Il ritorno dei buoni per la Messa rock
Davanti al video
Adriano è efficace anche nell’indugio e la sua tv così antica da sembrare cinema
Celentano crede nella sacralità della sua missione, fa tv come un prete celebra messa. Messa beat, s’intende. Anzi rock. Non tutto quello che scorre sul piccolo schermo è spazzatura. Non tutto è perduto. Ci pensa Adriano a dividere il mondo in buoni e cattivi: il male è lento, il bene è rock. Questione di ritmo.
La messa si regge su un format molto forte; Celentano, nonostante la lentezza della preparazione, invece va a braccio. Un po’ canta. Un po’ predica. Un po’ dialoga. È lento e rock insieme. Un po’ s’accompagna a Gérard Depardieu che tiene fede alla sua fama di intenditore di vino, un po’ sgrida la Rai che ha cacciato Biagi, Santoro e Luttazzi per un editto promulgato a Sofia da Berlusconi. Berlusconi è lento. Molto lento. Per questo siamo un Paese «parzialmente libero», secondo Freedom House, un Paese lento: anche se la classifica scorre velocemente il nostro Paese è solo al 79˚ posto. Intanto però anche il programma comincia a rallentare.
C’è da santificare il ritorno di Michele Santoro: è una tv salvifica. Per chi la fa, per chi vi partecipa, per chi la guarda, forse. Santoro è lento di suo. Anche lui vuole che diventiamo migliori (a spese di Berlusconi) ma rivendica con forza anche la sua trasmissione. Lancia un appello ai suoi: «Si preparassero a lavorare ». Poi inneggia alla fratellanza, all’uguaglianza, alla libertà, e anche alla cultura. La cultura dei congiuntivi, par di capire. Celentano è efficace anche nell’indugio, è così antica la sua tv da sembrare cinema, così sfasata da esaltare le sfasature, persino i «terribili » monologhi sull’Illuminismo, sulla ragione, sulle vaste plaghe del Male.
Ma cosa vuol dire RockPolitik? Ce lo spiegano, didatticamente, le schede filmate. RockPolitik una specie di ossimoro, due termini tra di loro contradditori associati in un’unica espressione. Il rock è l’età dell’oro del Salvatore, l’adolescenza in via Gluck e nella Milano dei Navigli, la sua sorgente di vita cui si è abbeverato, il «periodo più bello», la «voglia di trasgressione », il grande sogno di cambiare il mondo. Ma il sogno si è impigliato in una grande rete, l’intrico della politica, l’organizzazione governativa. Il rock è l’anima, libera da ogni peso; il politik è il corpo: pesante, d’intralcio. Il rock è la libertà d’espressione; il politik sono il capitalismo, i sindacati, gli immobiliaristi, la speculazione edilizia, la politica, Berlusconi o il sindaco di Milano Albertini. A una certa età si ritorna sempre al punto di partenza, al posto delle fragole. Per Celentano quel paesaggio pittorico è il rock (e Rossini).
Raramente una scenografia (è di Gaetano Castelli) parla come questa: più che un set è un racconto fiabesco. È la storia di un mostro che si chiama Globalizzazione, alto come un grattacielo, largo come l’immenso Oriente, e si mangia tutto: la casa fuori città, gente tranquilla che lavorava, le colonne romane, i binari in disuso, la Cina è vicina. La Globalizzazione divelle, fa disastri ecologici, sradica: la foresta dell’Amazzonia come il ragazzo della via Gluck, l’uomo con le radici. A una certa età arriva la voglia di fare la predica, di farsi santone. È una tentazione che molti artisti hanno. E quindi quella Rai di prima ora è rock, Mediaset non ancora.
Aldo Grasso
21/10/2005 – Corriere della Sera