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«Moratti e Formigoni? Genitori di Frankenstein»

L’INTERVISTA ADRIANO CELENTANO

Il cantante: bene il dialogo tra Berlusconi e Veltroni

MILANO — Adriano Celentano si gode il successo e le discussioni accese dal disco, e dal ritorno-lampo in tv, al tavolo da biliardo della sua casa milanese, alla Maggiolina, un passo da via Gluck, dove sono nati i suoi figli e le sue canzoni.

Celentano, ormai di lei dicono che si è buttato a sinistra.
«Quelli che lo dicono sanno benissimo che non è così. Non sono mai stato né di sinistra, né di destra. Sono uno spettatore che sta alla finestra a guardare chi fa le cose meno peggiori. Siamo nel momento sinistro, e credo che la sinistra stia facendo ciò che è giusto fare in questi momenti. Fortunata la destra, che non avendo questa dolorosa incombenza può solo dilettarsi a tifare per la caduta del governo».

Sì, ma nel suo intimo lei come si sente?
«Claudia dice che sono anarchico. Non so che valore abbia. Comunque, la misura del successo delle mie apparizioni in tv è direttamente proporzionale agli insulti che ricevo da coloro che si sentono attaccati, sia di destra sia di sinistra».

Già un anno fa, alla grande manifestazione del 2 dicembre 2006, la piazza di centrodestra interruppe con i fischi l’orchestra di Demo Morselli che suonava Azzurro.
«Me lo ricordo, ero davanti alla tv. Azzurro non è una canzone di parte, appartiene a tutti gli italiani; ma non mi sono offeso. Fa parte del gioco. Era come se quella gente mi dicesse: “Ehi, Adriano, stai sbagliando, non siamo d’accordo con te”. Non me la sono mica presa».

E’ che a lungo si è pensato che lei stesse da quella parte. Fin dagli Anni ’70, da “chi non lavora non fa l’amore”: non proprio un inno alle lotte operaie.
«Quella canzone fu, come direbbe Berlusconi, fraintesa. Certo, io avvertivo un disagio nella società e invitavo tutti al dialogo, soprattutto i padroni. Gli operai avevano le loro ragioni per scioperare. La chiusa della canzone indicava proprio la necessità che il padrone rinunciasse a qualcosa se voleva che in casa sua regnasse l’amore: “Se non cerchi un accordo con i tuoi operai, prima o poi anche per te finirà la pace, per cui dammi l’aumento signor padrone”. Questo diceva la canzone. Devo ammettere però che il titolo del brano era più forte della supplica finale in favore degli operai. Ecco perché, in parte, giustifico coloro che mi credevano un reazionario». «Il vero amore/ per sempre unito dal cielo… ».

Questa invece fu letta come un no al divorzio.
«Ma era una dichiarazione d’amore per mia moglie, non una dichiarazione politica. Se due si sposano e poi non vanno più d’accordo, è giusto che divorzino. Naturalmente senza lasciare nulla di intentato per cercare di salvare l’amore, di smussare gli angoli, di comprendere le ragioni dell’altro; anche se oggi più che mai comprendere le ragioni dell’altro è una delle cose più difficili, e non solo all’interno di una coppia».

Sull’aborto invece lei è intransigente.
«Sì. Sull’aborto, e in genere sulla vita. Io non sono un esperto di embrioni, però di una cosa sono sicuro: la vita va difesa. Sempre. E’ un dono di Dio, fin dalla prima scintilla. Altre interpretazioni per me non esistono».

Come le pare questa Italia, a confronto con le altre che ha conosciuto? Quella dei suoi esordi nei primi Anni ‘50? Quella del ‘68?
«Si ricordi che lei sta parlando con un ignorante. Però il polso del paese un po’ ce l’ho. Certe cose le sento, e se una cosa mi appare difficile cerco di capire, di trovare una sintesi. I politici a volte mi sembrano come attori di una commedia, che con la scusa di agire per il bene dell’Italia badano anzitutto ai loro interessi. Il che potrebbe anche essere giusto, se i loro interessi coincidessero con l’onestà intellettuale di chi pensa, invece, prima di tutto al bene del paese e poi ai propri interessi… insomma, voglio dire che non ci sarebbe niente di male se, nel fare prima di tutto il bene del paese, se ne traesse anche un vantaggio economico. Ma non mi pare che vada così».

Queste sono le cose che dice Grillo. E’ d’accordo con lui?
«Grillo è coraggioso. E’ un ragazzo della via Gluck. Anch’io non condivido certi toni che ha usato. Ma gli riconosco il merito di aver dato una forte scossa al potere, di aver espresso il malessere che cova nella società. Condivido molte delle cose che dice».

Lei però a suo tempo non si unì ai girotondi di Nanni Moretti.
«No. Non mi sono unito perché non lo ritenevo necessario. Lui aveva già fatto molto casino e non aveva bisogno del mio appoggio. E’ importante capire quando è il momento di fare o di dire certe cose. Anche lui, come Grillo, aveva messo in evidenza un certo torpore della sinistra, obbligandola a fare un esame di coscienza sullo sbandamento in cui versava; e io lo apprezzai per il modo in cui lo fece».

