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60 anni con Adriano Celentano – La genesi del “Paradiso”

copertina del libro "Il paradiso è un cavallo bianco che non suda mai" di Adriano Celentano e Ludovica Ripa di Meana (1982)

Per il secondo appuntamento della rubrica 60 anni con Adriano Celentano, in cui cercheremo di ripercorrere la carriera di Adriano attraverso vecchi articoli ed interviste, abbiamo scelto un articolo, datato 1982, firmato da Roberto D’Agostino e tratto dal Radiocorriere TV, che ripercorre la genesi dell’autobiografia Il paradiso è un cavallo bianco che non suda mai, attraverso le testimonianze di Celentano stesso e di Ludovica Ripa di Meana, che si occupò della stesura del libro:

Ho domato la prosa rock di Adriano

Capo storico del rock italiano o saltimbanco, profeta o ciarlatano, finto tonto o santo, da anni fa discutere. Un tempo erano i suoi guizzi burattineschi da Elvis Presley della bassa padana e i suoi dondolamenti da orango alla Jerry Lewis a destare clamore, scuotendo i sani principi degli italiani che amavano l’aria da bravo ragioniere di Gino Latilla e il fascino romanesco di Claudio Villa.
Borsalino calato sugli occhi a celare la divorante calvizia, maglietta sgargiante e scarpe bicrome, 44 anni e tre figli, sono venticinque anni che Celentano costruisce la sua fortuna di uomo di spettacolo. Cocciuto, caparbio, inesauribile, mai contento. Ogni suo disco è un record di vendita (ne ha venduti 55 milioni di copie e il suo ultimo 33 giri, Deus,
ha superato le 400 mila), ogni suo spettacolo registra immancabilmente il tutto esaurito (durante la sua ultima toruneè ha radunato oltre 800 mila adoratori), ogni film che fa incassa miliardi (secondo i rilevamenti della Borsa Film Il bisbetico domato con i suoi prevedibili 20 miliardi d’incasso risulterà il film italiano che in assoluto ha guadagnato di più). Nel piccolo museo Grevin di Milano, il “supermolleggiato” è immortalato in una statua di cera, come un grande della storia patria.
Eppure non ha il fascino poetico di Francesco De Gregori, non ha la creatività letteraria di Fabrizio De Andrè, non ha la musicalità e l’istrionismo di Lucio Dalla. Ma qual è il segreto di Celentano? Chi è veramente e cosa pensa di sè l’Adriano nazionale l’ha raccontato per 247 pagine a Ludovica Ripa di Meana. Quarantanove anni, nonna da sette, capelli sforbiciati come un prato all’inglese e occhi di un verde trasparente, già collaboratrice di Zeffirelli e Brusati, regista tv (Odeon e spettacoli di prosa), da tre anni redattrice dell’Europeo, la Ripa di Meana è riuscita con straordinario talento a dischiudere il “mistero Celentano”. Il titolo del libro è in puro gergo celentanesco: “Il paradiso è un cavallo bianco che non suda mai”, edito da Sperling & Kupfer.
Un successo istantaneo. La prima tiratura, 45 mila copie, è quasi sparita dalla circolazione. «Un libro al quale è difficile rimanere indifferenti», ha commentato Giovanni Mariotti sulle pagine dell’Espresso. “Nelle sue pagine serpeggia una follia sfrenata, e tuttavia amministrata con molta saviezza”. Un’autobiografia a “cuore aperto”: Celentano racconta di sua madre (“la mia montagna, una donna saggia cui piaceva il rock, una matriarca pugliese che ci ha tenuto insieme, noi quattro figli, ci siamo reciprocamente amati moltissimo”), dei ragazzi della Via Gluck, dall’amore non consumato da Milena Cantù, dalla sua filosofia di vita.
