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Imitatio Adriani

Adriano in una scena di Grand Hotel Excelsior

Adriano in una scena di Grand Hotel Excelsior

I primi 80 anni di Adriano Celentano, attraverso la storia e le storie di chi ha cercato di imitarlo da sempre. Ovvero, 60 milioni di italiani

di Paolo Madeddu

Mancano statistiche affidabili in proposito, ma se dovessimo quantificare la percentuale di italiani (maschi) che prima o poi nella vita hanno fatto l’imitazione – verbale, più spesso che cantata – di Adriano Celentano, anche solo per gli amici o i colleghi, ci sentiremmo di ipotizzare più un 66% che non un 50%. Potrebbe essere uno degli aspetti che realmente lo separa e definisce all’interno del gruppo (nemmeno troppo ristretto) dei notissimi della nazione, e non stiamo parlando esclusivamente dell’ambito dello spettacolo.

Si pensi a Totò, Alberto Sordi, Lino Banfi, Paolo Villaggio, che per quanto amabilmente scimmiottati tanto in show di varia grandezza quanto al bar o nelle tavolate in famiglia, non hanno mai sfondato tra gli impersonators, i discepoli che come quelli di Elvis o Michael Jackson riescono a farsi pagare decentemente per portare il simulacro nelle discoteche, ai matrimoni o in eventi di varia natura.

Per citarne solamente uno su mille, il video su YouTube che illustra come l’inaugurazione di un negozio a Frosinone sia stata impreziosita dalla presenza del sig. Sasà Celentano, armato di cappello nero, chitarra, Ray-ban a goccia e refrain: “Sei forte!”, l’intercalare adottato come titolo anche dal Concorso nazionale degli imitatori di Celentano tenutosi nel 2016 presso Cerreto Guidi, un’apoteosi di stivaletti, occhi sbattuti, mandibole bloccate, vinto dal cagliaritano Antonio Correa, detto il Bismolleggiato.

In effetti tra gli imitatori professionisti, categoria che in Italia è in abnorme, continua espansione – faccenda che sicuramente dice alcune cose sul nostro rapporto un po’ malato con lo Spettacolo – va avanti da anni una piccola diatriba.

Per una scuola di pensiero, imitare Celentano è un cimento talmente ovvio e diffuso da squalificare un artista che lo annoveri in repertorio; per altri, viceversa, proprio perché si tratta di un territorio frequentatissimo, bisogna essere dei campioni per uscirne vincitori.

Al di là di una notorietà che dura praticamente da sessant’anni (il suo successo inizia non casualmente con la diffusione dei media moderni, tutti quanti progressivamente occupati in ogni possibile modalità: come cantante, attore, presentatore, opinionista), il suo radicamento nell’immaginario italiano ha a che fare anche con questo stretto rapporto con la riproducibilità della sua più duratura opera d’arte: l’immagine, appunto.

Dopo gli inizi da rocker “molleggiato” e “urlatore”, tale immagine ha preso gradualmente i connotati del dritto da balera, dell’Asso di quartiere, ed è poi sfociata negli anni ’70 nel carismatico, silenzioso anticonformista e maschio alfa alla Fonzie, per citare un apprezzatissimo condensato di cliché italiani emerso proprio nello stesso periodo.

Nelle sue manifestazioni più ironiche questo Celentano è riscontrabile nelle esibizioni televisive con Mina o in alcune delle sue popolarissime commedie all’italiana, mentre in quelle più vicine al confine con il delirio di onnipotenza si sono avute le identificazioni messianiche di Joan Lui o gli inviti ad annullare le schede elettorali tramite servizio pubblico, per solidarietà con le foche.

Probabilmente sotto le varie sfumature di questo personaggio perfezionato di decennio in decennio si intuisce sempre la rivendicazione di essere, nella sua stessa definizione, il “Re degli ignoranti”.

