rilancio. Memorie di Adriano sì, ma di mezzo c’è pur sempre uno zio.
Gian Luigi Paracchini
27/06/2010 – Corriere della Sera