Ecosia.org – navighiamo su internet per piantare alberi
I recenti tragici eventi nell’Amazzonia o in Siberia che continuano a bruciare da oltre due settimane, finalmente hanno acceso i riflettori sul problema.
Noi tutti, possiamo fare qualcosa per aiutare un Pianeta che sta perdendo giorno dopo giorno milioni di ettari di verde, fonte imprescindibile di ossigeno e di VITA per noi e per gli animali che ci stanno morendo soffocati o peggio, arsi vivi.
Nessuna richiesta di soldi, basta fare quello che facciamo tutti i giorni, per esempio navigare su Internet usando un motore di ricerca che si occupa di piantare alberi in giro per il mondo: www.ecosia.org.
Per saperne di più, vi lasciamo questo articolo che ben lo racconta…
Fabrizio
Ecosia – come 50 milioni di alberi hanno cambiato il mondo
di Elisa Mazzocato
Così recita la descrizione di un video informativo pubblicato su Youtube lo scorso 13 febbraio. È un video molto suggestivo: sullo sfondo di maestose foreste e immense distese di natura incontaminata, una voce ferma e gentile racconta una storia affascinante, incredibile, quasi troppo bella per essere vera.
È la storia di Ecosia, un motore di ricerca di cui forse qualcuno avrà sentito parlare a proposito dell’attiva partecipazione della società alle manifestazioni di Fridays for Future a Berlino. Ecosia è un “social business” fondato dal giovane imprenditore tedesco Christian Kroll nel 2009, il quale, invece di incassare i propri profitti, li utilizza per piantare alberi, finanziando tanti diversi progetti di riforestazione in giro per il mondo.
Dal 2009 al 2019 – in soli 10 anni – sarebbero stati piantati 59 milioni di alberi, soltanto grazie ai milioni di utenti che, sostiene Ecosia, non hanno dovuto fare altro che ciò che fanno, comunque, quotidianamente: ricerche in Internet. Ogni volta che un utente clicca su un inserto pubblicitario, Ecosia riceve del denaro dall’inserzionista. Circa l’80% di questi soldi viene investito nei progetti di riforestazione, come è spiegato, all’insegna della totale trasparenza, dai report finanziari mensili pubblicati sulla pagina web ufficiale, che tiene traccia di ogni singolo euro in entrata e in uscita.
Quando, ormai tre anni fa, ho scoperto Ecosia, la disarmante semplicità di questo meccanismo ha subito risvegliato in me una buona dose del consueto, sano scetticismo, per metà ereditato (da parte di padre, credo) e per metà indotto da quel po’ di senso critico che alcuni bravi insegnanti sono riusciti a trasmettermi, nonostante l’indolenza del sistema scolastico italiano. Il solito campanello d’allarme: è troppo bello per essere vero. Non è troppo facile pensare di dare un aiuto concreto all’ambiente senza muovere un dito, cioè soltanto usando Internet? Dai, figurati se qualcuno, con tutti quei soldi e quel potere fra le mani, rinuncerebbe davvero a tutto per pura filantropia, senza guadagnarci nulla! Se anche voi siete cresciuti a suon di “nessuno ti regala nulla a questo mondo”, “a rubar poco si va in galera a rubar tanto si fa carriera” e “i capitalisti buoni non esistono”, spero troverete utili queste cinque domande, che forse, come me, vi siete legittimamente posti, e soprattutto le cinque risposte che mi auguro possano ridare un pizzico di fiducia anche ai più scettici fra noi.
- Da dove spunta fuori questo “Ecosia”?
Il fondatore Christian Kroll, 35 anni e una laurea in Business Administration all’Università di Norimberga, ha iniziato il suo percorso dopo l’università, come riporta un’intervista a La Repubblica di febbraio 2017. Kroll ha viaggiato per un anno attorno al mondo, fermandosi, fra le varie tappe, anche in Argentina, dove è stato profondamente colpito dalla vista diretta e dalle informazioni ricevute riguardo i danni causati dalla deforestazione. Da qui, l’idea di Ecosia: piantare alberi finanziandosi tramite un motore di ricerca.
