Celentano-Benigni a urne aperte
di Malcom Pagani
Anche se i Wojtilacci han trasmigrato nel celestiale, i Berlinguer non si lasciano più prendere in braccio e dubita persino l’aquila di Ligonchio, Roberto Benigni planerà a Sanremo. A tre anni dalla ‘rissa’ con Iva Zanicchi, nella ressa scomposta di una Rockpolitik che cerca l’ultimo acuto di una bolsa campagna elettorale, il comico sarà nuovamente al Festival con il prevedibile sollievo del partito di Bersani e la litania in controcanto di un centrodestra impegnato a gridare allo scandalo e a invocare commissioni di vigilanza.
Nella Rai tecnica che sogna di fare del comico toscano icona di divulgazione, non entrerà l’altra variabile indipendente che in queste ore, nelle oscillazioni da ex orologiaio che gli sono proprie, medita una rentrèe in grado di alterare gli equilibri della piatta calma che precede le urne. Adriano Celentano. Desideroso di irrompere, dire la propria, stendere un’impronta utile a spronare indecisi, depressi e disgustati.
LO FECE CON ACCENTI ‘gravi’ e carovana mediatico giudiziaria ai tempi ribaldi del Referendum sulla caccia, ripetè l’esperimento per difendere Biagi, Luttazzi e Santoro, si spese per appoggiare Pisapia alle comunali milanesi e potrebbe ripetersi, i segnali variano di intensità, anche nei prossimi giorni. Forse a favore del coraggioso tentativo di Umberto Ambrosoli, più probabilmente per Beppe Grillo che riemerso dall’Atlantide del Web, nuoterebbe in mare aperto e in compagnia di Adriano tra i marosi dell’odiata tv generalista. Sulla scaletta di un aereo, Carlo Freccero lo chiama “Sillogismo aristotelico”, ma se evocasse Cartesio farebbe relativa differenza. Di diagrammi e curve si ragiona, in vista dell’ultima e più importante, con la lepre Berlusconi in fuga: “Satura ogni spazio possibile” e i gregari dietro, a inseguire. Per Freccero la storia ha la semplicità della formula matematica: “Berlusconi ha introdotto nella campagna elettorale la politica spettacolo e cancellato l’economia dall’agenda. Il Pd non ha leader spettacolari. Ergo, ricorre agli attori. Il soccorso anche indiretto di Benigni sarebbe naturale come per altri versi, non mi stupirei di vedere Adriano, uno che il suo parere l’ha sempre espresso, nell’agone. La novità sarebbe un’altra. L’abiura di Grillo. Il salto del confine. L’esplorazione dell’universo che fino a ieri considerava demoniaco. Sembra essersi ricreduto sulla demenziale cazzata che su ispirazione di Casaleggio, lo voleva confinato alla sola rete. Deve aver ragionato su Celentano, sul predominio della tv e si deve essere detto: ‘Facciamo qualcosa insieme che forse è meglio'”. L’evento, se si verificasse, produrrebbe sulle urne effetti non quantificabili che Freccero annacqua in pragmatica ironia: “Entrambi hanno interpretato Gesù al cinema, potrebbero dar vita a un piccolo miracolo, a un capolavoro”. Se Celentano dopo i successi veronesi pensa a un’altra arena per la provocazione politica e il “grazie, prego, scusi, tornerò” è molto più di un’inoffensiva ipotesi in note, Grillo (solo o in compagnia) riflette sul proscenio da occupare. Senza telecamere, l’ultimo giro di valzer congiunto, a Genova, fu un relativo successo. C’è bisogno di un polo che irradi l’evento e lo trascini nei 20 pollici di mezzo paese. Vista l’ostilità del duopolio Raiset e il relativo terrore per l’incontrollabilità dei protagonisti, la soluzione potrebbe essere l’oasi di La7 che Grillo (non inganni l’apparente paradosso) attacca con quotidiana vigorìa. Servizio Pubblico (i tesi rapporti con Michele Santoro sarebbero un dettaglio), Piazza Pulita (improbabile dopo il caso Favia) o sparigliando carte e appartenenze, se non mancasse il tempo, il network di tv locali in sinergia collettiva per un’unica notte a megafoni aperti sullo show. Si deciderà nelle prossime ore sempre che Adriano non cambi idea e non preferisca l’articolo scritto alle luci di un palcoscenico.
Riflettori che con ogni probabilità illumineranno invece Benigni nella città dei fiori. Grillo manca a Sanremo dall’epoca dei garofani e delle metafore cinesi su craxismo e dintorni. Benigni all’Ariston è di casa. Come su Rai Uno. Potrebbe farvi ritorno a due mesi esatti dal 17 dicembre. Quella volta, con tanto di plauso trasversale innescato dal Quirinale, il fu Cioni Mario parlò di Costituzione. Non prima di aver bastonato un Berlusconi molto distante dall’odierno: “Molti vogliono andare in pensione e ce n’è uno che potrebbe andarci, ma non c’è verso di mandarcelo… si è ripresentato per la sesta volta… sembra uno di quei film di paura: Lo squalo sei, La mummia, Godzilla contro Bersani” e aver spinto l’ex premier a un rammarico di facciata: “Sulle mie reti non sarebbe mai accaduto”. In sessanta giorni è cambiato l’orizzonte. Benigni, profetico, se lo aspettava: “Ha detto che se Monti si candida Silvio fa un passo indietro: e allora Mario, facci questo favore, dì che ti candidi, così si ferma. Poi dopo due giorni magari smentisci, come fa lui”.
ORA CHE LA VITTORIA del Pd non è più così certa, ad alcuni non resta che piangere e nei ‘comitati centrali’ la vita sembra bella solo in percentuale anche donarsi alla fustigazione del piccolo diavolo pare una prospettiva paradisiaca. Per lasciarsi cullare dal paradosso: “Adesso fanno le partite tra giudici e cantanti. Devono farne anche tra ministri e mafiosi: un’amichevole”, recuperare voti in zona Cesarini, giocare il finale di partita senza rimpianti. Con il comico in primo piano, il sorriso nella tasca e la fottuta paura che non basti neanche la battuta perfetta.
03/02/2013 – Il Fatto Quotidiano