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Celentano consegna il Leone d’Oro alla carriera ad Ermanno Olmi

“Quando arrivai per la prima volta alla Mostra del cinema ero come un bambino incantato” racconta Olmi

Ermanno Olmi Adriano Celentano ieri è sbarcato in laguna. Come ci si attendeva alla affollatissima conferenza stampa ha espresso la sua opinione su molti argomenti.

Ha parlato di morti bianche, Alitalia, Expò, Pincio, Venezia, intrallazzi tra politica ed economia, tra destra e sinistra. E di cinema naturalmente: “Io prima di essere originale, copio. Mi piaceva da morire come Clark Gable muoveva le mani o il tip tap di Jene Kelly. Prima di te c’è sempre qualcuno, importante è superarlo”. Un film che gli piacerebbe fare?: “La resurrezione di Cristo: i Vangeli non hanno scritto come si è comportato in quel momento”.

Dopo gli i lunghi applausi alla proiezione, ieri sera, della versione restaurata di “Yuppi Du”, film interpretato dalla “coppia più bella del mondo” Celentano e Claudia Mori, oggi alle 16.30 Adriano Celentano consegnerà al maestro Ermanno Olmi il Leone d’Oro alla Carriera.

Uno strano abbinamento? “Non mi sembra, non siamo poi così diversi: io difendo i Navigli, Olmi gli orti…” ha dichiarato il Molleggiato. Ma c’è di più. I due si sono conosciuti cinquant’anni fa. Olmi cercava una canzone diversa, moderna, con il quel ritmo rock appena importato dagli Stati Uniti per una scena del suo film “Il tempo si è fermato”, che racconta la storia di un’amicizia tra un ragazzo di città e l’anziano guardiano di una diga nell’alta valle dell’Adamello, e la scelta cadde su un giovanissimo ed emergente Celentano. Olmi commenta così il premio: “Se cinquant’anni fa una maga mi avesse detto che il monello di periferia, il ragazzino ‘scatenato’, il simpatico ribelle che cantava all’americana (allora era il massimo degli elogi!) ma con un temperamento e originalità tutta italiana, mezzo secolo dopo mi avrebbe consegnato il più prestigioso dei premi, il Leone alla carriera, avrei detto che la maga me la stava raccontando grossa. E invece è andata proprio così”.

E per quanto riguarda il premio Olmi ha dichiarato: “Considero il Leone una sorta di promozione, non è un traguardo triste, se mai senti che un momento della tua vita è passato, nessuno mi impedisce di ricominciare, di rinascere” e ancora “Quando arrivai per la prima volta alla Mostra del cinema ero come un bambino incantato, vedevo cose meravigliose, poi con il passare degli anni la vita la vedo meno paradisiaca, perché la vita può essere un bel sogno fino a una certa età e poi dobbiamo svegliarci. Sono fiero di dedicare questo Premio ai miei genitori e a tutti quei famigliari che mi hanno permesso di fare serenamente questo mestiere”.

SKA

Biografia di Ermanno Olmi (Treviglio, Bergamo, 1931)

Nato da famiglia contadina, si trasferisce giovanissimo a Milano per impiegarsi presso la Edison Volta: ne organizza il servizio cinematografico dirigendo – tra il 1953 ed il 1961 – una trentina di documentari, tra i quali “La diga sul ghiacciaio” (1953), “Tre fili fino a Milano” (1958), “Un metro è lungo cinque” (1961). Nel frattempo, debutta nel lungometraggio con “Il tempo si è fermato” (1960), un anno più tardi, conquista i favori della critica con “Il posto” (1961). L’attenzione al quotidiano, alle cose minute della vita, viene ribadita nel successivo “I fidanzati” (1963) e “E venne un uomo” (1965), biografia di Giovanni XXIII. Dopo un periodo contrassegnato da lavori non del tutto riusciti (“Un certo giorno”, 1969; “I recuperanti”, 1970; “Durante l’estate”, 1971; “La circostanza”, 1974), il regista ritrova l’ispirazione dei giorni migliori nella coralità de “L’albero degli zoccoli” (1978), Palma d’oro al Festival di Cannes. E’ dell’82 “Cammina cammina” e dell’1987, con il claustrofobico ed angoscioso “Lunga vita alla signora!”, viene premiato a Venezia con il Leone d’argento; quello d’oro, egli lo otterrà l’anno seguente con “La leggenda del santo bevitore” (1988), lirico adattamento – firmato da Tullio Kezich e dal regista medesimo – d’un bellissimo racconto di Joseph Roth.
Dopo il documentario “Lungo il fiume” (1992), egli licenzia “La leggenda del bosco vecchio” (1993): malamente ricavato da “Il taglio del bosco” di Buzzati ed interpretato da un Villaggio fuori registro, esso rimane forse il suo esito più deludente. Il suo ultimo lavoro, “Il mestiere delle armi” (2001) ne segna il ritorno ai vertici dell’ispirazione: ricostruendo le ultime giornate dell’esistenza del condottiero mercenario del ‘500 Giovanni delle Bande Nere, egli firma un’opera intensa ed ispirata, presentata con successo al Festival di Cannes. Nel 2005 è la volta di “Tickets”, firmato assieme ad Abbas Kiarostami e Ken Loach. Nel 2007 Olmi gira il suo ultimo film “Centochiodi” che racconta con splendide immagini i diversi modi di vivere e di praticare la religiosità, l’attenzione alla vita degli umili, la compassione pei propri simili, la degradazione dei rapporti umani, il valore dei sentimenti.

05/09/2008 – TicinoNews.ch

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