Gianni Dall’Aglio, l’uomo dietro ai tamburi: “La mia fortuna si chiama Celentano”
Il batterista pubblica l’autobiografia Batti un colpo, un concentrato di aneddoti che racconta un’epoca. Celentano lo recluta tra i Ribelli quando ha solo 13 anni, diventa l’anima del gruppo (è l’autore di Pugni chiusi, che la voce di Stratos rende memorabile), suona con Battisti (“mi diceva che dovevo suonare la batteria rilassato ma nervoso!”), partecipa con le sue bacchette allo storico duetto in tv Lucio-Mina, 1972
Per tantissimi resterà quello tra Mina e Battisti, in alto. È così che Gianni Dall’Aglio passerà alla storia della musica italiana. Anzi, ci è già. Basta guardare il filmato dell’unico incontro tra la Mazzini e Battisti, anno di (troppa) grazia 1972, giorno domenica 23 aprile, al teatro Delle Vittorie di Roma, trasmissione Teatro 10, sul Secondo Canale, ovviamente in bianco e nero. In medley Mi ritorni in mente, Il tempo di morire, E penso a te, Io e te da soli, Eppur mi son scordato di te ed Emozioni, otto minuti epocali, e non è un’esagerazione, che su Internet fanno milioni di cliccate e anche qui non esageriamo. A suonare con Battisti sono venuti – come li chiama lui – “cinque amici da Milano”: Angel Salvador (basso), Massimo Luca (chitarra acustica), Gabriele Lorenzi (tastiere), Eugenio Guarraia (chitarra elettrica). E appunto Gianni Dall’Aglio alla batteria. “Con la fortuna che la mia postazione era stata rialzata. Insomma, spiccavo su tutti. E in tantissime inquadrature la mia faccia è proprio tra Mina e Lucio. Per noi era un’esibizione qualsiasi, solo col tempo abbiamo capito che cosa aveva rappresentato. E la morale è che tutti si ricordano di me”. E per chi non se lo ricordasse, il consiglio è di leggere l’autobiografia che uno dei massimi batteristi italiani ha scritto in vista del compleanno numero 70. Batti un colpo (Gabrielli edizioni, 200 pagine, 15 euro) è un concentrato di ghiotti aneddoti, strazianti racconti umani, rievocazioni di una musica che riusciva ancora a essere artigianato e non industria. Tutte cose di uno che c’era: batterista di Celentano dall’età di 13 anni (esatto), poi anima dei Ribelli, autore di Pugni chiusi, uno dei capolavori della musica italiana, collaboratore di Battisti, Patty Pravo (è sua la batteria di Pensiero stupendo). Insomma, dove c’era la grande musica lui c’era, un po’ come Forrest Gump. Ma con la consapevolezza, non certo facendo la figura di quello che non capisce neanche dov’è capitato.
Dall’Aglio, partiamo da Pugni chiusi, grandiosa canzone che la voce di Demetrio Stratos rese un capolavoro. Ancora pochi sanno che è sua.
“Eh sì, perché ai tempi non ero ancora iscritto alla Siae, e come autore fu segnato Ricky Gianco. Che per anni la definì come sua e si prese i diritti d’autore, malgrado avesse firmato un foglio in cui si impegnava a girarmi i soldi, senza poi rispettare l’accordo, mi diede solo un forfait. A un certo punto non volevo più saperne nulla, mentre mia moglie Orietta era furibonda. Finché quel foglio non saltò fuori, e ora posso dire con orgoglio che Pugni chiusi è mia a tutti gli effetti. Capirà che ci tenevo: la prima canzone che scrivo in vita mia, a 22 anni, mi viene fuori così…”.
Partiamo dagli inizi però. Che sono davvero precoci. Come fa un ragazzino di Mantova a trovarsi a 13 anni a fare il batterista di Celentano?
