Il pensiero zero di Celentano
L’Italiano è precipitato. E si manifesta nelle idee, nella lingua e nella vita di Adriano Celentano. Un uomo titolare di un pensiero gratuito che fa pagare a caro prezzo. Una singolare antinomia che si manifesta tutta nell’articolo apparso sul Corriere di ieri, dal quale (…)
(…) risulta una incondizionata ammirazione per un altro depensante come lui: Beppe Grillo, inventore di un partito che non è un partito. In realtà, non sapendo cosa pensare, Celentano, finge di attaccare e dà ragione a tutti. Così, nel suo argomentare sconclusionato, prima che sgrammaticato, riesce a dar ragione (e torto) contemporaneamente a Fini, a Berlusconi, a Bossi, a Maroni, a Rosy Bindi, a Di Pietro, a Santoro, a Veronesi, a Belpietro. Il suo procedere è ammiccante, fatto di gomitate e pacche sulle spalle, in un sostanziale perbenismo che è tipico dell’Italiano che non vuole grane. La spara grossa, ma cerca complicità, anche con colui che attacca. Alla fine dei vaniloqui, nel genere «io confido nella “DEMOCRAZIA della LIBERTÀ”», ovvero «tutto mi fa pensare che il vero democratico ha il senso della misura in ogni sua manifestazione», mi fa piacere che gli unici di cui parla male siano Masi e Sgarbi. È naturale che per uno che è andato in televisione per non dire nulla, ma con la leggenda del grande cantante che è stato, ottenendo compensi miliardari, un direttore della Rai che è obbligato a mandare in onda un programma con un conduttore imposto, negli orari stabiliti dalla magistratura, non è un direttore dimezzato che cerca di reagire a gratuiti insulti, soverchiato da una ridicola demagogia, ma un dittatore che vuole «limitare la libertà d’espressione». Come sempre, in chi parla a vanvera, la falsa indignazione, l’atteggiamento scandalizzato prevalgono sulla verità dei fatti. Così Celentano si dimentica di dire che il crudele dittatore che ha pensato di sospendere Santoro non ha ottenuto alcun risultato. Perché, con tutto il vittimismo di Santoro, la sospensione è stata sospesa. Di cosa parla, dunque, Celentano?
Poi, reduce da una delle sue tante noiose serate in cui sta in casa e guarda la televisione, si occupa di me, e scrive che sono «in ritardo di qualche decennio» non avendo «la minima cognizione di cosa significhi la parola “INNOVAZIONE”». Così, non accorgendosi di annaspare nella contraddizione e di riconoscere inconsapevolmente l’espressività del turpiloquio, cerca di spiegare ciò che non capisce. Premette: «Democrazia vuol dire anche perfezionare i toni durante un dibattito». Spiega, di me, che «in netto contrasto con l’arte di cui faccio professione, disconosco invece un elemento fondamentale che è insito nell’ARTE e che è appunto IL CAMBIAMENTO». Afferma che dal 1989 non sono cambiato di una virgola, faccio sempre le stesse cose. Cioè insulto. Così, per essere diverso e «perfezionare i toni», pensa bene di imitarmi: «Ma vaffanculo Sgarbi, adesso ci hai proprio rotto i coglioni!!!». Non potevo sperare in un migliore allievo, e devo ringraziarlo dell’attenzione e anche del privilegio di non leccarmi il culo come fa con Fini, Grillo, Berlusconi, Maroni, Bindi, Santoro. Poi dice a me: «Il tuo prevedibile e nauseante sbraitare è un registro vecchio e stravecchio come la guerra del ’15-18. Cosa aspetti a cambiare? Lo sai almeno in che anno siamo?… Poi non piangere se in televisione non ti invita più nessuno». E qui non lo seguo. Io vado in televisione tutti i giorni, esprimo il mio pensiero, spesso in modo pacato, ogni tanto incontro un cretino a cui, in modo schiettamente «rock» e talvolta «rap», dico quello che si merita per evitare che continui a dire scemenze. È il caso di «fascista, fascista, fascista», all’indirizzo di chi ignora che in democrazia, come sa perfino Celentano, i partiti sono la libertà. Perché, non essendoci un partito unico, uno può scegliere di essere liberale, repubblicano, socialdemocratico, radicale, restando indipendente. Come lo furono, in condizioni difficili, Gramsci e Croce. Appartenere a un partito non vuol dire essere servi o dipendenti, vuol dire scegliere idee e valori. Se, per affermarlo, devo interrompere uno che dice le banalità alla Grillo, il quale per essere libero, contro i partiti, fa un partito, lo interrompo con forza. Una differenza fra me e Celentano, nell’andare in televisione, invitato, è che io, non volendo rinunciare a essere Sindaco, orgogliosamente, per dignità civile, non vengo pagato. Celentano invece il suo pensiero lo mostra soltanto a pagamento, e senza offrire una merce particolarmente pregevole. Io continuerò ad andare gratis, perché voglio esprimere il mio pensiero, non venderlo. Ed è per questo che sto dalla parte di Masi, e mi fanno ridere le false vittime come Santoro e i piagnoni come Fazio. Dunque, esiste una pseudo-norma per cui chi fa politica non può essere pagato dalla Rai. Per questo, io, Sindaco, non vengo pagato. Benigni, che non ha ruoli, ma fa politica, per esprimere le sue libere idee è stato invitato a Sanremo e pagato 370mila euro per mezz’ora. Ora, per andare da Fazio, a esprimere le sue originalissime idee, ha chiesto «solo» 250mila euro. Per evidenti ragioni economiche, Masi non ha firmato il contratto e, per le stesse ragioni, non invita tutti i giorni Celentano, il cui pensiero è «caro». Ma la traduzione di questo elementare impedimento è: «Alla Rai hanno paura dei contenuti». Fazio fa la vittima, e soltanto adesso apprendiamo che Benigni ha dichiarato di essere disponibile ad andare anche gratis. Stiamo a vedere. Invito a farlo anche Celentano, in un confronto con me a Domenica In o dove vuole lui. Così possiamo vedere chi ha qualcosa da dire, e come, e in che lingua. Intanto io suggerisco, come già ho fatto, al direttore Masi, non di ospitare gratuitamente Benigni o Celentano, ma di offrire loro una cifra equa, solo dieci volte (non 250) lo stipendio mensile di un professore di italiano, 15mila euro, a puntata. Darebbero una prova di serietà e di civiltà, non invocando le leggi di mercato e il loro valore, ma facendo quello che faccio io, che vado gratis, e valgo più di loro.
20/10/2010 – Il Giornale