Terzo appuntamento della rubrica 60 anni con Adriano Celentano. Questa volta celebriamo i 30 anni esatti dell’atterraggio di Adriano a Mosca, sfidando la famigerata paura dell’aereo, per presentare ai russi il mastodontico kolossal cinematografico “Joan Lui” e per tenere due storici concerti.
Ecco a voi un articolo dell’epoca, datato 3 luglio 1987, tratto da La Repubblica e firmato da Franco Recanatesi, che parla minuziosamente dell’evento.
La passione di Ivan si chiama Adriano…
MILANO – La passione dei russi per Adriano Celentano è uno di quei misteri che resteranno chiusi, probabilmente per sempre, nello scrigno dei mille segreti di questo paese pieno di vecchie e nuove contraddizioni. Del Molleggiato si parla a Mosca da quasi 25 anni. Non oggi ma allora se ne parlava come da noi si potrebbe parlare di una fiutata di coca o di una allegra partouze: insomma, di uno svago proibito. Le cassette delle sue canzoni erano le più quotate al mercato nero. Di tanto in tanto al Clan (la casa discografica del cantante) giungevano richieste ufficiali di 100.OOO o 50.000 dischi delle canzoni di maggior successo, come per 24.000 baci o Azzurro, che venivano esauriti dai negozi abilitati nel giro di una giornata. Poi, niente più per un anno o anche due. Il consumismo con il contagocce. Ma i dischi di Adriano varcavano ugualmente i confini e dei suoi gorgheggi si beavano i giovani russi negli scantinati. Quindici anni fa si sparse la voce che Celentano fosse morto: la Pravda e la Tass, dopo avere ricevuto decine di lettere di fans allarmati, dovettero pubblicare una circostanziata smentita. La cosa più curiosa è che i sovietici hanno amato per tanti anni un artista che hanno visto soltanto in fotografia sulla copertina di qualche disco. Curioso? “Incredibile“, osserva Celentano. “Godo di grande popolarità anche in Belgio o in Germania, dove però ho tenuto spesso dei concerti. Ma in Russia non c’ ero mai stato. Anche se i loro giornali e televisioni da 25 anni annunciano il mio arrivo.”
Finalmente, ecco l’ occasione, imprevedibile e singolare anch’essa. Ai primi di maggio arriva un invito ufficiale: da parte dell’ Associazione dei cineasti, un organismo ovviamente statale. Non vogliono Celentano cantante, però, ma Celentano attore. Gli chiedono anzi di portare a Mosca il film Joan Lui, nel quale Adriano sostiene la parte di Gesù Cristo. La lettera è firmata da Klimov, ministro dello Spettacolo. Scrive: “Il suo film riveste un aspetto culturalmente rilevante per i nostri giovani.”
Da chi gli è stato segnalato? Lo ha già visto Klimov? Questo Celentano non lo sa e gli interessa poco. Adesso pensa soltanto alla grande rivincita: portare davanti alla nomenklatura di Mosca, forse anche davanti a Gorbaciov, il film che in Italia è stato sotterrato dalla critica. Occorre rivederlo, sfrondarlo, doppiarlo. Il produttore, Cecchi Gori, se ne lava le mani, Celentano decide di far tutto da solo: riduce la lunghezza da 160 a 125 minuti, chiama uno specialista sovietico, Nikolaiev, per la traduzione dei testi dall’ italiano al russo. Nikolaiev legge il copione, vede il film e rimane di stucco: “Ma tu porti questa roba nel mio paese?“.
E deglutisce a fatica quando apprende che la richiesta giunge direttamente da Mosca. Celentano fa ristampare la copia della pellicola e alla fine di tutte queste opere di restauro che gli sono costate 200 milioni, si accorge che manca il tempo per inserire i sottotitoli in cirillico. Che si fa? Niente paura, ce la caveremo con il traduttore simultaneo in sala, nel nostro paese è un sistema abituale. “Questo mi lasciava piuttosto perplesso. Poi ho capito che era meglio così: la gente non si sarebbe distratta dalle immagini per leggere i sottotitoli. Una bella sorpresa.”
