Celentano, il suo Serafino è valsuganotto
Danilo Sandri non ha dubbi: «Troppe coincidenze nella canzone che poi ha ispirato un film riportano alla vita di mio zio»
di Marika Caumo
VILLA AGNEDO. «E così la seconda storia che vi voglio raccontare è quella del pastore Serafino. Al mondo antico chiuso nel suo cuore la gente del duemila ormai non crede più». Alzi la mano chi non conosce questa canzone. Generazioni di giovani e meno giovani hanno cantato e ballato sulle note del celebre testo di Adriano Celentano, colonna sonora del film di Pietro Germi del 1968. Ebbene, dove sta la notizia? Probabilmente quel pastore, tanto generoso quanto ingenuo, è valsuganotto. E non si chiama Serafino Fiorin come il giovane interpretato dallo stesso Celentano nel film, ma Serafino Ferrai. Ad informarci del fatto è Amos Sandri di Villa Agnedo che ci indirizza verso Danilo Sandri, il cui zio Vittorio era il fratello maggiore di Serafino.
La storia che ci racconta in molti punti si rispecchia perfettamente nel testo della famosissima canzone. Serafino nacque 85 anni fa, il 6 gennaio 1929, da una famiglia di contadini originaria di Telve, il più piccolo di sei fratelli. Suo padre Egidio comprò il “Mas de Baia”, un maso circondato da diversi ettari di terra e vigne che si trova proseguendo dopo l’abitato di Fracena ma sul catastale di Villa Agnedo, distaccamento del castello ai tempi della guerra e fino a qualche anno fa sede della Residenza San Vendemmiano. Serafino era un pastore, non aveva bestie ma lavorava per altri. Accanto il suo inseparabile cane, dal pelo corvino, un grande aiuto visto che per un problema legato alla poliomelite che lo colpì in gioventù Serafino andava via tutto storto, tanto da essere soprannominato “Alzela”.
«D’estate faceva la stagione sulle malghe e quando scendeva, in dieci giorni si mangiava tutti i soldi guadagnati. Una volta finiti, in autunno partiva con le pecore in Friuli, Toscana e giù per l’Italia», racconta Danilo. Lo descrive come un uomo dal cuore fin troppo generoso. Ma anche senza il senso della misura, che appena aveva un gruzzolo di soldi non riusciva a tenerselo, ma lo spendeva al bar, offrendo da bere a tutti, in mangiare e vestiti. Succedeva anche che spendesse 10mila lire e ne lasciasse 50mila di mancia. «Finiti i soldi della stagione in malga, piangendo chiedeva ai familiari un po’ di denaro, e se ne andava a fare il pastore. Poi tornava a casa ricominciava la solita storia. Quando prendeva i soldi, amava farlo notare, tanto che una volta tornò dalla stagione in bassa Italia con due taxi, uno per se ed uno per la sua giacca», prosegue Danilo. Al suo rientro in paese alcune donne lo rincorrevano e i bambini facevano a gara per stargli vicino. «Ci aspettava fuori dalle medie di Strigno, preparava ‘na sbrancà di monete e ci portava al bar affinché gli mettessimo Celentano nel jukebox. Stava tutto il giorno a bere vino e ascoltare quelle canzoni e a noi dava la mancia». Già Celentano.
Serafino lo conobbe durante una stagione in malga, ad Asiago. Raccontò che il “Molleggiato” passava le ferie sull’Altopiano e andava spesso nella malga chiedendo a Serafino di raccontargli la sua storia. Storia che poi il cantante mise in musica. «E che combacia in molti punti. Ad esempio quando si dice che ereditò dei soldi e che si fece una grande festa. Ebbene alla morte del padre anche Serafino ottenne la sua parte di eredità. Ed organizzò una grande festa per tutti all’Hotel Tesino di Pieve. Fece talmente tanta pubblicità alla sua ricchezza che alcune donne lo “intortarono” per bene, facendolo ubriacare, mentre altri ragazzi lo caricarono di botte e gli rubarono tutti i soldi. In una sera si mangiò l’eredità», prosegue Danilo.
Ma i fratelli non hanno mai smesso di volergli bene, era il più piccolo e il più coccolato, nonostante quelle che combinava. «Al di la di tutto aveva un cuore d’oro, una volta rubò i soldi al padre per darli alla cognata affinché potesse scrivere una lettera al fratello, emigrato nelle miniere in Belgio», aggiunge Danilo. Serafino morì appena 52enne nel novembre 1981 in una stalla a Spera nella quale probabilmente aveva trovato riparo dopo una festa. Non si era mai sposato. E’ sepolto con i genitori e alcuni fratelli nel cimitero di Ivano Fracena. Ci siamo recati anche noi, alla ricerca di una sua foto, aiutati dalla nipote Gabriella Pasquazzo, figlia della sorella Adele, giunta da Milano per le ferie.
Il desiderio dei fratelli è sempre stato quello di conoscere la verità, se quel Serafino che canta Celentano è proprio lui. Ma non hanno avuto né il tempo né il modo per farlo. «Serafino ne raccontava di bugie ma credo che questa storia sia vera, era ossessionato da Celentano, parlava sempre di lui. E la canzone è il riassunto della sua vita». Una verità che solo Celentano conosce e che forse non si saprà mai. Ma in paese da allora rimane la leggenda del pastore Serafino. A cui tutti vogliono credere.
05/01/2014 – Trentino Corriere Alpi (trentinocorrierealpi.gelocal.it)