Quando tornai da New York dopo l’incontro con Roger Waters, nel 2017, mia madre vide la nostra foto insieme e disse: “Un sorriso così totale e puro lo avevi solo da bambino”.
Mi sono rivisto adesso – non lo faccio mai – in tivù, mentre ero al tavolo con quel monumento per brevità chiamato Adriano Celentano. Ero felice, sereno, rilassato. Ero esattamente dove dovevo e volevo essere. Un bimbo nel paese dei balocchi. Stravaccato sulla sedia neanche fossi al bar di Gragnone, o magari a casa mia. E forse lo ero, perché Adriano è casa mia. C’è sempre stato nella mia vita, ma proprio sempre, perché mio padre Luciano (aka Orso Grigio) mi ha cresciuto anche con lui. Io lo conosco 8.5, lui 18 (da o a 10, intendo dire).
Stasera non potevo non chiedergli di Gaber, di Jannacci, di Tenco, di Pasolini. Non potevo non citare la mia (e da Prince) adorata L’unica chance, che come mi ha detto Adriano “mi sa che la conosci più tu di me”. Mi sono divertito come un bambino, dalle prove fino allo show. Non avete proprio idea. Risate continue. Adriano è genio puro, istintivo, totale. Sapevo che mi leggeva e stimava da tempo, è abbonato al Fatto e conosco bene sua figlia Rosita, donna straordinaria (le foto durante le prove sono sue, perdonateci Claudia e Adriano!), ma essere invitati da lui in tivù è proprio un’altra cosa. Un altro mondo. Una sorta di Nirvana a 6 stelle.
Ho conosciuto bene, anzi molto bene, Gaber. Era un genio, e questo si sa. Ma era anche un uomo di generosità prodigiosa, addirittura umile in privato: un mix di professionalità, garbo e talento assoluto. Quanti aneddoti potrai raccontare su di lui, e tutti belli. Adriano, sin dalle prove, si è rivelato esattamente come lui. E certo non mi stupisce: del resto erano amici, sin dal ’57. Ti mette subito a tuo agio. Ha un carisma che, anche solo quando fa una pausa, si spostano i pianeti. Con la sua voce, donatagli da divinità assai benedette, fa quel che vuole. Con la sua prossemica provoca rivoluzioni. E col suo sorriso scioglierebbe chiunque. Ha ragione anche quando torto ed è un genio bambino, fragile e bellissimo. Mi ha voluto subito bene. Si è ricordato il mio nome e quello di Riotta no (si scherza, Gianni!). Mi ha regalato parole private, scritte e orali, che porterò sempre con me. Mi ha concesso di partecipare alla tivù che vorrei fare sempre. E mi ha donato quei miracoli sporadici – e quasi sempre impossibili – che rendono felici al contempo tu, la tua compagna, la tua famiglia (credo che mio padre non si riprenderà mai più!) e ogni cosa che ti circonda.
E’ stato un sogno. Come quando abbracciai la prima volta Gaber. Come quando giocavamo con Fossati durante il nostro libro. Come quando Waters mi strinse la mano sorridendo. E come tante, ma tante volte mi è – per somma fortuna – capitato, in questo strano e buffo inciampo che chiamiamo vita.P.S. Sì, il sorriso che ho in queste immagini ce lo avevo solo quando ero bambino.
22/11/2019 – Il profilo ufficiale di Andrea Scanzi su Facebook