L’idea della serie di animazione kolossal di Adriano Celentano non funziona perché è stata superata da una diversa forma di populismo antisistema
di Mattia Persivale
Mentre scrivo questa Videocrazia non è dato sapere se la sospensione di Adrian, su Canale 5, sia semplicemente temporanea (motivazione ufficiale: «malanno di stagione» del protagonista) o se sia stata cancellata dopo pochi episodi la serie di animazione ideata scritta e diretta da Adriano Celentano e disegnata da Milo Manara. Un kolossal annunciato da anni, con collaborazioni prestigiose, prima serata su Canale 5, una produzione costata decine di milioni di euro con oltre mille animatori in tre continenti (Asia, Africa, Europa). L’eroe ovviamente è Celentano giovane, Adrian, orologiaio che ama la bellezza e l’ecologia ma vive in un futuro oscuro un po’ alla Blade Runner dominato da un potere corrotto. La serie evento, prodotta dal clan Celentano, era partita al lunedì e poi spostata al martedì per non scontrarsi con i nuovi episodi di Montalbano causa ascolti obiettivamente molto deludenti (anche sotto il 10%). Io, pur riconoscendone l’obiettiva grandezza di performer, non sono mai stato un fan di Celentano: per motivi generazionali (difficile, da ragazzi, ascoltare musica di qualcuno che è più vecchio dei tuoi genitori) prima di tutto. Non ho amato la sua musica, e da bambino e adolescente restavo perplesso davanti ai suoi film di enorme successo (a me sembravano brutti). Quando poi l’Italia lo ha eletto, quand’ero al liceo, a furor di audience, commentatore politico e di grandi temi d’attualità, sono rimasto ugualmente perplesso. Ricordo quella volta in cui invitò gli italiani, da Fantastico che, se non ricordo male, era tecnicamente un varietà, a scrivere sulla scheda di un referendum “La caccia è contro l’amore”, invitandoli cioè di fatto dalla tv di Stato ad annullare le schede e scatenando un putiferio: io non potevo ancora votare ma ricordo che mi fece molto ridere lo stesso. Però è lo stesso Celentano che compiendo forse senza saperlo un’opera meritoria per la salute civica e morale degli italiani (maschi), invitò Franca Rame, in un’Italia molto diversa da quella pur problematica di oggi, a recitare in diretta il suo monologo sullo stupro subìto, monologo che seguii pietrificato e al ricordo mi fa ancora accapponare la pelle. A distanza di un trentennio, gliene sono ancora grato.
Ho guardato Adrian perché l’animazione mi piace e speravo che fosse più bello: non è brutto né, ovviamente, mal disegnato. Più che altro è abbastanza inutile, un elegante topolino partorito da una montagna di aspettative poco realistiche. L’idea portante di Adrian, il difensore del popolo contro il potere oscuro e senza volto, non funziona. Non perché sia banale – spesso la banalità funziona, la tv e la politica lo testimoniano ogni giorno – o perché sia anacronistica, ma perché ormai il celentanismo è stato soppiantato da una forma diversa di populismo anti-sistema e anti-intellettuale, in un’era digitale che Celentano non poteva prevedere né cavalcare come nel 1987. Quando ero ragazzo e Celentano, cattolico, faceva recitare in diretta su RaiUno al laico Dario Fo un monologo sull’infanzia di Gesù per l’irritazione della Cei c’era chi si domandava cosa sarebbe successo se Adriano – anti-politico, ecologista, pacifista, autoritario – avesse fondato un partito. Trent’anni dopo, lo sappiamo. Adrian arriva in ritardo.
15/02/2019 – Sette (www.corriere.it)