I 75 anni di Celentano. Con lui Milano parla all’Italia
Milano, 6 gennaio 2013 – L’amico treno che fischia così era giusto a due passi da casa sua, nella corta e stretta via Gluck che Celentano avrebbe reso famosa con una canzone. Nel 1938 il quartiere di Greco era da pochi anni inglobato nel comune di Milano, benché fosse ancora periferia. Pochi anni dopo, la fetta più urbanisticamente interessante per azzardi architettonici, sarebbe diventata un centro direzionale tra i più moderni d’Europa.
Il ragazzo della via Gluck aveva qualcosa di speciale o forse di speciale l’ha avuto il luogo dove è nato: una casa di ringhiera con i gabinetti alla turca, come era d’uso nella Milano del ‘900 per operai e commercianti che per pagare una pigione meno cara si erano messi a costruire case in cooperativa. Celentano ha scritto «Il ragazzo della via Gluck» nel 1966. Già era un fanatico del rock and roll, già aveva richiamato attorno a sè la creme di cantanti e musicisti di una Milano vivacissima, da un lato legata alla sua memoria meneghina, dall’altro piena di spinte verso altri mondi e mode. Milano cresceva dopo la guerra. Riempiva i buchi un po’ a casaccio delle case bombardate, brulicava di voglia di nuovo da un lato e di bisogno di cancellare la tristezza di anni di fame e guerra. «Il ragazzo della via Gluck» è una canzone scritta nel 1966 per Sanremo. Celentano mostrava così le sue due anime: da un lato quella del rock boy, dall’altro quella intima che gli diede per sempre il marchio dell’ecologista.
Celentano era figlio di immigrati pugliesi e il suo attacccamento a quella casa in mezzo al verde lascia trasparire la vera natura del milanese che è malinconica. Del resto il ragazzo della via Gluck è stato un inno alla milanesità e non all’italianità (come invece è stato Azzurro) oltre ad essere diventato nel tempo un simbolo del progresso urbanistico che cancella non solo i prati ma anche le botteghe, le case basse, le trattorie col calciobalilla, il barbiere amico. Celentano ha interpretato prima di tutti la trasformazione di Milano e ne ha fatto un inno. «Là dove c’era l’erba ora c’è una città».
A 13 anni ha lasciato via Gluck per via Cesare Correnti. Pochi chilometri di distanza dove Adriano «respira il cemento». Questo distacco, emotivamente pesante per un ragazzino che corre appena può a rivedere gli amici, ricorda l’immigrazione del padre, da sud a nord, e di tanti altri meridionali che già nel 1920 erano venuti a Milano ad aprire botteghe o fabbriche o negozi. La città che aveva ampie aeree semi-periferiche dove pascolavano le pecore (compresa la zona di Greco) attirava per il lavoro, non certo per la sua bellezza. È così che il successo del «Ragazzo della via Gluck» non è stato decretato da Sanremo, bensì dalla gente: Celentano parlava al cuore di tutta l’Italia della metà degli anni ’60.
La via Gluck era il simbolo del paese perduto (benchè non lo fosse già più) fagocitato dalla metropoli e i suoi implacabili ritmi. Ricordi, infanzia felice, rapporti più umani nonostante le scomodità. Il Pirellone (quel grattacielo di trenta piani che non smetterà mai di odiare) insieme alle torri delle Varesine facevano a pugni con una città romana e medioevale, ancora a misura d’uomo. Celentano ha lasciato Milano quarant’anni fa per Galbiate, da dove domina i laghi brianzoli, sul crinale tra il monte Barro e Colle di Brianza. Nella casa dove è nato, il 6 gennaio 1938, adesso ci sono altri immigrati che vengono da paesi lontani. Anche loro pieni di rimpianti.
di Bruna Bianchi
06/01/2013 – Il Giorno (www.ilgiorno.it)