Pagine d’amore per «Rockpolitik»
C’è un genio assoluto, duro e puro, artista e sognatore, signore del bene in odore di santità, che da solo tiene in piedi l’ultima idea di uomo libero. Il suo nome è Adriano Celentano. C’è una specie di impedito, miope e ruffiano, egoista e cinico, signore di tutte le bassezze e di tutte le meschinità, il cui unico scopo è pugnalare alle spalle il genio assoluto, in un crescendo di colpi bassi che però alla fine lo vedranno soccombere nell’ignominia pubblica. Il suo nome è Fabrizio Del Noce. Sullo sfondo di questa guerra, il male assoluto. La nefasta energia nera che agisce nell’ombra, gretta e tracotante, signore di tutti gli intrighi e di tutte le censure. Ma anch’egli, per fortuna, gradualmente annichilito durante la dura battaglia, infine brutalmente cacciato dal trono grazie alle valorose bordate dell’eroe buono. Il suo nome è Silvio Berlusconi. Come in una sorta di Signore degli anelli aggiornato all’Italia del Duemila, così Celentano giganteggia nel libro dedicato da una giornalista del manifesto, Mariuccia Ciotta, al suo programma dell’anno scorso, l’impareggiabile macchina d’ascolti Rockpolitik. Tanto per essere subito chiari: il libro è ben fatto. Partendo dai preparativi, per arrivare fino ai commenti dopo gli ultimi titoli di coda, il lungo viaggio televisivo del Molleggiato viene riproposto da diverse visuali: al davanti che abbiamo visto tutti, è possibile aggiungere il retro e anche il dentro, con una bella serie di intermezzi che raccontano qualcosa della storia più lontana.
Rockpolitik, genesi ed esegesi di un programma più politik che rock. Questa almeno è la convinzione dell’autrice, che non si sogna mai di presentare l’operazione come puro spettacolo. Con Celentano di mezzo, è oggettivamente difficile limitarsi al lato artistico della vicenda. Ma in questo caso non viene neppure considerato: l’evento vero, come si legge testualmente, sta nel «fenomeno mediatico che ha rotto l’incantesimo della Rai, prigioniera dei reality e del nulla televisivo, epurata e censurata. Una storia esemplare per restituire il clima di un’epoca in cui la libertà di espressione è stata sospesa. Il muro invalicabile della Rai è stato superato da un supereroe irriducibile ai compromessi, che con la sua macchina ammazzacattivi è riuscito a ridisegnare il piccolo schermo». E se questo non è abbastanza, ecco come Adriano viene descritto come persona: «“Che?-Lentano è un artista che per vocazione vede l’invisibile, interviene per squarciare il velo di una cultura politica esile, senza un’idea “altra? di mondo, di società, di tv…». Non serve una laurea con Umberto Eco per comprendere il senso ultimo delle parole. Rockpolitik, inteso come libro, molto più del programma è un sublime esercizio di manicheismo, di quel movimento religioso che all’epoca riuscì a stordire anche Sant’Agostino (prima che il sommo vescovo finisse per odiarlo e combatterlo), con questa sua visione rigidissima e squadrata della vita, di qua il bene e di là il male, di qua i giusti e di là i dannati. Inutile chiedersi in questo caso da che parte stia il bene e dove stia il male. Riproponendo i nomi che hanno segnato i record degli ascolti, è semplicissimo separare e capire: Santoro e Berlusconi, Benigni e Del Noce, Minà e Albertini… Non resta molto da dire.
Il libro, più che ai fan storici di Celentano, è indicato agli infervorati militanti del suo populismo spinto. Il taglio smaccatamente – ma onestamente – ideologico è musica per le loro orecchie. Ovviamente, del tutto inutile cercare nelle oltre duecento pagine un difetto del genio: non risulta. A ben guardare, in tutta l’operazione forse stona solo il titolo. Un po’ neutro, quasi algido. Più adeguato al testo, qualcosa del tipo: «Santo subito».
29/11/2006 – Il Giornale