La Repubblica – Adriano Celentano: sono ancora in difetto con Dio [FOTO]
Come anticipatovi tempo fa, su La Repubblica, un’iniziativa di Gino Castaldo ha riportato alla luce vecchie interviste inedite a personaggi famosi. Oggi è toccato ad Adriano Celentano
Nessuno è riuscito neanche lontanamente ad avvicinarsi all’irriverente disinvoltura con la quale ha inciso nel corso del tempo rock’n’roll, canzoni d’amore struggenti, scenette comiche, pezzi di denuncia, rap ante-litteram, ballate strapaesane, comizi, preghiere, esperimenti estremi, l’unico che una volta, tantissimi anni fa, di un suo disco disse: “Non compratelo è venuto male”. L’unico, inconfrontabile Adriano Celentano, re degli ignoranti per autoproclamazione, cantante leggendario, occasionalmente profeta.La prima intervista ritrovata risale al 1997, poco prima del megaraduno musicale che fu organizzato nei pressi di Bologna per Papa Giovanni Paolo II. Prima di allora Celentano non era stato tenero nei confronti delle istituzioni cattoliche.
Allora, questa volta ha fatto il bravo ragazzo?
«Ah sì, più bravo di così cosa devo fare? Ho soppresso ogni punta di orgoglio. Però devo dire che dal momento in cui ho deciso di fare retromarcia, mi sono sentito liberato».
Ma davvero è successo mentre ascoltava la messa?
«Sì, nel duomo di Lecco. Il parroco non sapeva neanche che ero lì, ma ha letto quel passo del Vangelo in cui Gesù dice: se volete seguirmi dovete rinnegare voi stessi. Mi è bastato. Anche perché sentivo che avevo ragione con gli uomini ma c’era un riguardo per l’Altissimo. Insomma, meglio una figuraccia con gli uomini che non sentirsi a posto con Lui».
La Chiesa ha capito che la musica rock non è da trascurare. Come tutte le cose ha i suoi lati negativi, esisterà anche il rock satanico, ma ha anche i suoi lati buoni…
«Esiste anche il rock “divinico”. Approvo la scelta di usare la musica. Ho sempre pensato che Dio è dappertutto, anche nelle cose allegre, nei campi, in ogni manifestazione della vita».
In quel periodo Celentano era diventato di nuovo un big della canzone. Nel 1994 era tornato dal vivo dopo quindici anni di assenza e i suoi dischi a partire da Mina Celentano del 1998 vendevano cifre da capogiro. Del disco con Mina racconta la genesi del pezzo in dialetto foggiano…
«È divertente com’è nata Che t’aggia di’. M’è venuta all’improvviso, una notte, e il giorno dopo l’ho fatta sentire a Mina. Lei ha riso, ha detto: è fortissima, mi piace moltissimo, però io “cazzo” non lo posso dire, se lo sente mio padre spegne il giradischi. Io le spiegavo che era un fatto di costume, mia madre, foggiana, lo usava come intercalare. Poi, discutendo ci è venuto in mente di censurarlo, ma trasformandolo in una gag, col fischio, e lei che dice: ho sentito un fischio?». Però nel pezzo Mina a un certo punto risponde con un “vaffa”… «Sì, le dicevo le frasi del testo in foggiano e lei le ripeteva al microfono, finché non erano perfette. È bravissima, arrivava a una pronuncia perfetta. Ho capito che era in vena, così a un certo punto anche se non era previsto ho detto “vaffa…” e lei lo ha ripetuto perfettamente. Allora ho detto: questa la teniamo, è troppo bella».
Subito dopo, nel maggio del 1999, arrivò il successo esplosivo di Io non so parlar d’amore.
Molti hanno percepito questo disco come una pausa tra cose più impegnate…
«Tutti si stupiscono, mi dicono che canto bene, come fosse il primo disco che faccio. Ma io mi stupisco che gli altri si stupiscano. Già quando è uscito il singolo mi dicevano: oh, ma è forte. Ho capito che avevo disabituato la gente. Forse per molti anni ho badato più alle cose che volevo dire a tutti i costi e il canto veniva messo in secondo piano».
