MILANO – La festa che Massimo Moratti sognava da sempre, una serata indimenticabile che resterà nel cuore e negli occhi di tanti. Sì, perché ieri si è celebrato non solo il Centenario, ma una festa globale che ha coinvolto un’intera città (parte rossonera esclusa, ovviamente). A farla da padrona è stata la commozione, anche gli ultrà si sono lasciati andare e proprio da loro è partita l’iniziativa per quella che è stata la più grande scenografia mai vista in uno stadio calcistico, una coreografia che ha coperto i due anelli del Meazza, con i quattro storici stemmi dell’Inter e una megagigantesca maglia nerazzurra col numero 100. E uno striscione infinito «1908-2008 cento anni in serie A» da far venire i brividi.
Quegli stessi che ha provocato Gianfelice Facchetti, figlio del grande Giacinto, che ha aperto la serata: «I nostri sono i colori del cielo e della notte… questa è la notte della memoria e del futuro». E poi la sfilata delle bandiere delle 35 nazioni che hanno regalato gli 825 giocatori interisti, i numeri che parlano di 1.615 vittorie, 5.441 gol, gli scudetti e le coppe vinti, perfino due cinesi arrivati da così lontano per sposarsi oggi a Milano, ricorrenza del Centenario.
Poi il colpo di teatro, quello che nessuno s’aspettava: lui, proprio lui, il ragazzo della via Gluck, quell’Adriano Celentano che ha professato la sua fede nerazzurra cantando la canzone che l’ha reso celebre, con qualche piccola variazione in chiave politica, come l’attacco ai costruttori che «distruggono Milano» o alla «destra e alla sinistra che non hanno capito quale sia il vero programma». Ma, soprattutto, il duetto inaspettato con Massimo Moratti sulle note di «Sei rimasta sola» che il presidente, emozionato, ha commentato entusiasticamente: «Cantare con Celentano è come giocare con Pelè». I tanti saluti dalle massime autorità calcistiche mondiali, lo struggente ricordo di Facchetti e Peppino Prisco e poi la sfilata dei magnifici 200, i grandi ex di un passato più o meno recente, chiamati al centro dello stadio per la standing ovation.
Giovanotti di belle speranze, a cominciare da Antonio Caracciolo (classe 1917), Achilli, Amadei, Campagnoli, Mazza, Savioni, Poluzzi, Masiero, Venturi, Firmani, Angelillo, Mereghetti, Tagliavini. Poi la Grande Inter di H.H., gli storici Sarti-Burgnich-Bedin-Guarneri-Jair-Mazzola-Peirò-Suarez-Corso. E solo a ricordare la mancanza di Picchi e Facchetti, a più di uno è spuntata una lacrima furtiva. A seguire, l’Inter dei record di trapattoniana memoria: Zenga, Brehme, Matthäus, Serena, Bergomi, Berti, Ferri. E tanti altri come Domenghini, Boninsegna, Klinsmann, Altobelli, Roby Baggio, Pizzi, Occhipinti, Sabato, Baresi, Taribo West, Zamorano, Sosa. Uno per tutti, Lothar Matthaus: «Qui ho passato gli anni migliori della mia vita e continuo a tifare Inter e Bayern. Apprezzo Mancini e come fa giocare la squadra: lui era un attaccante e la fa giostrare così, mentre invece il Trap, da buon difensore, ci faceva restare sulla difensiva. E si arrabbiava con me perché spingevo la squadra in avanti. L’Inter ce la farà col Liverpool, ma dovrà essere spinta dai tifosi. Ibrahimovic? Il Napoli aveva Maradona, l’Inter Matthaus, il Milan Gullit e Van Basten, oggi non c’è un giocatore rappresentativo come noi. L’unico che mi assomiglia in nerazzurro è Stankovic, un trascinatore».
Poi tutti in piazza Duomo, il taglio della gigantesca torta nerazzurra da parte di Moratti in un’orgia di grandi ex e tifosi impazziti.
di Gian Piero Scevola
09/03/2008 – il Giornale.it