Rivoluzione borghese: il ’68 alternativo secondo Celentano
di Paolo Giordano
Dopotutto basta solo quel «Cerco l’estate tutto l’anno» e si capisce subito: è uno degli inizi più riconoscibili di sempre e in mezzo secolo è diventato anche un modo di dire. «E all’improvviso eccola qua».
Azzurro è uno dei brani italiani più cantati nel mondo, solo Nel blu dipinto di blu di Modugno o Con te partirò di Bocelli fanno meglio.
Ed è forse uno dei brani più involontariamente simbolici della nostra canzone d’autore. Senza volerlo, l’Azzurro del cielo cantato da Adriano Celentano si è ritrovato in mezzo alla tempesta. È arrivato nei negozi il 25 maggio 1968, dodici giorni dopo gli ottocentomila in piazza a Parigi che infiammavano il Maggio francese e una settimana prima che De Gaulle, rassegnato, indicesse nuove elezioni. Era l’esplosione definitiva del Sessantotto, la roulette sul tavolo del mondo che rendeva imprevedibile qualsiasi puntata. Non bastasse, a inizio giugno assassineranno Robert Kennedy e arresteranno il killer di Martin Luther King, ucciso ad aprile.
Quando il mondo è in subbuglio, di solito la musica popolare si sdoppia. Da una parte c’è quella che alimenta le fiamme, che attizza la polemica, i sogni, le illusioni. Dall’altra ci sono le canzoni che (volontariamente o no) si mettono tra parentesi, sono diverse e distanti e diventano un punto di riferimento rassicurante, persino simbolico, per la maggioranza silenziosa. Azzurro è il brano che ha punteggiato con il suo successo straordinario un periodo cruciale della nostra storia. E lo ha fatto con un testo praticamente borghese e sostanzialmente in contrasto sia con le tendenze del rock (ad esempio Che colpa abbiamo noi dei Rokes) che con gli altri tormentoni di quell’estate come Luglio di Riccardo Del Turco e Ho scritto t’amo sulla sabbia di Franco I e Franco IV. La musica è di un «neo assunto» dal Clan di Celentano, ossia Paolo Conte, astigiano, avvocato per forza e convenzioni sociali ma musicista per passione, un’anima inquieta che aveva studiato trombone e vibrafono prima di farsi conoscere con il suo Paolo Conte Quartet e iniziare a scrivere canzoni per altri. Ovvio che un tipo così, coltissimo ma non autoreferenziale, piacesse a Celentano, che invece era meno colto ma molto più compiaciuto. E Conte aveva pensato proprio all’allora Molleggiatissimo per cantare quel brano. Le parole sono di Vito Pallavicini che telefonò a Celentano: «Ho scritto il testo di una canzone su una musica di Paolo Conte che non puoi non incidere perché sarà l’inno degli italiani: si chiamerà Azzurro». La musica è una marcetta perché, come ha spiegato proprio Conte, «io voglio scrivere una musica fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità».
Fuori moda. Identità.
La moda di allora era ovviamente la «rivoluzione». E si parlava di «identità» solo per cambiarla, criticarla, annullarla. A marzo era stata celebrata a Torino la prima messa in italiano invece che in latino, a giugno era partita l’ennesima versione di un «governo balneare», stavolta guidato da Giovanni Leone perché nessuno nelle segreterie di partito voleva prendere decisioni prima dell’autunno. Nel frattempo Adriano Celentano era in radio e in tutti i juke-box cantando «sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa» ma «ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar». Il massimo della controtendenza: rimpiangere pubblicamente le chiacchiere con il parroco non era «pop» e non faceva tendenza (come si dice oggi). Per capire quel tempo musicale, il disco più venduto in Italia nel 1968 è stato Tutti morimmo a stento di Fabrizio De André con canzoni come Cantico dei drogati e Leggenda di Natale, non proprio pensierini oratoriali.
In sostanza, Azzurro tutto voleva/poteva fare tranne che intercettare la protesta o compiacere un pubblico guerrigliero. Se «lei è partita per le spiagge» è certamente di famiglia benestante. E qualcuno ha letto quel «treno dei desideri nei miei pensieri all’incontrario va» come una dichiarazione di distacco dal pensiero dominante, una sorta di attestato conservatore di fronte a un progressismo forsennato a tutti i costi. Allora (e soprattutto dopo) la chiave interpretativa di tante canzoni era, si sa, quella politica. «Quando Celentano registrò Azzurro – ha raccontato Paolo Conte, che in quel periodo era in classifica anche con Insieme a te non ci sto più scritta per Caterina Caselli – portai a casa una copia del provino. Accesi il magnetofono. Mia madre si mise a piangere. Mi domando ancora adesso quanto ci fosse, in quelle lacrime, di passato o di futuro».
Di certo c’era l’emozione di aver ascoltato un brano che non era rock, non era liscio, non era una ballata ma aveva arrangiamenti molto americani nel senso più tradizionale del termine, ossia jazz e swing. E poi c’era la voce di Celentano, molto composta, talvolta quasi rotta dall’emozione, sicuramente meno spettacolare e «molleggiata» del solito. L’effetto che ha provato la mamma di Paolo Conte non fu isolato. Il brano divenne «il fenomeno» di quella estate. Da metà giugno rimarrà nella top ten fino al 16 novembre, qualcosa che ormai capita sempre più raramente e, nei decenni, ha benedetto soltanto pochi successi. A settembre, più o meno in concomitanza con la morte di Padre Pio da Pietrelcina, va al numero uno per un mese e vende ben più di un milione di copie. Il tutto, sia chiaro, senza che Celentano facesse quella che ora si chiama «promozione». Tutt’altro.
Era impegnato nelle riprese di Serafino di Pietro Germi e lasciò che il brano facesse il proprio corso. Pensate, la prima, vera interpretazione televisiva di Azzurro è del 1969 in Stasera Adriano Celentano, che è diventato in pratica il «videoclip» ufficioso del brano con lui che guida un «trenino» formato da una ventina di ballerini in uno studio tv enorme e vuoto, tutto rigorosamente in bianco e nero. Un impatto enorme sugli spettatori. «Quando canta, è completamente naturale, ma non si perde una sillaba, si capisce tutto», ha spiegato Conte e lo può confermare chiunque lo ascolti ancora oggi, cinquantun anni dopo, mentre si apre con quell’irresistibile «il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me, mi accorgo di non aver più risorse senza di te». Con il tempo, Azzurro è diventato uno «standard», come direbbero gli americani. Ma conserva qualcosa che noi abbiamo più di tanti altri, la voglia di immaginare un cielo azzurro sul quale scrivere sentimenti buoni pensando a qualcuno al mare.
09/07/2019 – Il Giornale