Ma questa musica può avere un effetto benefico anche se non parla di cose impegnate?
«Io sono convinto che la musica faccia bene. Per questo sostengo che si può dire qualcosa anche se non si dice niente…».
Alla fine è appagato da quello che fa? «Non si può mai essere appagati. Sono un credente, e adesso che gli anni diventano giorni, ti domandi sempre se sei all’altezza di presentarti al Creatore, se lui ha stima di quello che hai fatto, io mi sento sempre in difetto, non faccio abbastanza, e non capisco perché non lo faccio. La giustificazione è che faccio altre cose per la causa, ma non mi basta. La massima felicità che può avere un credente è quella di dire: a me Dio non mi può dire proprio niente. Io non lo posso dire, mi sento in fin dei conti un buono, ma anche in difetto. Fare il cantante lo sento parte di questo progetto, soprattutto quando ci sono reazioni di questo tipo, quando la gente è contenta e ti fa dei complimenti, anche esagerati. Mi dico: guarda un po’ com’è contenta la gente, più di me che l’ho fatto. In questo caso mi sento di avere una specie di compito, se poi non facessi neanche questo sarei da mandare al purgatorio».
La produzione dei dischi di Celentano in quel periodo era instancabile. Nel 2000 uscì Esco di rado e parlo ancora meno, e dentro c’era Io sono un uomo libero, un pezzo di Ivano Fossati. «Sì, anche questa canzone mi rappresenta molto. Quando sono stato a Genova a cantare al tributo per De André, e una parte del pubblico mi ha fischiato, lui ha scritto un articolo per difendermi, contro i genovesi, che secondo lui non avevano capito. Io gli ho detto che sarei stato felicissimo se avesse scritto per me. Poi lui mi ha mandato un provino e la cosa buffa è che nel provino lui l’aveva cantata imitando me, e poi quando l’ho cantata io ho imitato lui che imitava me».
Nel disco “Per sempre”, del 2002, c’è una canzone intitolata “Respiri di vita”, l’unica cantata con una specie di incertezza nell’interpretazione. È così?
«Sì, l’avevo cantata bene, era tutto a posto, però poi rileggevo il testo e dicevo: caspita, il testo è bello ma quando la sento cantare non mi dice niente. Com’è possibile? Ho dedotto che dipendeva dall’interpretazione troppo normale, e quindi mi sono immaginato una situazione d’incertezza, che poi riguarda il mondo di oggi. Ho immaginato gli uomini di tutto il mondo, più incerti di un bambino di 5-6 anni e m’è venuta così».
Non solo Fossati, c’è anche un pezzo di Guccini, fatto ancora più sorprendente, a partire da un verso che dice “un tuo cribro”, parole da cercare sul dizionario…
«No, io… infatti ho chiamato Claudia e ho detto: Claudia, fa’ un favore, chiama Guccini e dì che ha fatto un errore, c’è un “cribro” che non vuol dire niente, forse lui voleva dire un’altra cosa. E invece lui ha detto: No no, guarda che voleva dire proprio quello».
È contento di quello che è diventato oggi?
«Mah, io sono contento, ma devo dire che sono sempre stato contento, nel senso che adesso sono ancora più contento per il semplice fatto che mi sono capitate due cose importanti: la prima riguarda queste vendite sproporzionate, e la seconda è forse quella che mi fa ancora più contento: mi sono comprato i ferri per aggiustare le cose e mi sto divertendo molto…».
Orologi? «Principalmente gli orologi, però anche altre cose, sai, mi sono preso un tornio per fare i pezzi… beh, quando vieni qua poi ti faccio vedere».