Con la pizza ristampata sotto braccio, Adriano Celentano sbarca a Mosca lunedì 15 giugno con un seguito abbastanza nutrito: la moglie Claudia Mori con la sorella Anna, il fido Micki Del Prete, gli amici Puno Zaccaroni (dentista) e Luciano Luna (organizzatore cinematografico) e una ventina di orchestrali. A cosa serviranno? A fare una bella sorpresa agli amici sovietici. L’aereo atterra mentre scoppia un nubifragio. Sotto la scaletta, fradici per la pioggia, attendono l’idolo sospirato due televisioni, 70 giornalisti, dodici fotografi. Una giornalista della Pravda gli rivolge la prima domanda: “Lo sa che il suo arrivo nell’ Unione sovietica è un fatto politico?.” Lui risponde “lo so” e fugge al riparo.
In una sala dell’ aeroporto, il segretario generale dell’Unione cineasti sovietici, Roland Bikov, guida un comitato d’onore che dà il benvenuto all’illustre ospite italiano con un sobrio rinfresco. Un funzionario del ministero gli stampa un bacio sulle labbra. Gli presentano il suo interprete, si chiama Zivago. Adriano chiede: “Ma proprio come il dottore?”
Mercoledì 17 Joan Lui viene proiettato due volte (alle 16 e alle 19, sempre per invito) nel cinema Oktiabr, 2500 posti a sedere. In platea, ministri, intellettuali, attori, giornalisti. Ecco un passaggio che potrebbe irritare la sala. Al rallentatore, su un prato verde, Claudia Mori corre incontro al nemico Joan Lui; sul capo ha la corona della statua della Libertà, sul petto la falce e il martello, sulla gonna le stelle e le strisce; Claudia scaglia via la corona e strappa il vestito. Sacrilegio? Macchè: scoppia un applauso spontaneo e lungo. E applaudono, i vip di Mosca, anche quando Celentano-Gesù pronuncia il suo atto d’accusa contro le superpotenze: “I russi e gli americani è questo che stanno studiando, stanno vedendo se possono eliminare i poveri in un colpo solo!”
Nikolaiev, durante la traduzione, aveva chiesto preoccupato ad Adriano: “Ma questa frase la lasciamo?”
E riapplaudono nel finale, quando crollano la Casa Bianca ma anche i quadri di Stalin e di Lenin; e quando il diavolo viene folgorato e diventa un mostro. Tutti in piedi, dopo la parola fine, a battere ritmicamente le mani per dieci minuti. Con un groppo in gola, Celentano sale sul palcoscenico e viene inondato di fiori. Racconta: “Alcuni piangevano. In platea, il capo dell’associazione dei produttori sovietici ha abbracciato Claudia dicendole “ringrazi suo marito“. Dopo il film, conferenza stampa nel palazzo della Novosti. Celentano occupa la poltrona sulla quale passarono la Thatcher, Schultz, lo stesso Gorbaciov, di fronte a 400 giornalisti e tante cineprese. Nessuno gli chiede quale sarà il prossimo disco o il prossimo film, sospinti dal vento della glasnost e della perestroika, sull’ applauditissimo Joan Lui piovono quesiti socio-politico-cultural-ecologici. “Cosa consiglia ai giovani per la sopravvivenza?” “Prendere spunto dalla natura. E quindi anche amare la propria casa, così si ha meno voglia di andare fuori, incazzarsi, dare una coltellata per un sorpasso.”
Silenzio in sala. Adriano incalza: “Queste case che vedo a Mosca bisognerebbe raderle al suolo: sono brutte, sembrano delle tombe, non aiutano l’uomo a rilassarsi, lo rendono nervoso.”
Invece di offendersi, i giornalisti applaudono. Sempre sui giovani russi: “Consiglio loro di tirarsi su le maniche e lavorare. Finora non avevano incentivi, per i bravi e i meno bravi la paga era la stessa. Ecco perché è importante l’ iniziativa privata: se fai meglio pagherai di più.”
