Il cantante sogna un Parlamento trasformato in cabaret da 100 grillini. Ma per aiutare davvero chi soffre serve un governo che faccia ripartire il Paese
Caro Adriano Celentano,
ho letto il tuo articolo, ieri sul Fatto Quotidiano, e, fra tante osservazioni di carattere sentimentale che comprendo, vi ho trovato una serie di ingenuità. Confesso di aver avuto anch’io la tentazione di votare Beppe Grillo: per sparigliare i giochi politici e affidare a lui il compito di distruggere il sistema marcio, che ha dimostrato di non funzionare.
In una parola, fare piazza pulita e ricominciare da capo nella speranza che sia poi possibile creare un impianto istituzionale efficiente, in grado di affrontare i problemi dei cittadini e non soltanto quello delle poltrone da assegnare alla cosiddetta casta.
A volte capita di sognare soluzioni miracolistiche: mandiamo a casa questo Parlamento, questo ceto politico, ed eleggiamo qualcuno capace di vendicarci. Molti italiani non ne possono più delle stesse facce, di ascoltare gli stessi discorsi contorti, di ladri, corruttori e corrotti, scandali e spreco di denaro pubblico. Sono informati delle difficoltà economiche di oggi e non si illudono che il Movimento 5 Stelle abbia i mezzi e l’abilità di rimettere a posto il Paese; si accontentano di immaginare i grillini intenti a demolire il Palazzo e a ridurlo in macerie. Se non altro, radendolo al suolo, i nuovi arrivati avrebbero l’opportunità di ripartire da zero.
Con quali prospettive? Ecco il punto. È un po’ infantile rompere a bella posta un piatto sbeccato senza averne uno integro con cui sostituirlo. Non è il caso di abbandonarsi al cupio dissolvi: sfasciamo tutto, poi qualcuno provvederà. Qualcuno chi? Il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, vinse agevolmente le elezioni forte del sostegno del M5S, ma, subito dopo essersi insediato con un ricco bagaglio di buoni propositi, si è scontrato con una realtà drammatica: una città in bolletta e alle prese con varie grane. Non sembra sia riuscito a trasformarla in un paradiso terrestre del tipo che tu, Adriano, con fantasia hai disegnato per Milano, in viale Sarca.
Un conto è conquistare voti sfruttando l’esasperazione del popolo, un altro è procurarsi le risorse per realizzare almeno due delle cento voci del programma. Non è solo questione di inesperienza: come ci si può fidare di un talento dello spettacolo per risollevare le sorti della penisola? Chiunque governerà, si accorgerà di avere le mani legate da lacci e lacciuoli: la Costituzione vecchia, i regolamenti obsoleti e inadeguati, un bicameralismo paralizzante. Non bastasse, c’è anche il peso opprimente della Ue. Ormai non si muove foglia che l’Europa non voglia.
L’Unione europea è una gabbia in cui ci siamo volontariamente imprigionati, rinunciando a una quota decisiva di sovranità nazionale. Grillo ne è al corrente, tant’è vero che non gradisce l’euro, moneta fasulla che fa comodo alla Germania e uccide economie come la nostra. L’Italia ha smesso di progredire in coincidenza con l’entrata in vigore della moneta unica. Ma come si fa a smontare la maledetta valuta? Il M5S non lo dice. È indispensabile riformare i trattati comunitari. Chi se ne assume la responsabilità?
La politica ha due fasi: primo, la raccolta del consenso; secondo, l’attuazione di ciò che è servito per raccoglierlo. Grillo afferma di voler fare tante cose, ma tace su come farle: con quali fondi? Queste sono le perplessità che mi hanno indotto a non cadere nella tentazione di votarlo. Il mio non è un pregiudizio: è un ragionamento basato su dati concreti. Ricordi, caro Celentano, le dichiarazioni pompose di Mario Monti? «Ho salvato la Patria con le tasse dei cittadini», diceva. Ha mutato registro nelle ultime settimane perché i sondaggi lo condannano a piccole percentuali: adesso promette tagli all’Irpef e ad altre imposte. Tra il dire e il fare c’è di mezzo la vita, che ha confini più vasti di un’aula universitaria. I candidati sono inclini a contraddirsi, esattamente come gli elettori che spesso si appendono a un partito ignari che lì si impiccano.
Torniamo ai tuoi viaggi onirici in viale Sarca, a Milano, dove progetti l’abbattimento degli orrendi casermoni che infestano (non soltanto) la periferia della metropoli. Sono d’accordo. Tutto o quasi è stato edificato nel secondo dopoguerra è un obbrobrio e meriterebbe di sparire grazie alla dinamite e alle ruspe. Ma non si può. Dentro quei «loculi» ci sono famiglie, migliaia di famiglie: dove le trasferiamo? Rimpiangi i bei tempi andati, quando viale Sarca aveva tanti bei negozietti che favorivano l’aggregazione umana, l’amicizia, serene esistenze.
Ma il mondo non va a marcia indietro. Paradossalmente, i giganti di cemento sono figli della democrazia: una casa per tutti. Brutta, triste, ma con bagno e cucina, riscaldata, buona per campare decentemente. Preferivi un paio di stanze e un cesso alla turca, magari in cortile? Questa si chiama nostalgia per la giovinezza svanita, della quale rammentiamo solo le pagine rosa. Già. La memoria è selettiva e ripropone esclusivamente ricordi consolatori. Non è il cesso alla turca che ti manca, bensì l’età che ti consentiva di sopportare certi disagi.
Occhio, Adriano: chi lustra il passato rischia di arrugginire il presente. E il presente propone una montagna di guai da superare non con le dolci rimembranze da anziani e facoltosi signori avviati alla terza età, ma adottando la teoria della concretezza: migliaia di imprese chiudono soffocate dalle tasse, dai costi dell’energia e del credito; numerose aziende non reggono più la concorrenza della Germania e di altri Paesi; il finanziamento della cassa integrazione guadagni si esaurisce a maggio; l’euro ha eroso il potere d’acquisto degli stipendi; l’edilizia popolare (quella che ti fa schifo) è in coma e costringe i povericristi a comprare l’appartamento col mutuo (che non cala proporzionalmente allo spread).
E tu aspiri a riaprire i negozietti? Sei mai entrato in un supermercato? Se desideri farti due risate all’idea di cento grillini che trasformano il Parlamento in cabaret, vota Grillo. Se invece ti sta a cuore la gente che soffre, scendi dalla pianta e canta; canta che ti passa la sbornia per gli sfasciacarrozze.
Vittorio Feltri
23/02/2013 – Il Giornale