Ogni volta che lei scontenta qualcuno, rispuntano interviste molto critiche di Don Backy o altri personaggi del clan.
«Sono reazioni a cui mi sono abituato. Purtroppo non manca il giornalista che, diverso dagli altri, investito dalla malafede, si guarda bene dal controbattere sul tema che magari ho appena affrontato in televisione, perchè rischierebbe un serio dibattito e ciò non basterebbe a placare il suo livore. E allora ecco che una certa stampa sente la necessità di puntare sulla bassezza di qualche individuo che può spargere veleno su di me, o mentire sul compenso per “La situazione di mia sorella…”; a sentir lei (non mia sorella, la stampa), avrei percepito per il programma più di 700 mila euro, quando invece ne ho presi centomila offerti dalla Rai e accettati senza discutere. Tuttavia devo precisare che questo ritorno-lampo, come lo chiama lei, visto da 9 milioni e 500 mila persone con picchi di 11 milioni e mezzo, vale molto più di qualsiasi considerazione economica. Io sono rock, e mi posso permettere di essere il meno pagato di tutti; per esempio di Fiorello, di Morandi, e tanti altri che adesso non mi va di nominare».

Con Berlusconi, personaggio come lei molto milanese, vi siete mai visti?
«Due o tre volte, durante la fondazione del suo impero. Lui voleva che facessi qualcosa per le sue tv, io ero abbastanza ben disposto, ma non abbiamo mai trovato l’accordo per via degli inserti pubblicitari. Anch’io però ho avvertito il fascino che la sua figura esercita sulla gente: un uomo che nasce dal nulla, così almeno pare, diventa il più ricco del paese e addirittura capo del governo. Bello. Ma adesso deve cambiare. Perché la sua nuova direzione sarà determinante per il suo futuro politico».

Il suo fiuto cosa le dice? Berlusconi può tornare al governo?
«Potrebbe anche vincere le elezioni per la terza volta. E’ un grande comunicatore, sempre pronto a estrarre il coniglio o qualche altra bestia dal cilindro. Lo davano per morto, ma quando ha visto che Fini e Casini lo stavano abbandonando ha avuto uno scatto ed è tornato in scena. Dubito però che durerebbe, che riuscirebbe a governare. Dubito che il suo sia lo scatto che invertirebbe la direzione di marcia del paese. Sono troppi i compromessi e le cose a cui dovrebbe rinunciare. Compromessi che non riguardano solo lui, ma quasi tutti i politici; però solo lui ha questa opportunità di scatto, proprio per la posizione anomala che occupa sulla scena. Viene dal niente, diventa ricco e capo del governo, compra quasi tutto, tranne la sua “ultima opportunità”. Quella non si compra. Gli viene regalata una volta sola, come capita a ognuno di noi. E la sua opportunità è la strana combinazione di trovarsi al centro di un quadro non buono per il paese, però buono e decisivo per chi come lui dovrebbe cogliere l’attimo fuggente di un cambiamento totale, fin dalle viscere, della sua coscienza. Ma forse non è abbastanza vecchio per prendere una simile decisione…».

Le pare forse che l’inversione di marcia possa venire da Prodi?
«Forse… ma Prodi si trova in un situazione di normalità, per cui non gli viene concesso nessun tipo di scatto. Prodi non ha una televisione, non ha un partito che lo sorregge. Però non è detto. Anche se pure lui non ha ancora l’età per staccarsi dal fascino del potere».

Di Veltroni che impressione ha?
«Buona. Il dialogo con l’opposizione, l’incontro con Berlusconi sono cose buone, sia da parte sua che da parte di Berlusconi. Il problema è se entrambi sapranno andare oltre il tornaconto di partito per trovare un accordo, se avranno la forza di cambiare, a costo di confessare qualche loro peccato. Ma non è facile…».

Molti suoi colleghi sono fuggiti all’estero per non pagare le tasse. Lei?
«All’estero non sono mai fuggito, anche perché non so neanche dov’è. Credo che le tasse siano un male necessario. Ho capito che siamo tutti chiamati a fare un sacrificio per il bene comune. Anche se in teoria, a parte gli operai che non dovrebbero avere la preoccupazione di arrivare alla fine del mese, nessuno dovrebbe dare allo Stato più di un terzo di quello che guadagna».

Bossi le è simpatico?
«Sì, mi è simpatico. Mi ricorda uno dei personaggi della Milano degli anni Cinquanta. Bossi sembra nato al bar. Uno di quelli che passano il tempo a giocare a biliardo e a lamentarsi delle cose che non vanno, con gli amici che gli dicono: perché non vai avanti tu? Una, due, tre volte; tra la quarta e la quinta volta, forse deve aver deciso. Così è andato avanti lui».