Nuovi applausi e l’asso nella manica: “Cosa pensa di Gorbaciov?” “Ciò che Gorbaciov sta facendo è importante non solo per l’ Urss ma per il mondo intero: è con questi esempi che si guariscono le infezioni del mondo.”
Il giorno dopo l’ intera stampa sovietica, con la Pravda in testa, riportano con grande evidenza le dichiarazioni di Celentano. Adriano gongola e tira fuori il suo asso dalla manica: i 20 orchestrali. “Vi regalo un concerto – dice ai russi – anzi due.”
Spedisce un messaggio a Gorbaciov: aveva saputo che il capo del Cremlino aveva recentemente creato, assieme al fisico nucleare Valenkov, una Fondazione per la sopravvivenza, a favore dell’energia alternativa e per il controllo dell’ energia nucleare; ora Celentano offre alla Fondazione l’incasso dei suoi due concerti. Il primo ha luogo sabato 20 giugno all’Olimpinski, un palazzo dello sport, gremito da 25.000 persone. Pubblico molto variegato: sotto il palco esponenti della nomenklatura, più in là professionsti, studenti, operai. I biglietti, a 6 rubli l’ uno, sono stati esauriti in un baleno. Lungo le strade che portano all’Olimpinski, i bagarini li offrivano a 50 rubli. Durante le prove, dalle 12 alle 16, erano entrati centinaia di poliziotti, avevano aggiunto 200 poltrone in pelle amaranto, avevano effettuato minuziosi controlli sotto ogni sedia. Perché? Stasera assisterà al concerto lo Stato maggiore. E infatti, ecco in prima fila Ligaciov, numero due del Cremlino. Ecco Zakharov e Klimov. Ecco tante divise verde oliva e tante signore in abito lungo. Qualcuno afferma che confusa fra il pubblico c’è anche Raissa, la moglie di Gorbaciov. Possibile? Adriano, che da dieci anni non fa più concerti, canta per due ore. Alla conclusione dello show, giovanissimi fans si precipitano sul palco: abbracciano e baciano Celentano, a forza vengono trascinati via dai poliziotti. La sera del sabato, Adriano e la sua banda vanno a far baldoria al ristorante Taganka, ritrovo di artisti un po’ stravaganti. Lo creò un attore di cabaret morto sette anni fa, ex marito dell’ attrice francese Marina Vlady. La sera di lunedì 22, vigilia della partenza per l’Italia, il signore e la signora Celentano sono gli ospiti d’ onore della cena in casa di un pittore di cui nessuno dei due – al ritorno in Italia – ricorda più il nome. Un’ abitazione semplice, su due piani, le pareti completamente tappezzate dei suoi quadri. A tavola, di fronte ad Adriano, siede Sviatoslav Fjodorov, il numero uno al mondo nella microchirurgia degli occhi. Ogni cinque minuti c’è qualcuno che propone un brindisi. Scorrono fiumi di generoso vino georgiano, soltanto Joan Lui beve aranciata Fanta. Valenkov, scherzosamente, lo rimprovera: “Preferisci il prodotto dell’America consumista!” “No, guarda che la Fanta è italiana!” “Peggio: in Italia avete dei vini buonissimi, altro che aranciate!”
Grandi pacche sulle spalle e nuovi baci in bocca sotto la scaletta dell’aereo per Roma. Mazzi di fiori, rigidi militari sull’attenti. Dasvidania compagno cantante, arrivederci. Celentano si lascia alle spalle un altro pezzo della perestroika, il cambiamento gorbacioviano. Dopo averci raccontato la mia Russia, Adriano definisce quello sovietico un popolo stupendo, ricco di umiltà (che gli occidentali perdono col benessere), genuino. Merito di Gorbaciov? Certo, ma deve fare attenzione: “ho avuto l’impressione che non tutti marcino al suo fianco.” “Che cosa gli consiglia?” “Di fare piccoli passi. Se no rischia quello che è successo a Kruscev: quando è tornato dalle ferie gli avevano tolto la poltrona da sotto il sedere.“
Lo staff di ACfans.it