“In sette anni ho presentato alla Rai quarantuno progetti per fiction e nessuno è stato approvato”. Tra questi a essere rifiutato è stato quello su Tina Anselmi. “Una serie che ritenevo interessante produrre soprattutto per la Rai quale servizio pubblico. Tina Anselmi è stata fondamentale nella storia della nostra Repubblica”. Claudia Mori sta vivendo, come tutti, il suo isolamento domiciliare per proteggere se stessa e il marito Adriano dal coronavirus. Sabato scorso, su questo giornale, ha letto della richiesta avanzata alla Rai da Antimafia Duemila e da Maria Teresa e Gianna Anselmi di far ripartire la produzione della fiction sulla sorella Tina. Secondo l’appello, nel 2018 Rai Fiction aveva “dato il via libera alla realizzazione di un film tv” che avrebbe raccontato la storia della partigiana Gabriella (nome di battaglia di Tina) e della sua carriera politica e nei sindacati e poi, da presidente della commissione sulla P2, sugli affari di Licio Gelli; ma poi all’ultimo, BibiFilmTv, la casa di produzione, aveva rinunciato al progetto. “Non so neanche cosa significhi, rinunciare a un progetto e in particolare a questo”, ironizza Claudia Mori, che nel 1999 fondò la “Ciao Ragazzi! Srl”, una società di produzione cinematografica e televisiva che in vent’anni ha portato sugli schermi decine di prodotti di successo. “Fino a quando da sette anni, Rai Fiction ha smesso di farmi lavorare”.
Signora Mori, partiamo dall’inizio: perché rivendica la paternità della serie su Tina Anselmi?
Non rivendico al momento la paternità, ma le racconto come andò la presentazione di questo progetto. Presentai la fiction su Tina Anselmi a gennaio del 2017: scritta da Liliana Cavani e Italo Moscati con la regia della stessa Cavani. Mi fu risposto che il racconto non era completo. Ci lavorammo recependo le loro indicazioni – concept, soggetto, personaggi, riferimenti nazionali e internazionali, budget -, e lo ripresentai il 6 febbraio, sempre del 2017. Il 16 marzo la Rai mi rispose: no, grazie, non è conforme alla nostra linea editoriale e tra l’altro anche un altro produttore ha presentato lo stesso progetto. Non so a chi si riferissero.
Due motivazioni molto differenti nel giro di due mesi. Cosa pensò?
Be’, maturai delle perplessità. Nella prima risposta, “non è conforme”, nella seconda addirittura spuntò un secondo produttore. E due risposte differenti in poco tempo mi fecero sorridere. Ma finì lì.
Perché crede che non gliel’abbiano approvato?
Le risposte le ho trovate nei 41 progetti che in questi sette anni ho presentato e sono stati tutti bloccati. Persino una serie su Papa Bergoglio quando fu eletto, una sul gioco d’azzardo. Anche in questo caso mi fu detto che non era coerente con le loro linee editoriali, nonostante avessi portato Marco Risi come regista. Eppure Rai Fiction spese molti soldi per la sua attivazione, perché inizialmente le sceneggiature erano state approvate. Poi venne tutto bloccato.
Trova che vi sia stato un accanimento nei suoi confronti?
Non so se c’è stato accanimento, so che non ho più lavorato. Prima della nomina di Eleonora Andreatta a direttrice di Rai Fiction, quindi fino al 2012, ho prodotto serie Rai che hanno incontrato il successo di pubblico e critica: C’era una volta la città dei matti, Il cielo è sempre più blu, De Gasperi – l’uomo della speranza, per citarne alcuni. Alcuni dei progetti che ho presentato li ho visti realizzare da altri. Fui la prima a produrre con Rai Fiction quattro TV movie sulla violenza contro le donne: uno con la regia di Margareth von Trotta, uno con Liliana Cavani e due diretti da Marco Pontecorvo. In quel momento il direttore era del Noce. Dopo di lui ho proseguito come ogni produttore a presentare progetti, ma non sono più riuscita ad azzeccare un tema (ride) che coincidesse con le idee della nuova direttrice.
Ha mai pensato di muovere un’azione legale contro la Rai?
Finora, no. In futuro non posso saperlo. Però sto pensando di chiudere la Ciao Ragazzi, la mia casa di produzione, se le cose proseguissero con questi incomprensibili e sistematici ostacoli, questo sì.
Posso chiederle come state vivendo questo periodo?
Come tutti, ma per fortuna meglio di molti: abbiamo una casa grande, un giardino. Siamo fortunati nella tragedia. Però io e Adriano siamo chiusi da oltre due mesi, non vediamo nessuno a partire dai nostri figli che, al momento del lockdown, erano a Milano. Non sono potuti tornare qui da noi. Questa situazione pesa molto, ma ci rendiamo conto che non è facile: bisogna tutelare la salute di tutti, e poi ovviamente il lavoro. È un equilibrio molto complesso. Stiamo vivendo una tragedia senza precedenti e il rischio di sbagliare è altissimo; non ci resta che rispettare quanto ci viene chiesto, ma vigilando attentamente su queste nuove regole che ci vengono “proposte”.
Ha paura?
Sì. Di sbagliare e di questa malattia del coronavirus così crudele e misteriosa.
Il settore delle arti è quello che, probabilmente, ripartirà per ultimo. Non crede che per un Paese come l’Italia, che già non investe sulla cultura, possa rappresentare il definitivo tracollo?
Temo di sì: è un grandissimo problema! Senza la cultura, la bellezza, l’arte, si sprofonda nel buio. Papa Francesco non a caso ha pregato l’altro giorno per gli artisti, la bellezza, l’arte. Per la prima volta nella mia vita non sono ottimista, ma spero fortemente di sbagliarmi.
29/04/2020 – Il Fatto Quotidiano