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E se Celentano comprasse il «Sole 24 Ore»?

Il leader degli U2, paladino dei diseredati, scala la bibbia del capitalismo. Mettiamo che ad Adriano venisse la stessa idea…

Bono Vox

Provate a immaginare il conte Dracula, versione mitologica del capitalista succhiasangue, che si svena per sostenere l’Avis.
O Rockerduck, il miliardario rivale di Paperon de’ Paperoni, che investe il suo capitale in opere di beneficenza. Roba da non credersi, neppure a leggerla sulle pagine d’un fumetto.

Evidentemente, però, non la pensa così Paul Hewson, quarantaseienne multimiliardario dublinese con la vocazione delle cause umanitarie, meglio conosciuto da milioni di fan come Bono Vox.
È infatti fresca la notizia che il leader degli U2, assieme agli altri cinque soci della Elevation Partners, fondo di capitale privato da 1,6 miliardi di dollari, ha acquistato il 40 per cento del gruppo americano Forbes, la cui rivista omonima, fondata nel 1917 dall’immigrato scozzese Bertie C. Forbes, è universalmente riconosciuta come la bibbia del capitalismo e stila ogni anno una citatissima classifica degli uomini più ricchi del pianeta.

La notizia dell’inusuale investimento di Bono (riquadro in basso) è stata data da una fonte più che attendibile, il New York Times, e ha subito fatto il giro del mondo, provocando sconcerto e polemica tra i fan del cantante. Reazione non imprevedibile: Bono è infatti da sempre il Savonarola del rock, un predicatore laico che sfrutta l’aureola mediatica per lanciare messaggi buonisti ai potenti di tutto l’orbe terracqueo, Papa incluso, e si spende (è il caso di dirlo) in prima fila in tutte le campagne «politically correct»: dalla lotta contro l’aids all’azzeramento del debito del Terzo mondo. È quindi inevitabile che i sostenitori più radicali non abbiano approvato il flirt del loro beniamino con il nemico: quel mondo del capitale che, se non è asservito a una giusta causa, appare ai loro occhi sterco del diavolo.

I più maliziosi hanno invece pensato a un gesto di vanità: Bono è infatti apparso al quarto posto per il reddito di quest’anno (non per il patrimonio complessivo) nella classifica stilata da Forbes.
Ma ridurre un affare di questa portata a un semplice scambio di gentilezze fa decisamente torto alla lungimiranza dimostrata dal Robin Hood del rock.
La si può condensare in uno slogan: «Comprare i ricchi per dare ai poveri».
Restando, beninteso, ricchi. Perché la grande macchina mediatica degli U2 continua a macinare miliardi.

Quando sale su un palco, Bono Vox è sicuro di non predicare nel deserto, come è invece accaduto di recente a un’altra rockstar buonista: Bob Geldof, l’ideatore del Live aid, che ha dovuto annullare l’unico concerto italiano per mancanza di pubblico. Segno che le buone azioni non sempre vengono ricompensate su questa terra, a meno che non siano accompagnate dalla fama.

Sotto questo profilo, l’ingresso di Bono il buonista nel grupppo Forbes è un evento mediatico non molto diverso dalla provocatoria autocrocifissione della «cattiva ragazza» Madonna nel recente show romano.

In ogni caso, la genialata di Bono fa intravedere sviluppi interessanti. Adriano Celentano, con un balzo da vecchio Tiramolla rock, potrebbe dare la scalata al Sole 24 Ore, giornale della Confindustria, ribattezzandolo Sole-24 mila baci. E Marilyn Manson, la mela marcia del rock, potrebbe acquistare una quota della Fiat. Lo slogan è già pronto: il lupo e gli Agnelli. Perché no? Gli affari sono affari.
A patto che, in fondo, ci sia del Bono.

di Roberto Barbolini

12/08/2006 – Panorama.it

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