La breve partnership iniziale con Google è stata interrotta dopo poche settimane, spiega Kroll nel video 10 Questions and Answers about Ecosia. Secondo Google, per sostenere motori di ricerca benefici come Ecosia gli utenti cliccherebbero sugli annunci pubblicitari più spesso di quanto facciano normalmente, danneggiando così gli inserzionisti, che Google ritiene di dover proteggere da questi “click fraudolenti” (nonostante, aggiunge Kroll, Ecosia non abbia per ora mai riscontrato problemi di questo tipo).
Dopo i primi anni di lavoro con pochi ragazzi, quasi volontari, la nuova idea ha decisamente “ingranato”: ad oggi il team Ecosia, basato a Berlino, conta 28 collaboratori, per la maggior parte ragazzi e ragazze giovanissimi, di tutte le nazionalità – ed è alla ricerca di nuovi membri.
- Come funziona Ecosia? E’ davvero così semplice?
La risposta è altrettanto semplice: sì.
Come già spiegato (e come illustra in modo molto chiaro, oltre allo stesso blog di Ecosia, anche un video informativo del canale YouTube “Our Changing Climate”), Ecosia guadagna vendendo spazio pubblicitario ad inserzionisti che pagano affinché i loro annunci vengano visualizzati fra i primi risultati della ricerca di un utente. Ogni volta che clicchiamo su uno di questi annunci (ad esempio, se cerchiamo un libro su Amazon o un paio di scarpe su Zalando), aumentiamo le visualizzazioni ai siti web degli inserzionisti, che sono così incoraggiati ad acquistare più spazio pubblicitario da Ecosia.
Questi profitti vanno a finanziare i partner locali e le organizzazioni non-profit nei progetti di tree-planting in vari Paesi in tutto il mondo (Brasile, Haiti, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia e molti altri). Come si può leggere nei financial reports pubblicati mensilmente sul sito web di Ecosia, le spese principali da coprire sono quattro: costi operativi, marketing, riserve (per progetti più ampi, come l’impianto a energia solare in collaborazione con le banche etiche GLS e Triodos) e infine il tree-planting vero e proprio. Di solito a quest’ultimo viene devoluta circa la metà dei profitti mensili, o l’80% del surplus, se si tolgono dal calcolo i costi operativi (che ammontano in genere al 20-25% del totale e sono indicati con precisione sul sito).
- Chi mi garantisce che i soldi guadagnati da Ecosia vengano realmente spesi per piantare gli alberi?
Questo è forse il punto più critico: i report finanziari vengono naturalmente pubblicati da Ecosia stessa, perciò, secondo la logica del “finché non vedo non credo”, no, non c’è modo di assicurarsi che siano del tutto attendibili. Tuttavia, sembra davvero difficile dimostrarne il contrario.
Una prima garanzia è il riconoscimento da parte di un ente esterno. Come ha riportato anche La Repubblica, Ecosia può ben definirsi un social business da quando, nel 2014, ha ottenuto la “certificazione di B-Corporation, rilasciata da un ente no-profit americano (B Lab) alle aziende che rispettano alte performance di sostenibilità ambientale e sociale”.
Una seconda dimostrazione di trasparenza si è avuta quando Kroll, in un articolo sul blog di Ecosia lo scorso ottobre, ha reso noto di aver ufficialmente trasformato la sua creatura in una “steward-owned company”, un modello che impone due condizioni legalmente vincolanti e irreversibili: nessuno potrà mai vendere la società ad esterni e nessuno potrà mai ricavare profitti dalla società stessa (ovvero, né Kroll né il co-proprietario Tim Schumacher).