Parla con accenti caldissimi della moglie, Claudia Mori, del sesso in genere e della propria crisi coniugale. (…) E aggiunge altre riflessioni sul suo lungo rapporto sentimentale (sono sposati da diciotto anni) con la Mori (…). «Il libro è emotivamente “forte” perchè Celentano ha fatto come un’apnea dentro di sè», osserva la Ripa di Meana. Ma come sia riuscita ad intrappolare il recalcitrante cantante, un uomo sempre diffidente nei confronti della stampa, l’ha raccontato lo stesso Celentano: «Sono sempre stato contrario a queste cose, per anni gli editori mi hanno fatto inutilmente proposte. Mi ha convinto solo Ludovica: ci siamo visti una sera per farmi un’intervista per l’Europeo. Voleva stare quindici giorni con me, seguire la mia vita di lavoro e la mia vita privata, come fanno in America i personaggi importanti. Ma io non sono un personaggio importante. Io sono Celentano, sono unico, e le ho detto che era un po’ matta, e che non era possibile. E allora s’è accontentata di parlare per una sera, poi mi ha chiesto “Facciamo un’altra sera?”. E così abbiamo parlato due sere, ed è venuto fuori un articolo bello che ha fatto successo, e sono arrivate delle proposte per fare un libro. Ma io non volevo farlo. Poi ci ho ripensato. Mi ha fatto leggere quello che aveva scritto: non ha messo “questa cosa qui” o “questa cosa qua” ogni tre parole, come fanno tutti quelli mi intervistano riportando quello che dico. Allora le ho detto: “Tu comincia a scrivere e poi vediamo”. E lei e l’editore hanno corso il rischio, così poi io l’ho letto, mi è piaciuto e siamo andati avanti. Insomma, sono stato violentato solo per metà».
Al ricordo degli otto mesi di incontri-confessione con Celentano, qualche volta nella casa milanese, qualche volta in una suite dell’Hotel Hilton di Roma, gli occhi di Ludovica Ripa di Meana hanno un guizzo di nostalgia: «L’ho affrontato, all’inizio, un po’ sgomenta. E’ molto guardingo con i giornalisti, che quasi sempre lo hanno sfottuto o trattato con sufficienza. Celentano ha difficoltà ad esprimersi e, se sente l’intervistatore borioso con lui, reagisce con atteggiamenti divistici a questa mancanza di rispetto. Io sono riuscita a entrare in un rapporto di totale fiducia, ha capito che non ero andata da lui per rapinarlo. E Celentano si è sforzato a mano a mano a scoprire i suoi segreti, ha avuto voglia di parlare della parte in ombra di sè. Mi sono trovata di fronte un interlocutore assolutamente straordinario, mi ha incantata anche se sono l’opposto totale di lui. L’attrazione che suscita è irresistibile: è vero che è “primitivo”, ma di grandissima intelligenza. La cosa che mi ha colpito è che la sua intelligenza non è razionale, ma “espressiva”: ha un istinto rabdomantico per capire i luoghi fondamentali dell’uomo. Dio, l’amore, un mondo onesto e libero. Lui, con il suo fantastico, piega la realtà cantando certe canzoni, attraverso i personaggi che interpreta nei film, e molto nel suo privato. La ragione della sua popolarità è nella sua fondamentale innocenza. Questo ovviamente non vuol dire che non sia un uomo d’affari, ma la sua anima ha conservato un’integrità. E’ riuscito a cristallizzare dentro di sè quell’attitudine così azzurra che è l’infanzia. Quando terminai la prima stesura del libro, lui mi chiese de leggergliela. All’improvviso fece capolino il figlio Giacomo. “Vuoi sentire un pezzo del libro di papà?” e Celentano chiamò anche Rosalinda e Rosita, le altre due figlie. Una scena commuovente, quasi sacra. I tre ragazzi accovacciati sul pavimento, in pigiama, e questo padre…erano tutti straordinariamente emozionati. E lì, capii che veramente il libro era riuscito».
Un faticoso lavoro di trascrizione, quello della giornalista, per catturare la prosa-rock di Celentano, ricca di anacoluti e “orco cane”, che lo stesso cantante ha riconosciuto in una toccante dedica a Ludovica Ripa di Meana: «Quante gente crede di poter scrivere un libro, solo perchè oltre a scrivere, sa anche parlare. Eppure quelli che ci riescono sono rari. Ma scrivere un libro su uno che parla, è quasi impossibile. Specialmente se quello che parla sono io…e qui, è il grande messaggio dello scrittore. Il primo ad essere colpito sono io, che leggendo questo libro, ho capito una cosa che non avevo mai capito: anch’io parlo. A.C.».

Lo staff di ACfans.it

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