Gli alberi perduti nel silenzio di Milano
Ho letto dei platani abbattuti vicino alla Stazione e mi chiedo: Giuliano, sei stato tu?. Hai un solo modo per rimediare: rivestire di verde la strada con un giardino dorato
di ADRIANO CELENTANO
Ho letto una segnalazione sconcertante attraverso la rubrica curata da Isabella Bossi Fedrigotti sull’inserto milanese del Corriere della Sera da parte di Francesco Rossi, un ragazzo che trovandosi casualmente a passare nei pressi della Stazione Centrale, ha assistito all’ennesimo SCEMPIO milanese. «Mi soffermo – racconta il ragazzo – e vedo oltre una recinzione di cantiere, una fila sterminata di tronchi di ALBERI segati di netto alla base. Alcuni di questi secolari, il cui tronco misura oltre un metro di diametro. Non ho potuto fare a meno di fotografare l’orribile gesto, quasi come per chiedere aiuto almeno all’immagine di ciò che la mia macchina stava impressionando. Oltre a non realizzare nuovo verde come si dovrebbe» – dice amareggiato il ragazzo – «si continua a distruggere l’esistente con più di 100 anni di vita. Mi domando – insiste il ragazzo – chi ha autorizzato questa distruzione sotto gli occhi di tutti quei milanesi che come degli “IGNAVI” hanno fatto finta di non vedere una simile violenza».
Vedo le foto che ha scattato quel ragazzo e non posso crederci. Non posso credere che quel Sindaco con la faccia da bambino abbia potuto dare un ordine del genere. Anzi non ci credo. Giuliano sei stato tu?… No, dimmelo se sei stato tu, perché hai solo un modo per rimediare. Certo la SVISTA è madornale, se veramente è stata una svista, e comunque i milanesi sarebbero pronti a perdonarti se tu, nel luogo dove è avvenuto lo SCEMPIO, mettessi in atto ciò che nessun Sindaco ha mai avuto il coraggio di fare e che diventerebbe il più bel messaggio contro la CEMENTIFICAZIONE ARMATA.
La cosa da fare nella zona martoriata, bada bene, non solo nello spazio dove c’è stata la strage dei Platani (la vendetta contro l’involontario peccato di promiscuità) richiede qualcosa in più. Qualcosa che a questo punto coinvolga per intero la strada incriminata, ove per tutta la sua larghezza, dal muro della stazione a quello del palazzo di fronte e quindi per tutta la sua lunghezza, sia rivestita di VERDE, dove né i pullman né le macchine potranno avere accesso. Con una pista ciclabile di colore arancione dai bordi viola chiaro, che per la gioia dei passanti diventerebbe il «Giardino dorato» dei bambini. Quei bambini a cui la città del cemento proibisce di giocare.
Mi rendo conto di ciò che ti chiedo, lo so non è facile. E forse anche in questo caso, come si usa dire, non tutti i mali vengono per nuocere. Il sacrificio di quei Platani potrebbe diventare il grande richiamo di una svolta importante che solo un Sindaco può fare. Un Sindaco che non ha paura anche se rischia di essere cacciato. La confusione nella quale si trova non soltanto l’Italia, ma l’intero pianeta, è tale che non possiamo più aspettare caro Giuliano. Un pensiero che ormai coltivo da tempo e che stranamente sembra essere certificato da una stupenda frase che avevo letto su un libro di cui ora non ricordo il titolo, ma che mi colpì a tal punto che la imparai a memoria: «Nulla, eccetto il cuore egoistico dell’uomo, vive solo per sé. Né l’uccello che fende l’aria né l’animale che si muove sul terreno: tutti si rendono utili ad altre vite. Non vi è foglia della foresta o umile filo d’erba che non svolga il suo compito. Ogni albero, arbusto o foglia elabora e trasmette quegli elementi di vita senza i quali non potrebbero sussistere né uomini né animali».
Ecco una cosa per la quale l’uomo moderno ha smarrito la strada. Il senso della bellezza. Quella bellezza che ci tiene in vita solo se ci rendiamo utili ad altre vite. Caro Giuliano, a chiederti questo piccolo sacrificio colorato di verde non sono soltanto io e neanche le tante vite che abitano a Milano, forse ancora non ti sei accorto, ma è l’intero paese che da tempo attende che qualcuno da qualche parte dell’Italia abbia la Beata sfrontatezza di metterci la faccia su un gesto che potrebbe sigillare l’INIZIO del cambiamento.
Quel cambiamento che ci distoglie dal cancro del cemento utilizzato solo per fare soldi. Quel cambiamento che ci accomuna nella BELLEZZA dei paesaggi dove persino l’economia, in funzione di ESSA, può rifiorire. Poveri illusi quei governatori e politici che credono nel miracolo economico. Le cose andranno sempre peggio perché nessuno ha il coraggio di rivoltare le tasche e scuotere la polvere che ha corrotto l’intero vestito. I discorsi ormai si accavallano in preda a uno stato confusionale in un turbinio di nomi e nomignoli che sembrano aver perso il senso del loro significato. Politica, Spread, Antipolitica, Rimborso, Finanziamento. Ognuno si accalora per avere il primato di chi ce lo spiega PEGGIO.
Mentre invece basterebbe fermarsi. Anche se questo, da principio, ci può costare in sacrifici e perdite di denaro. Che non sono certo quei sacrifici che ci impone il Governo Monti quando commette il grave errore di aumentare l’unica cosa che invece dovrebbe essere drasticamente abbassata. Le tasse. «Ma aumenta il debito pubblico» dice lui, può darsi. Ma forse è arrivato il momento di fregarsene. Nel senso che bisogna pensare una cosa alla volta. Il costo attuale delle tasse blocca gli investimenti delle piccole e medie imprese, impedisce al cittadino di spendere, di consumare e la famosa crescita tanto invocata anche dalle formiche non potrà che recedere. Certo, abbassando le tasse il debito pubblico aumenta, in quanto lo Stato si scontra non solo con i problemi che comportano una minore entrata nelle casse dello Stato, ma soprattutto si scontra con quell’arco di TEMPO necessario affinché gli italiani, tutti insieme, raggiungano le condizioni di normale regime per tornare a spendere e consumare. A quel punto il debito pubblico non può che diminuire. Perché se si spende di più significa che si guadagna di più: e se si guadagna di più anche lo Stato incasserà di più.
Ciao Giuliano, hai l’opportunità di mettere la sveglia dove l’ora ancora non è in ritardo. Lo stesso gesto fatto fra qualche tempo, potrebbe non avere la stessa forza.
Adriano Celentano
21/04/2012 – Corriere della Sera