Ieri “Rock Economy” ha messo insieme le parole di Fitoussi e il ritmo trascinante di Elvis: gran finale con l’amico Morandi
di Marinella Venegoni
VERONA. E’ finita nell’improvvisazione più balzana, come a liberarsi delle strette dei discorsi affascinanti ma complicati (e un poco fumosi, per dovere di divulgazione) dell’antieconomista Fitoussi, uno showman nato quasi quanto Celentano. «Canta!» gli urlavano di sotto le folle scocciate e senza telecomando in mano, mentre il prof andava avanti e Adriano lo seguiva affascinato. Avesse potuto, se lo sarebbe portato a casa. Invece ci ha messo il naso Gianni Morandi, uno che ha l’Auditel incorporato. Respinta l’idea di Il tuo bacio è come un rock, Adriano ha ripreso comunque il mestiere per cui va più noto, affrontando un po’ così Woman in Love, con testo originale quasi vero. E poi giù, inevitabilmente, Prisencolinensinaiciusol: pezzo trascinante, 40 anni giusti, il più felice gramelot della storia del rock italiano. Potrà annoiare Fitoussi, ma è innegabile che l’Italia sia nata al rock grazie a lui, e ieri sera il pubblico dell’Arena ha mostrato di non essersene dimenticato.
Invece lui da decenni vorrebbe parlare d’altro. Lo ha fatto peraltro spesso, attraverso le canzoni. Anzi, ha cominciato subito, ieri sera: «E la benzina ogni giorno costa sempre di più/ E la lira cede e precipita giù… C’è un buco nello Stato dove i soldi van giù/Svalutation, svalutation…». Non si può dire che il Molleggiato non abbia in vita sua precorso i tempi: quando nacque Svalutation con la quale ieri ha incendiato l’inizio di Rock Economy all’Arena, era il 1976, e Franco Fiorito Batman andava ancora all’asilo; ma già dieci anni prima Sanremo aveva accolto il Cele con il suo capolavoro, Il ragazzo della via Gluck, esibito ora in diretta su Canale 5 con un coro di 12.500 persone e bellissime riprese dall’alto. Berrettina di lana, giacca elegantd grigia, Adriano è parso emozionato e a volte commosso: dopo 18 anni, un live così è una bella botta di adrenalina. L’abbiam visto un po’ immobile, all’inizio, in attesa di riscaldarsi, con ovvi occhiali neri. Alla fine, scatenato per quel che l’anagrafe gli consente.
Verace sempre, e non creduto mai, il Cele. Come la virgiliana Cassandra, nel concerto costruito come bilancio di una vita musicale ma anche ideologica. Un binomio sempre presente, a qualunque costo. Ieri s’è preso delle soddisfazioni: si è fatto confortare in apertura dai testi furenti di economisti pop come Jeremy Rifkin e Serge Latouche, teorici della critica alla crescita inarrestabile: lo hanno aiutato con la lettura, la giornalista del TG5 Cristina Bianchini e l’attore Valerio Amoruso. Quando si parlava di poveri messi contro i poveri, l’Arena è venuta quasi giù.
Ma queste due kermesse sono anche una sorta di testamento spirituale a tutto tondo, destinate a restare attraverso un Dvd. 23 mila persone in due sere, nella vetusta Arena, con prezzi da un euro a 165, ma i bagarini hanno venduto anche a 8 mila euro un ingresso, e un altro è andato via davanti a noi a 700, pochi minuti prima di Svalutation. Una selva di russi elegantissimi, ma anche tedeschi e francesi, e lucani e napoletani e siciliani. Un autentico spettacolo di popolo di tutte le età e nazionalità. Fuori, il maxischermo della diretta di RTL era seguito da centinaia di persone.
Lo scenografia richiama il suo immaginario tv. Un borgo ancora umano, con un grande portone centrale aperto però su mura che ricordano la scenografia di Lady Gaga. Una taverna con i tavoloni dove sedersi e discutere (lui, Re degli Ignoranti) con gli acculturati Fitoussi, Stella e Rizzo. Scorre la parabola artistica di Celentano, con l’accompagnamento impeccabile di una ottima band di 18 elementi diretta da Fio Zanotti. Dal rock trascinante puri Anni Cinquanta di Rip It Up di Elvis e Little Richards che lo vide scatenarsi negli anni giovanili, alle malinconie pop di Si è spento il sole del ‘62, attualizzata con «Innamorare non mi voglio mai più/e non ci sono tute blu». Una scaletta che piomba in avanti con La cumbia di chi cambia dove si invita all’evoluzione, marchiata Jovanotti. Con i ballerini non si mette a saltellare, ma per aver quasi 75 anni mostra un fisico asciutto, e la sua voce continua a colpire.
Torna ai 90, con L’emozione non ha voce dedicata agli autori Gianni Bella e Giulio Mogol che lo tolsero da una lunga impasse artistica; omaggia il Fossati di Io sono un uomo libero. Momenti salienti della carriera vengono rivisitata. Pregherò, cover di Stand By Me, accolta da urla; per L’artigiano dell’81 che parla di tasse e di ministri ingordi che ne vogliono sempre di più (guarda un po’) arriva un coro gospel friulano: deve dargli un sacco di soddisfazione cantarlo. C’è come un fluire di sassolini che Celentano si toglie. Gran finale con l’amico Morandi, su Scende la pioggia e Ti penso e cambia il mondo. Trionfo, e nostalgie diffuse.
09/10/2012 – La Stampa