A fine anni Cinquanta un impresario tedesco convinse gli artisti che avrebbe combinato un grande incontro con il re del rock americano, ma scappò con il malloppo
Paolo Lazzari
Ora che giacciono lì, con quattro fichi secchi stretti tra le dita, forse cominciano lentamente a realizzare quello che dev’essere successo. Per averli comprati in un mercatino senza pretese conficcato nei dintorni di Norimberga, sono pure succosi. Comunque qualsiasi pietanza sembra più buona quando hai una fame maledetta. Luigi Tenco si stringe nelle spalle, abbandonandosi su un marciapiede crepato. Accanto a lui, Enzo Jannacci sfrega ancora il polso dove poco prima rimirava un orologio solo apparentemente luccicante. Poco più in là Adriano Celentano giace con le mani tra i capelli e il bassista del gruppo, Paolo Tomelleri, fissa sconsolato il vuoto.
Già, ma cosa è successo? Per capirlo serve annodare il nastro del tempo di qualche settimana. Fine anni Cinquanta. Trilla il telefono di Celentano: dall’altro capo del cavo squilla la voce di un impresario tedesco. Dice che può combinare l’incontro del secolo, quello tra l’astro sorgente del rock italico e il più illustre monarca statunitense del genere, Elvis Presley. L’artista si troverebbe di fatto in Germania, dove è di stanza per il servizio militare. Occasione succulenta. Subito Adriano allerta i colleghi: Jannacci al pianoforte, Tenco al Sax, lui alla chitarra e Tomelleri tra clarinetto e basso. Di anticipi per ora non se ne vedono, ma sono tutti concordi che bisogna partire.
Così mettono insieme un fondo cassa e acquistano i biglietti del treno, andata e ritorno. Viaggetto impegnativo, ma non troppo. Scendono alla stazione sbagliata, desertificata. Qualcuno li avvisa che devono rimontare sopra e tornare indietro, che sono andati lunghi. Stavolta ci prendono. Folla crepitante appena mettono giù piede, Tenco è il più introverso, ma poi si scioglie. La sera iniziano a suonare in qualche locale, ma per ora non vedono una lira. Tutto, comunque, è confezionato in virtù del fatidico incontro con Elvis.
Che però non avverrà mai. I nostri scoprono la lancinante verità: l’impresario teutonico ha tirato una patacca mostruosa. Non c’è un bel niente di organizzato. Non solo: è scappato con il malloppo versato per l’organizzazione della tournée. Peggio di così difficilmente potrebbe andare. Non fosse che il fondo cassa residuo lo detiene l’estroso Enzo Jannacci. Quando quegli altri lo tirano per la giacchetta per andare almeno a mangiare qualcosa, prima di riprendere il treno (per fortuna già pagato, almeno quello) lui dapprima tossicchia, poi, in uno slancio di coraggio, mostra la creatura al polso: “Sentite, col resto c’ho comprato un orologio“.
La truppa adesso è furibonda. “Ma sei scemo? Noi adesso cosa mangiamo?“. Aggredito, Enzo non si scompone: “Guardate – indica l’oggetto – che questo è waterproof. In Italia lo rivendiamo e ci facciamo una fortuna“. Peccato che un istante dopo va a lavarsi le mani e l’orologio, bagnato, comincia a perdere pezzi, si scioglie, diventa poltiglia. Truffa e contro truffa. Calano sipario e silenzio sulla comitiva.
Così adesso eccoli lì, intenti ad aggredire quattro fichi secchi di numero. Poi, stremati, si dirigono verso la stazione. Salgono sul treno con lo stomaco che nitrisce e la faccia pesta di chi ne ha buscate parecchie. Per fortuna il futuro sarà una canzone assai più allegra di così.
17/09/2023 – IlGiornale.it