La prestigiosa rivista francese “Les inrockuptibles” le ha dedicato un servizio dai toni clamorosi…
«Devo dire la verità, sono rimasto sorpreso. Quando tirai fuori Prisencolinensinanciusol, che ha preceduto il rap di dieci anni, in Italia non successe niente. Passarono sei mesi e mi chiamò la Cgd per dirmi che dovevo pensare a un nuovo pezzo. Io dissi, ma no il pezzo ce l’ho già, è già inciso. Come, risposero, hai già inciso il pezzo e non ci dici niente? Ma no, dico io, lo conoscete bene, è Prisencolinensinanciusol. Contemporaneamente arrivò dalla Francia uno di una radio libera, dicendo che voleva comprare dei pezzi miei, e dopo averne ascoltati un po’ disse “voglio questo”, ed era Prisencolinensinanciusol. Il direttore artistico della Cgd gli spiegò che il brano in Italia non aveva fatto nulla, e lui disse, ok, lo prendo lo stesso, lo mise in radio ed ebbe un sacco di richieste e io, allora per contratto potevo farlo, ho imposto di ripubblicare il pezzo dopo un anno. Ha venduto un milione di copie». Nel 2004 arrivò un ennesimo disco, C’è sempre un motivo, con canzoni d’amore che mostravano disagio, sofferenza. Sembrava che ci fosse sotto qualcosa, una ribellione compressa e così Celentano spiegò la sensazione… «Mi piacerebbe senz’altro che il mondo fosse un po’ diverso, però credo che al primo posto nel mondo ci sia l’amore, viene prima dei tre pasti principali, prima del lavoro, prima di qualsiasi cosa. Tutto quello che succede oggi nel mondo è un peso che l’amore si sta sobbarcando, cioè anche due che sono innamorati, che non potrebbero non pensare a nient’altro che al loro amore, loro non lo sanno, ma poco per volta c’è questa goccia di tutti i casini che succedono nel mondo che va a ferire questo rapporto. Ecco perché penso che questo disco sia giusto così».
Tutto questo mette a posto la sua coscienza? Cosa ne pensa il libero pensatore Adriano Celentano?
«La mia coscienza critica è appagata per quanto riguarda il lavoro, cioè se devo fare un disco, oppure la televisione, o se dovessi fare un film… magari non mi sento a posto con la coscienza per fatti diciamo umani, vorrei fare qualcosa di più per aiutare gli altri. Potrei fare di più? Da quel lato lì non sono sicuro di avere la coscienza a posto. Ma alla fine quello che conta è che.. insomma io devo decidere, o sono bugiardo o sono sincero. Se devi essere sincero devi essere sincero sempre, fino alla morte, capisci? È quello il fatto».
Il 6 gennaio del 2008 Celentano ha compiuto 70 anni, un’altra occasione per intervistarlo. Tempo fa osservammo che in lei convivevano due anime contrastanti, una più rivoluzionaria, ribelle, e un’altra più tradizionalista, conservatrice. Allora disse che si riconosceva abbastanza in questa definizione. È ancora così? «Credo di sì. Mi ribello a coloro che per soddisfare i propri interessi ci portano via i giochi, senza minimamente pensare alle conseguenze. Mi ribello alla politica, tutta. Nessun colore escluso. Comunisti, democristiani, tanto per citare i più responsabili, i quali non hanno fatto niente per fermare l’assalto dei distruttori “edili” capitanato dai comuni. Mi ribello alla povera gente che pur di avere un tetto, accetta di vivere in quelle scatole tombali dove lo sguardo di ciò che li circonda affonda nel nulla. Mi ribello a coloro i quali credono che essere moderni voglia dire cancellare in un sol fascio tutto ciò che è stato. Insomma mi ribello contro chi non tiene conto di ciò che siamo e da dove veniamo. Perché nessuno è più moderno di chi conserva la capacità di non dimenticare il passato». Se dovesse fare un bilancio della sua vita, pensa di avere commesso degli errori? «Per rispondere a questa domanda dovrei fare un replay di tutta la mia vita. Potrei anche farlo, ma mettiamo il caso che non trovi neanche un errore?».
30/07/2020 – La Repubblica