“Caso, fortuna, abilità. La batteria era una passione da tempo. Avevo un complessino di adolescenti come me che un pomeriggio del 1959 si esibì in un locale di Salsomaggiore dove la sera era di scena Adriano con il suo complesso. Ma il batterista non si presentò e lui mi chiese di sostituirlo. Per fortuna conoscevo tutte le canzoni, da Il tuo bacio è come un rock a Long tall Sally. Anzi, impressionai Adriano perché quando volle Tutti frutti gli chiesi se nella versione di Elvis Presley o di Little Richard. Da lì è nato tutto. E Adriano è stato semplicemente fondamentale per me: mi è stato amico, fratello, padrone di casa quando andavo a suonare a Milano. Una presenza vicina e costante, un artista straordinario per l’istinto, la passione e il talento. Conoscerlo è stata una fortuna, e la mia vita è stata tutta una fortuna”.
Addirittura?
“Certo, ho avuto i miei problemi. Ma mettiamola così: quando le cose sembravano andare male c’era sempre qualcuno o qualcosa che me le risolveva. Dei genitori che ebbero il coraggio di assecondare le passioni musicali di un figlio difficile, che a scuola andava malissimo. Adriano. Lucio. Oppure il 13 al Totocalcio fatto buttando giù 1 X 2 a casaccio con cui mi comprai una casa”.
Di Battisti che ricordi ha?
“Aveva un talento straordinario, una passione unica, riusciva sempre a guardare avanti, a essere moderno, anzi all’avanguardia. Peccato che si concedesse poco personalmente. Gli piaceva giocare e scherzare, ma solo in sala incisione. Ad esempio mi chiedeva dov’era Mantova e fingeva di non averla mai sentita nominare. Oppure mi diceva che dovevo suonare la batteria ‘rilassato ma nervoso’. Però finito di suonare, spariva, tornava a casa e addio. Pensi che non ho una sola foto privata con lui. Adriano invece era davvero il leader di un clan, era il capofamiglia di tutti noi. E ci aiutava a crescere. Quando i Ribelli decisero di non essere più solo la sua band, ma di intraprendere un percorso autonomo ci incoraggiò. Certo, adesso non riuscirebbe a fare una carriera così. Sarebbe incasellato subito dall’industria discografica e dai talent show, senza poter svariare, senza mostrare il suo talento di intrattenitore. Allora quella musica non era un’industria, anche se fatturava come la Fiat: era artigianato, meccanici, orefici, intagliatori. Non lo dico con nostalgia, è un dato di fatto. Quando mai adesso un tredicenne potrebbe trovarsi per caso a fare il batterista di Eros Ramazzotti, per dirne uno?”.
Nel libro si è messo davvero a nudo, raccontando anche episodi particolari. Come il rene che ha donato a sua moglie Orietta nel 2008.
“Glielo dovevo. Quel trapianto è stata la cosa di cui sono più fiero della vita. Un amico mi ha detto che è stato il mio concerto più bello. Ed è vero. Però non nascondo i miei errori, ad esempio degli sciocchi flirt che potevano costarmi il matrimonio. Però si ride anche, direi”.
Ad esempio per il mancato incontro con Ray Charles, di cui però incontrò qualcosa. Ce lo racconta?
“Agosto 1964, si esibì alla Bussola di Viareggio, io e il sassofonista dei Ribelli Natale Massara eravamo tra il pubblico, estasiati. Il giorno dopo andammo in albergo per cercare di incontrarlo. Riuscimmo a sapere il numero della stanza. Arrivammo, era aperto. Entrammo, ma lui era già andato via, assieme alla spettacolare bionda che lo aveva accompagnato. Il letto era ancora disfatto. E in mezzo, una inequivocabile macchia di materiale organico. Per mezzo secondo io e Natale avemmo la tentazione di prelevarlo e fare nascere qualche piccolo Ray Charles tutto per noi. Ma poi rinunciammo. Peccato”.
A parte questo, ha altri rimpianti nella vita?
“Guardi, me ne è venuto in mente uno giusto l’altro giorno. Ma l’ho dimenticato. Si vede che non era importante”
di LUIGI BOLOGNINI
11/04/2015 – La Repubblica (www.repubblica.it)