Ha letto gli elogi e le critiche degli architetti?
«Ho letto. E mi dispiace che questa categoria si stia scavando la fossa con le sue stesse mani. Ma ciò che più mi dispiace è che le loro scatole tombali — perché di questo si tratta, quando progettano le case popolari dove infornare la povera gente — lascino un segno così oscuro che difficilmente si potrà smaltire. L’unica cosa è sperare nei giovani, sui quali confido per una rinascita dell’architettura: che tenga conto sì del moderno, ma senza dimenticarsi del passato, che rappresenta le fondamenta della nostra identità. E’ attraverso il passato che possiamo sapere chi siamo e da dove veniamo».

Ha visto la puntata di Porta a Porta dedicata a lei e a Benigni?
«Sì. E ho visto la cura, direi quasi chirurgica, con la quale ha impostato la trasmissione. Peccato. Un’altra occasione persa per dimostrare un’imparzialità che pare proprio non esistere nel dna di Bruno Vespa. Gli ospiti sono stati scelti ad hoc per sparare cazzate sul mio conto. A parte Sgarbi che in qualche modo, ma devo ancora pensarci, credo mi abbia difeso, e Bondi, l’unico ad aver detto una cosa buona su di me e, devo dire, sensata: “Celentano e Benigni, gli unici che fanno una televisione di qualità e che fa discutere”. Grazie Bondi. Al suo fianco c’era Paragone, un giornalista di Libero molto poco paragonabile se non a se stesso, al quale non do torto quando dice che io ripeto da quarant’anni le stesse cose. Per forza: trent’anni fa dissi che gli architetti erano dei cani rabbiosi che divoravano le bellezze delle città. A oggi, il risultato qual è stato? Che di bello Milano non ha quasi più niente. E non solo Milano, tutta l’Italia tra un po’ sarà irriconoscibile, se non si fa qualcosa per fermare l’onda devastante geneticamente modificata dai genitori di Frankenstein».

Chi sarebbero i genitori di Frankenstein?
«La Moratti e Roberto Formigoni. Il quale, a un incontro nella voragine dove sta nascendo il nuovo mostro da lui concepito, ci ha tenuto a spiegare tra gli applausi, purtroppo, del presidente Napolitano il senso dell’operazione: il primo Palazzo di Governo edificato a Milano dopo il Castello Sforzesco. Bravi genitori mostruosi! Già che ci siete, perché non buttate giù anche il Castello Sforzesco? Non vi rimane che cancellare quest’ultima espressione del volto di Milano per confondere definitivamente i milanesi che, se poi la fate finita anche col Duomo, non sapranno più distinguere se sono a Torino, a Milano, o in Russia. Quindi come faccio, caro Paragone di Libero, a non ricordarti che la più grande sciagura sono gli architetti? Io lo dico anche per il tuo bene, e poi cambialo quel cognome che hai, se no la gente quando ti vede non ti paragona a nessuno. Ma il bello, quello vero, arriva con i clown di regime, Luca Giurato, e il sergente Maria Latella. Giurato, che di fronte a un tema mondiale come quello del nucleare salta sul podio come fosse un giornalista, lui, modello trash di qualcosa che non si può neanche più chiamare giornalismo, e dice: “Ma da dove viene Celentano? Se l’Italia sta male è perché non abbiamo il nucleare”; e subito dopo, con una considerazione ancora più spaventosa, dice che “noi, essendo vicini alla Francia, saremmo comunque spazzati via se una delle centrali francesi avesse un guasto”. Un discorso, quello di Giurato, che non può essere più cretino…».

Prego?
«Intendiamoci, non cretino lui, cretino il discorso, che purtroppo ripetono in tanti. Come si fa a non capire che rinunciando alle centrali nucleari non solo salviamo i tre quarti rimanenti dell’Italia — perché la Lombardia ormai ha i giorni contati giustamente come dice Giurato —, ma mandiamo anche un messaggio di incoraggiamento al resto dell’Europa? Ora io posso capire Giurato, poverino… ma tu, piccola Vespa amico delle zanzare, tu sai che nella mia trasmissione ho detto anche altre cose: mi sono rivolto agli ultrà e non li hai neanche presi in considerazione, ho parlato del nucleare e te ne sei guardato bene dall’invitare qualcuno d’accordo con me per un giusto contraddittorio, tipo Pecoraro Scanio, e poi… non voglio dire cosa hai volutamente omesso».

A cosa si riferisce?
«Vespa lo sa».

E i tg, come le sembrano?
«Si assomigliano tutti. Ognuno nasconde una parte di verità. Ma in fondo si completano. Nel senso che si mettono d’accordo per non nascondere tutti e due la stessa cosa. Se il Tg1 nasconde la prima parte, il Tg5 nasconde la parte finale, in modo che nessuno possa dire niente perché effettivamente la notizia è completa… l’unico problema è che per vederla completa, siccome va in onda in contemporanea, la gente deve avere due televisori, uno a fianco dell’altro».

Aldo Cazzullo

09/12/2007 – Corriere della Sera

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