Compleanno per il Premio Nobel
Una festa a sorpresa organizzata dalla moglie Franca Rame all’Accademia di Brera insieme a professori, amici e allievi: così Dario Fo ha spento le prime 80 candeline. “Sto benissimo. – ha detto alla tramissione radiofonica di Fiorello – Non mi sembra vero che ho 80 anni, non me li sento”. Le commedie di Fo, spesso ideate e scritte insieme alla moglie, hanno rotto sempre i tabù politici e sociali, suscitando scandali e tentativi di censura.
Dieci anni fa l’artista veniva insignito dall’Accademia di Svezia del premio letterario più prestigioso al mondo. “Il premio Nobel per la Letteratura viene assegnato allo scrittore italiano Dario Fo, perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi”. Con queste parole nel 1997 l’Accademia svedese motivava l’assegnazione del Nobel all’autore-attore Dario Fo.
Il denaro ricevuto insieme al Nobel, più di un miliardo e mezzo di vecchie lire, servì a Dario Fo e alla moglie Franca Rame per l’istituzione del fondo di beneficenza per disabili, ‘Comitato Nobel per i disabili’.
Nato a San Giano, nella provincia di Varese, nel 1926, con la cronaca della propria infanzia e prima giovinezza lo scrittore-attore ha sempre incantato i suoi studiosi, lettori e spettatori, raccontando le storie a sua volta acoltate da bambino dal nonno e dai viaggiatori di passaggio a San Giano. Nel suo discorso per il Nobel Fo raccontava ancora: “Loro, i vecchi fabulatori, maestri soffiatori di vetro che hanno insegnato a me e altri ragazzi il mestiere di raccontare assurde favole che noi ascoltavamo commentandole con sghignazzi e silenzi improvvisi a strozzagola per la tragica allegoria che, di colpo, sormontava ogni sarcasmo”.
C’era anche il padre di Dario ad incantare il ragazzo e a farlo innamorare del teatro, Felice Fo, un ferroviere che nel tempo libero recitava i drammi di Henrik Ibsen con un gruppo di filodrammatici. Poi, nel cortile di casa, si allestì insieme un teatrino pubblico e, usando una finestra come spazio scenico, il giovane Fo metteva in scena piccole storie inventate con marionette di legno da lui stesso intagliate.
Dopo l’Accademia di belle arti di Brera a Milano, la scoperta di Eduardo in una tournée nel capoluogo lombardo, nel 1950 Dario Fo comincia a lavorare per la radio e la televisione come autore e attore di testi satirici. Il 24 giugno 1954 sposa Franca Rame, anche lei attrice, da allora compagna d’arte e di vita. Il teatro di Fo, satirico e impegnato, possiede la ‘pericolosa’ caratteristica di inserire l’attualità anche in argomenti in apparenza lontani. Per l’anticonformismo e la spiccata carica satirica rivolta a politica e Chiesa, che da sempre caratterizzano l’opera di Dario Fo e Franca Rame, i due artisti hanno affrontato insieme lunghe battaglie con censori e critici, tra le quali resta famosa l’autosospensione da parte dei due della loro conduzione della Canzonissima del 1962, a causa di una scenetta satirica sulla ‘mafiosità’ in Sicilia.
Nel marzo del 1973, Franca Rame fu sequestrata e violentata. Documento di quel terribile fatto resta il monologo dell’attrice ‘Lo stupro’, recitato in diretta tv nel 1997, in una puntata di “Fantastico” condotto da Adriano Celentano, riaccendendo aspramente il dibattito sia sulla legge contro la violenza carnale, sia sulla presenza in televisione di Dario Fo e Franca Rame.
Commedie come ‘Mistero buffo’, o la successiva ‘Morte accidentale di un anarchico’, una piéce sulla morte dell’anarchico Pinelli durante un interrogatorio in seguito alla strage di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, sono il coerente accorpamento di tutti i dati e le comunicazioni ufficiali raccolti da Fo e Rame sistematicamente.
Come i giullari nel medioevo, che il potere poteva decidere di torturare e giustiziare, pur se molto raramente se ne privava, Dario Fo scelse di “parlare senza parole”, come spiega nel suo ‘Manuale minimo’, attraverso il ‘grammelot’, introdotto nel suo teatro nel 1969 con lo spettacolo ‘Mistero buffo’, in cui, solo in scena, l’attore-autore recito’ in un linguaggio fantasioso su imitazione dell’idioma reale padano.
“Grammelot è un termine di origine francese, coniato dai comici dell’arte e maccheronizzato dai veneti che dicevano gramlotto. E’ una parola priva di significato intrinseco, un papocchio di suoni che riescono egualmente a evocare il senso del discorso. Perché a un certo punto i comici dell’arte si buttano a sfarfugliare imitando sproloqui in tutte le lingue? Il perché è ovvio, o quasi: Il censore non deve capire”.
24/03/2006 – TgCom