Per quanto riguarda il passaggio successivo, ovvero dove vanno a finire i soldi che Ecosia sembra effettivamente destinare a progetti benefici, i resoconti finanziari mensili riportano nome completo e indirizzo del sito web di ognuna delle associazioni locali finanziate. Inoltre il blog viene costantemente aggiornato con articoli che illustrano tali progetti, scritti da membri del team Ecosia che si recano periodicamente sui luoghi in cui avviene il tree-planting. L’unico modo per esserne ancora più certi sarà spedire uno scettico in carne ed ossa in Madagascar, Perù o Indonesia a controllare di persona (eventuali volontari possono rivolgersi alla redazione de L’Universitario).
Non manca, infine, il riconoscimento da parte dei media. Anche se non ancora in gran numero, si trovano già alcuni articoli su Ecosia nel web: ne hanno parlato in Italia La Repubblica nella già citata intervista, e all’estero The Guardian, Forbes, Scientific America, Der Spiegel, la Süddeutsche Zeitung e molti altri.
- Ci sono dei rischi nell’utilizzo di Ecosia, ad esempio per quanto riguarda la privacy?
Al contrario: su info.ecosia.org un’ampia sezione del sito è dedicata proprio alla politica aziendale in materia di protezione della privacy, di cui Ecosia dichiara orgogliosamente di “prendersi cura” tanto quanto delle foreste. La sezione è riassunta in cinque punti fondamentali:
- Le ricerche non vengono conservate in modo permanente, ma rese anonime entro una settimana;
- I dati pubblicitari degli utenti non vengono venduti agli inserzionisti;
- Le ricerche vengono protette con una connessione criptata e sicura;
- Non vengono utilizzati sistemi di tracciamento esterni (come ad esempio Google Analytics);
- L’utente è libero di disattivare completamente il tracking, tramite le impostazioni del browser.
Per i più interessati, questi punti vengono poi ulteriormente sviluppati e integrati anche dalla versione legale approfondita, disponibile integralmente in inglese.
- Perché Ecosia ha scelto proprio di piantare alberi?
Per quanto intuitive siano le conseguenze benefiche della riforestazione per l’ambiente, è legittimo chiedersi: perché proprio gli alberi, e non qualcosa dagli effetti più immediati, come la pulizia degli oceani o la creazione di impianti elettrici alimentati da energie rinnovabili? Dietro questa scelta c’è una filosofia precisa, illustrata dal “Tree-Planting Officer” Pieter sul blog Ecosia (“Where, why and how does Ecosia plant trees?”, 14 marzo 2019), così come dal suggestivo video da cui ho tratto il titolo del presente articolo.
Piantare alberi è scommettere sul futuro. Scommettere sul futuro dell’ambiente, perché gli alberi – i “supereroi del pianeta”, come li chiama Pieter – non solo assorbono CO2, uno dei principali responsabili dell’effetto serra, ma aiutano ad esempio a invertire il processo di desertificazione, rendendo di nuovo fertile, e quindi coltivabile, il suolo. Questo significa scommettere anche sul futuro di tante comunità nelle zone più povere del mondo, dando alle persone – e, spesso, soprattutto alle donne – la possibilità non solo di vivere dei frutti del proprio lavoro ma anche di commerciarli, rivitalizzando così l’intera economia dei villaggi che, in questo modo, molti giovani non sono più costretti ad abbandonare (per la serie: aiutiamoli a casa loro, ma non solo in campagna elettorale). Proteggere le foreste significa, infine, anche proteggere la biodiversità, non solo delle piante ma anche di molti animali in via d’estinzione.
Insomma, per quanto le prospettive promesse da Ecosia sembrino così rosee da rasentare l’utopia, pur con tutto il mio scetticismo e la mia buona volontà non sono riuscita a trovare un modo di sconfessare la fede di Christian Kroll. Perciò, consigliando a tutti di dare un’occhiata ai contenuti del blog di Ecosia (che, lungi dal limitarsi ai “tree-planting updates”, è ricco di articoli informativi su temi che spaziano anche oltre l’ambiente), lascio ai lettori un nuovo motore di ricerca da provare e la speranza, ora forse un po’ più saldamente fondata, che questo sogno cresca abbastanza – e abbastanza in fretta – da diventare realtà.
15/06/2019 – l’Universitario (www.luniversitario.it)