Roma, 1° luglio 1982: Adriano Celentano durante le riprese di Grand Hotel Excelsior. © Edoardo Fornaciari / LUZ

Roma, 1° luglio 1982: Adriano Celentano durante le riprese di Grand Hotel Excelsior. © Edoardo Fornaciari / LUZ

Del resto se Umberto Eco nella Fenomenologia di Mike Bongiorno aveva sottolineato come Mike (anche lui, parecchio imitato, anche se meno del quasi inflazionato Celentano) riuscisse gradito al popolo perché si poneva intellettualmente su un piano apparentemente inferiore a quello dello spettatore, ecco che il medesimo principio si potrebbe applicare al Ragazzo della via Gluck – incidentalmente, una canzone facilissima da riprodurre alla chitarra, che è quasi superfluo sottolinearlo, inizia con la rassicurante premessa: “C’era una volta, uno di noi” (in realtà, ed è quasi superfluo sottolinearlo, “Questa è la storia/di uno di noi”, ndr).

Come testimoni di tanti anni di Celentaneide fatta di pause e incoerenze, anche gli italiani più diffidenti e complottisti faticherebbero a ipotizzare una strategia consapevole, un calcolo dietro all’imitabilità di tanta “pubblica ottusità”, il sospetto che sia studiata a tavolino e incentivata anche da un costante studio di nuove raffigurazioni: la prossima dovrebbe essere un cartone animato che lo vede protagonista: la produzione è in corso da anni.

In realtà, essendo Celentano totalmente istintivo – nel bene e nel male – ha capito istintivamente quali fossero i gesti, i toni, le parole, i tic e le smorfie che avrebbero colpito l’immaginazione dei suoi connazionali, che avrebbero fatto sorgere il desiderio di appropriarsene e sempre con l’ossequio dell’omaggio, mai del dileggio.

Nessuno, neanche in occasione di vivaci polemiche attorno alla sua persona, ha mai fatto un’imitazione satirica, maligna di Celentano.

In quest’ottica, il fatto che Celentano prima che come cantante debutti a sua volta come imitatore risulta piuttosto significativo. Così come il fatto che nel corso del tempo abbia colto al volo ogni possibile opportunità di giocare con i propri sosia, fin da quando a Milano gli venne presentato Teo Teocoli.

Con Teocoli andò così: “Avevo 13 anni, lui quasi 20, ed io che ero un suo grande fan lo aspettavo in via Gluck. Quando lo vedevo arrivare a bordo della sua Giulietta azzurra non stavo nella pelle. La prima volta che sono riuscito a incontrarlo faccia a faccia mi disse ‘Ué, ma questo qui è uno specchio’ (…) Lui era contento di avere già degli imitatori e mi disse: ‘Senti, vieni su a casa’, e mi portò da sua madre Giuditta alla quale disse ‘Mamma, guarda come mi somiglia!’“.

Arruolato nel Clan come cantante, Teocoli sarebbe diventato lentamente ma inesorabilmente uno showman incontenibile, ma non grazie al suo idolo che anzi, gli avrebbe negato la chance di interpretare Nessuno mi può giudicare, poi portata al successo da Caterina Caselli.

Il suo rapporto con l’ondivago mentore è sfociato spesso in violenta delusione, eppure nei suoi spettacoli difficilmente si esime dal riproporre quel suo primo passo nel mondo dello spettacolo, la più longeva delle sue imitazioni.

Inevitabilmente, per celebrarsi meglio, Celentano lo ha invitato più volte a farlo nelle sue trasmissioni, da Francamente, me ne infischio o Rockpolitik. La gag tuttavia prescinde da Teocoli: anche nella sua versione del varietà Fantastico, nel 1987, aveva accanto un abile replicante, Aldo Pellegrini. Nel 1989 Pippo Baudo, durante Serata d’onore, gliene regalò addirittura cinque, in competizione serrata e ancheggiante per una parola d’apprezzamento del divo.

Difficile dire comunque chi sia stato il migliore tra gli imitatori diplomati: secondo alcuni fu Gigi Sabani, per altri è Max Tortora; qualcuno ricorda Alfredo Papa, mentre in anni recenti si è fatto notare David Pratelli. Sarebbe stato interessante vedere all’opera anche un ammiratore così devoto da prendere il nome dell’imitato: “Ero un fan totale di Celentano. Cantavo come lui, mi muovevo come lui. Se mi chiamo Jerry è perché facevo l’imitazione di Adriano che imitava Jerry Lewis” (Jerry Calà).

