«Celentano sbaglia, Milano non è brutta»
«IL CAPOLUOGO LOMBARDO CAMBIERA’ ANCORA»
Intervista a Formigoni che replica al cantante: è un passatista. «E quando vedrà il resto avrà un colpo»
MILANO – «Questo è niente. Se Celentano scopre che cosa abbiamo in mente, gli prende un infarto». Roberto Formigoni ci scherza sopra.
Sul Corriere di ieri, il cantante ha parlato del presidente lombardo e del sindaco di Milano Letizia Moratti come dei «genitori di Frankenstein», una città-mostro che cancella i segni della propria identità ed è, soprattutto, sempre più brutta. «L’unica cosa che non capisco — aggiunge il governatore — è perché chiami in causa la signora Moratti, visto che le brutture di cui parla sono tutte di responsabilità mia, insieme semmai con i predecessori dell’attuale sindaco».
Addirittura un infarto?
«Sì, perché Celentano mi pare in preda a quella che in termini psicanalitici si chiama regressione all’infanzia, o infantilismo: come era bello quando ero giovane… In termini storico-critici la sindrome si chiama invece passatismo. Quello del laudator temporis acti è l’atteggiamento tipico di chi invecchia un po’ male».
Da questo punto di vista, Celentano rimpiangeva la via Gluck dell’infanzia già nel 1966, a ventott’anni.
«È vero, ma allora lui era più allegro. Ora i toni sono diventati più cupi, quasi apocalittici. Gli vorrei dire: coraggio, la vita è ancora bella».
Della futura sede della Regione Celentano ha parlato come di un mostro.
«Ecco, questo non lo capisco. Ovviamente, i gusti sono gusti. Ma non possono far dimenticare realtà evidenti, sotto gli occhi di tutti».
Di che cosa sta parlando?
«Quella dove sta sorgendo l'”Altra sede” della Regione, è stata per quarant’anni una vergogna di Milano. Un’area abbandonata, ancora con le macerie della guerra. Per recuperarla, abbiamo fatto un concorso internazionale, a cui hanno partecipato 98 tra i progettisti più prestigiosi del mondo. Quell’area prima piaceva di più? Non so davvero che dire».
Celentano parla più in generale della perdita d’identità dei luoghi e in particolare di Milano. Dà la colpa agli architetti.
«Guardi, le mie responsabilità me le prendo in pieno, anche perché sono sempre comuni: dell’architetto e del committente. Per preparare il capitolato per la nuova sede, noi abbiamo fatto un libro: volevamo riferimenti a simboli della Lombardia come i monti e le acque, che il nuovo edificio richiamasse il concetto di laboriosità, che dialogasse con il grattacielo Pirelli poco distante, che ognuna delle dodici province avesse un segno distintivo… ».
Non è vero che talvolta gli architetti sono un po’ troppo disinvolti con il contesto in cui si inseriscono i loro progetti?
«Non lo so, io non amo le generalizzazioni: ci sono architetti buoni e meno buoni. Ma da questo punto di vista, sessant’anni fa Celentano avrebbe imprecato anche contro il Pirelli di Giò Ponti e Pier Luigi Nervi».
Ancora non ha detto perché a Celentano prenderà un colpo.
«Perché avevamo una Milano immobile, chiusa in se stessa, che stava invecchiando male, e noi l’abbiamo rimessa in movimento. Direi che la nuova sede è stato l’inizio del Rinascimento di Milano, insieme con la nuova Fiera: là dove c’erano i residui di una raffineria, oggi ci sono i padiglioni fieristici di Fuksas, i più belli del mondo. Ma, appunto, questo è soltanto l’inizio».
E come si prosegue?
«A fianco della nuova sede c’è la grande riqualificazione che sta realizzando Hines, mentre sull’area che fu della Fiera presto sorgeranno le tre torri di Daniel Libeskind, Arata Isozaki e Zaha Hadid, anch’esse frutto di un grande concorso internazionale. Ma le sfide che ora abbiamo di fronte sono altrettanto complesse, e altrettanto capaci di causare malori a chi sogna il passato».
Quali sono?
«Il trasferimento del tribunale e di San Vittore in una nuova cittadella della giustizia a Porto di Mare, l’accorpamento dell’Istituto dei tumori, del Besta e del Sacco in una cittadella della salute a poca distanza da quest’ultimo ospedale».
Come cantante Celentano le piace?
«Un tempo fischiettavo le sue canzoni, ma ora non lo seguo più».
Marco Cremonesi
10/12/2007 – Corriere della Sera