di Edmondo Berselli
Un doppio cd a due facce: d’amore e di protesta. Titolo: ‘L’Animale’. Ovvero, Adriano in persona. Che ci ha raccontato il suo ultimo lavoro
Adriano, chi è l’Animale? “Perché, non si capisce?”. Era una domanda retorica, tanto per cominciare. “Ah, per rompere il ghiaccio. Insomma, l’Animale sarei io”. Ha una sua logica. “Dai, è tutto chiaro, volendo. Due facce della stessa figura, l’istinto e la ragione, il corpo e l’anima, l’amore e la guerra.”. Adriano e Celentano, anche. Una specie di vitale e felice schizofrenia. “Ecco”. Così originale e irrisolta da attrarre sempre lo sguardo, del pubblico e degli intellettuali, del popolo e della politica. Il fatto è che oggi, venerdì 28 novembre, esce un nuovo album di Adriano e di Celentano, intitolato appunto ‘L’Animale’, che comprende due dischi, due facce della medaglia. Il primo con le canzoni d’amore di tutta una carriera, il secondo con i brani che hanno fatto di lui una specie di oracolo dell’Apocalisse, un leader della denuncia, un vessillifero della protesta.
Nella sua casa in Brianza, Celentano dà l’impressione di trascorrere la sua vita cercando di rallentarla. Gli orologi da riparare, il tornio, gli attrezzi. “Il tempo dedicato alla musica? Non molto, per la verità”. Eppure non si direbbe. Sembra invece di avvertire un’applicazione minuziosa. Il primo disco si apre con un inedito, ‘La cura’, e può dare anche un colpo al cuore ascoltare l’ex Molleggiato al suo meglio, perché forse non ha mai cantato così, con quella voce irripetibile che alla fine è diventata capace di interpretare in tutte le sue sfumature un classico moderno come la canzone di Franco Battiato e Manlio Sgalambro: facendone sentire i riverberi quasi misterici, soprattutto nel momento in cui il coro canta le parole aggiunte da Battiato a questa preghiera d’amore, “Dona eis requiem”, e la voce si spinge in alto, ‘in excelsis’, partendo dalla gola per sfiorare qualche strano cielo, lassù.
Poi scivolano via tutte le altre canzoni, gli standard come ‘Acqua e sale’ con Mina, ‘Una carezza in un pugno’, ‘L’emozione non ha voce’, gli hit antichi come l’epocale e teatrale ‘Storia d’amore’. Ma per cambiare scena e registro basta infilare nel lettore il disco numero due, quello ambiental-protestatario, ed ecco che l’Animale scatena la sua forza muscolare e visionaria. Già, l’Animale. Com’è venuta fuori questa definizione? “Mah, Lorenzo mi aveva mandato un testo bellissimo.”. Lorenzo chi? “Lorenzo lui, Cherubini”. Cioè Jovanotti. “Proprio. Poi non abbiamo composto la musica, forse lo faremo più avanti, insieme, e Claudia allora dice: intanto facciamone il titolo dell’album nuovo. Urca, dico, idea forte, se Lorenzo ci sta.”. Ci sta, figurarsi. Chi direbbe di no a quella bestia dell’Animale?
E allora uno dovrebbe mettersi comodo in poltrona e ascoltare il nuovo inno politico-ecologico, ma qui arriva lo choc. Fin dal titolo, ‘Sognando Chernobyl‘. Ma come, Animale, Chernobyl appartiene al cielo grigio di vent’anni fa. Un’altra epoca, quando c’erano ancora i sovietici, e le centrali nucleari andavano a segatura. Adesso Claudio Scajola ci nuclearizza tutti con le centrali di nuova generazione, allegri. “Lascia perdere Scajola. Noi con Chernobyl abbiamo assaggiato per la prima volta il sapore della catastrofe. Anche allora avevano cominciato a dire che non era successo niente, poi abbiamo visto questa immane nube rossa che avanzava verso l’Europa. Il fatto è che non ti dicono la verità, ieri come oggi. Anche adesso non sappiamo che cosa è successo in Francia, con gli incidenti nelle centrali. Tutti zitti, muti come le tre scimmiette”.
L’Animale invece parla. Tragicamente euforico come quando si aggira nei dintorni dell’abisso, esattamente come quando all’epoca del referendum sul nucleare disse a ‘Fantastico’: “Votate no al referendum e vi troverete la bomba atomica in cucina”. Oppure la Bestia prega. È una strana canzone, Adriano. Pochi accordi ossessivi, una lunghezza spropositata, dieci minuti e dieci secondi, una specie di riedizione del ‘Mondo in Mi 7a’, ma più da Terzo millennio che da Novecento, senza il finale consolatorio di allora, anno 1966: “E se noi tutti insieme in un clan ci uniremo cambierà questo mondo”. La canzone nuova sembra infatti una preghiera: “Oh mio Signore, dimmi come possiamo fare per evitare che il mondo salti in aria”. Un canto gregoriano apocalittico, il Vangelo modulato secondo Adriano: “Quella sera quando tu arrivasti ci dicesti di non fare agli altri ciò che tu non vuoi che gli altri facciano a te, ma nessuno di noi ti ascoltò”. È il tuo modo di pregare, Animale? “Nella canzone ci sono due voci: le persone, cioè il coro, che si rivolgono a Dio dicendo ‘noi’; e un giullare che si agita sull’orlo del baratro, ‘Tutti quanti salteremo in aria bum'”.