Roma, 1° luglio 1982: Adriano Celentano durante le riprese di Grand Hotel Excelsior. © Edoardo Fornaciari / LUZ

Roma, 1° luglio 1982: Adriano Celentano durante le riprese di Grand Hotel Excelsior. © Edoardo Fornaciari / LUZ

La metamorfosi più recente e piuttosto inedita è quella di Claudio Lippi, che a Tale e Quale Show si è esibito in Una carezza in un pugno, ricevendo il plauso della giuria sia per l’interpretazione del brano che, come è regola del programma di RaiUno, per l’immedesimazione fisica (che da Lippi, se non altro per caratteristiche somatiche e mimica, era onestamente difficile aspettarsi). La cosa tra l’altro permette di sottolineare come l’imitatio Adriani sia una pratica che raramente si limita al fatto musicale.

Da questo punto di vista, è ben vero che Toto Cutugno (a suo tempo, autore per il più celebre collega, finché questi non scartò la poi celeberrima L’italiano) ha ammesso, parlando della propria enorme popolarità nell’ex URSS: “Non c’è dubbio che il mio successo è legato anche alla indisponibilità di Adriano Celentano che resta l’artista più venerato dell’ex impero sovietico. Io, che in qualche modo lo evoco in quanto autore e anche per ragioni timbriche, sono considerato una spanna sopra tutti i miei colleghi italiani“.

Ciononostante, non si può dire che il divo milanese sia stato particolarmente emulato dai cantanti della penisola: altri colleghi (per esempio Battisti, De André, De Gregori, Vasco Rossi) hanno fatto molti più proseliti di lui.

Uno tra i pochi Celentaniani espliciti è Francesco Gabbani, che sia al Festival di Sanremo che su disco e in tournée ha espresso il suo tributo interpretando Svalutation e Susanna.

Per contro, un Celentaniano abilmente dissimulato è certamente Jovanotti, che al di là di una relazione con Rosita Celentano e diverse canzoni scritte appositamente per il mancato suocero, ne ripropone in chiave moderna quella stessa vocalità vagamente trascinata (opzione che, senza offesa, per Jovanotti è piuttosto vantaggiosa). Del resto, “Se devo pensare a un cantante italiano che mi piace, penso immediatamente a lui“, ha confermato in una recente intervista. Ma forse il più attento nel riprodurre musicalmente il modello è stato Checco Zalone, che ha infuso lo stile musicale, timbrico e lirico nella sua canzone La Prima Repubblica, inserita nella colonna sonora del suo film Quo Vado?, ricevendo – immancabilmente – l’elogio del cantante.

Ad ogni modo non c’è dubbio, quelli che vogliono ricalcare Celentano, più che i suoi colleghi cantanti o showmen, sono gli italiani stessi. Che vogliono essere quello che è riuscito a essere lui.

Miliardario ma predicatore, ignorante e re, rivoluzionario e conservatore, pessimista e utopista, anticonformista militante con fama di “scomodo”, eppure inseguito a colpi di milioni dalle reti generaliste. E ancora: marito devoto purché con facoltà di flirt con la più bella attrice italiana e la più famosa cantante italiana (in realtà nessuno hai mai parlato di un presunto flirt, ovviamente inesistente, con Mina, ndr).

Probabilmente è pure, contemporaneamente, creazionista ed evoluzionista; come dimenticare che uno dei suoi alter ego più famosi è lo scimmiesco Bingo Bongo? Chiunque lo abbia mai criticato per incoerenza ha da tempo rinunciato, e forse in fin dei conti questo senso di immunità, di carta bianca, unito allo scetticismo nei confronti degli intellettuali e delle istituzioni, rappresenta il vero sogno di cui milioni di italiani vorrebbero appropriarsi quando ne fanno l’imitazione.

Insieme, beninteso, alla sfrontatezza guascona del lasciarsi descrivere con le parole Segni particolari: bellissimo.

05/01/2018 – Sapiens (www.spns.it)

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