È credibile questo pessimismo da Rockpolitick, pronto per un videoclip infinito, fatto di immagini che si rincorrono, di nuvole che aprono squarci lividi nel presente? Tanto più che poi a metà del disco si trovano pezzi come ‘Prisencolinensinainciusol’, un rap dell’assurdo, in cui non c’è una sola parola comprensibile. “Ma anche quella è un’altra canzone di protesta. Era tutta legata al concetto di incomunicabilità. Mi ero detto: la gente non comunica più e allora voglio usare la lingua di Babele”.
Credi che la gente abbia capito? O ha visto soltanto il giullare? “Non so. Io canto la stessa canzone da quarant’anni, che conduce sempre alla medesima conclusione: non pensare solo a te stesso”. “Pensa anche un po’ per me”, come in ‘Svalutation’. “Già. Ma è anche vero che qualche volta sento un po’ di stanchezza. Mi sto stancando un po’ di me stesso. Di ripetere sempre le stesse cose senza che niente cambi, e anzi con il sospetto di alcuni, i diffidenti, gli increduli, che la protesta e la denuncia servano più che altro a farci sopra dei soldi”.
Intanto non si è ancora capito del tutto se l’Animale è un conservatore o un progressista. Ma si può essere conservatori, oggi? “Ci sono delle cose da conservare come base per un giusto cambiamento, e altre da buttare. Ma è giusto cambiare, come tutto cambia. Cambiano le cellule, il cuore, la faccia che è diversa da quella che avevi una volta. Per cui l’Animale è senz’altro un progressista, che guarda al futuro però tenendo per mano il passato. Quel passato che la stoltezza dei sindaci hanno disdegnato in nome di un falso progresso”. Non diamo tutta la colpa a Letizia Moratti, l’ultima arrivata. “No di certo, ma riconosciamo che la speculazione adesso sta distruggendo anche chi la pratica. Ci sono in giro soprattutto facce da morti. Mentre una volta non era così, io ero allegro anche quando c’era la nebbia”.
Non ci sono più le nebbie d’una volta, Adriano. Le città cambiano troppo in fretta per il cuore di un uomo, lo diceva già Baudelaire. “Ecco appunto, Parigi. Guarda la piramide del Louvre, bellissima. Perché ha spazio intorno, aria e luce. Qui da noi l’avrebbero schiacciata togliendole il respiro”. Eccoci, siamo di nuovo al Celentano disastrista. “A volte mi sento stanco di parlare sempre delle preoccupazioni della gente, ma avverto quasi un dovere: se smettessi mi sentirei egoista: sarebbe brutto rinchiudersi in se stessi, sarebbe la fine di una voce, e per qualcuno di una speranza”.
Resta sempre la possibilità di cantare canzoni d’amore. Non fa un po’ ridere, a settant’anni? “No, perché? Guai a smettere di essere innamorati. Si deve essere sempre pronti a innamorarsi anche se ami tua moglie. Ma soprattutto bisogna essere innamorati dell’amore. A ogni età. Lo sai che ho un fratello, Alessandro, che sta a Viareggio e ha 88 anni? Ragazzi, che roba il tempo”. Già, era solo ieri che si cantava ‘Il ragazzo della via Gluck’, la storia autobiografica di un cantante di enorme successo a neanche trent’anni: una canzone popolare e immensa, la periferia su cui incombeva “catrame e cemento”, il nodo alla gola, adesso quasi la commozione da cacciare via. Quasi passa la voglia di mangiare, Animale, con queste storie. “Ma sai, io sono un po’ inappetente. Claudia mi fa preparare quattro o cinque piatti ogni volta, per invogliarmi, ma senza troppo successo”.
Eppure la natura dovrebbe aiutare. Che bellezza, questa vita appartata, fra il verde, gli alberi. Chissà come viene fuori, da questo luogo idilliaco, lo spirito della tragedia, l’incubo della fine del mondo. “Che cosa devo dire, la fantasia non si ferma. Né la mia né quella del pubblico”. Si sente dire che l’Animale ha preparato un video scioccante per ‘Sognando Chernobyl’. “Il video è bellissimo, lunghissimo, dura come la canzone, ma sono un po’ incerto se mandarlo o no: perché temo che limiti la fantasia di chi ascolta. Temo che la gente non si spaventi abbastanza”. E allora, lo si vedrà o no? Un guizzo negli occhi: “Alla fine, forse è meglio che ognuno si immagini la catastrofe che vuole”. Quindi che cosa fai, non lo mandi? “Adesso me lo riguardo tutto per bene. E se mi fa abbastanza paura, lo mando”.
01/12/2008 – L’Espresso