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Memorie di Adriano politico suo malgrado

La biografia di Celentano scritta dal nipote: era berlusconiano
come tutti i self made man, ma ora non lo trova più sincero

ANDREA SCANZI

ROMA
Bruno Perini sembra quasi suo zio. Giornalista militante, giocatore indefesso di biliardo. Ha appena scritto Memorie di zio Adriano (Mondadori). Il libro migliore su Adriano Celentano: suo zio, appunto. Perini è figlio di Maria, sorella maggiore del Molleggiato. In Yuppi Du interpreta un prete: una sorta di personale compromesso storico. È l’intellettuale di famiglia, abituato a spiegare il mondo allo zio. Cosa voleva dire «stagflazione» e cosa «reazionario» (l’accusa mossagli dopo Chi non lavora non fa l’amore).

Memorie di zio Adriano è storia di un aspirante orologiaio che diventa Elvis italiano, conservatore e rivoluzionario. Tutto e il suo contrario. Uomo col terrore di volare, ma non con la fantasia e l’azzardo. Il libro ha soprattutto il merito di raccontare l’evoluzione più inaspettata del Molleggiato: quella da re degli ignoranti, da «cretino di talento» come lo battezzò Giorgio Bocca, al più politico degli impolitici. Se da una parte esiste ancora l’Adriano che non sa parlare d’amore ed esce di rado, vendendo vagonate di dischi, c’è ormai anche il Celentano impegnato, spintosi ben oltre l’ecologismo ante-litteram. Perani, forse perché parzialmente responsabile di tale mutazione, sorride. «È arrivato alla politica con l’intuito, da animale istintivo. È cominciata con le polemiche di Fantastico 8. Poi lo colpì il caso Sofri. Mi chiedeva chiarimenti, faceva confusione su sentenze di primo e secondo grado, prendeva appunti».

Com’è stato possibile che il popolare (e populista) Celentano sia diventato icona antiberlusconiana? «Adriano era berlusconiano come tutti i self made men. Per questo gli piacque subito anche Di Pietro. Il pregio maggiore di mio zio è l’autenticità. Ha smesso di credere in Berlusconi quando ha capito che non era autentico. Già non gli perdonava la speculazione edilizia e gli spot, per questo non è mai andato in Mediaset. Ora c’è di più: la sentenza Dell’Utri lo ha sconvolto. Mi dice: “Ci pensi? Berlusconi frequenta Dell’Utri, che per 20 anni aveva relazioni molto pericolose”. Intuisce che è il premier a non volerlo in Rai e non dimentica lo sgarbo fatto a Claudia Mori per la fiction su De Gasperi. Era tutto pronto, regia di Liliana Cavani. Venti giorni dopo la conferenza stampa, la Rai fa sapere a Claudia, la produttrice, che Berlusconi non vuole la Cavani. Lo zio non ci credeva: “Ti rendi conto? Come si permette questo qua di bloccare tutto?”». La Mori non ha gradito il libro. «La zia ha un carattere non facile, è molto possessiva. Quando è circolata la voce, sbagliata, che fosse la “biografia autorizzata”, si è arrabbiata e lo zio ha fatto una smentita. Poi però quattro notti fa mi ha chiamato per dirgli che il libro lo aveva emozionato. La zia ha tanti meriti, dall’avere contribuito alla crescita politica di Adriano all’allontanamento di certi amici, gli stessi che gli dissero di non fare un film con Pasolini».

La Mori era tra il pubblico di Raiperunanotte. «Doveva andare anche Adriano, ma ha pensato che era troppo. Lui poi ama i grandi numeri e quella era una cosa un po’ di nicchia. Però ha mandato Claudia. L’apice politico è stato Rockpolitik. Lo aveva ferito l’ukase bulgaro. Quando gli amici dicevano che faceva tivù troppo di sinistra, rispondeva che gli autori di destra non esistono. Aveva provato a bilanciare, ma mancava a qualità». Tra lui e Santoro c’è feeling. «Sì, ma non tanto ideologico. Allo zio piace l’uso senza vincoli che fa Santoro della tivù. Ci si rivede, è come se fosse suo erede». L’ultimo Celentano è anche editorialista. «Gli dico che scrive articoli perfetti per Il Manifesto e si mette a ridere. Legge Il Fatto e il suo passaggio dal Corriere a Repubblica è sintomatico: il Corriere gli bocciava tutte le idee».

Si è parlato di Celentano sindaco di Milano. «Una boutade nata alla presentazione del libro di Mario Capanna. Aveva letto si è no tre pagine, ma gli erano piaciute». Celentano pasionario e grillista? Aveva perfino aderito al secondo V-Day. «Beppe è amico di sua figlia Rosita. Si stimano, ma sono troppo istrioni per non essere gelosi l’uno dell’altro. E poi lo zio c’è rimasto un po’ male per il no di Grillo a Rockpolitik». A inizio carriera, Celentano lambiva la politica con canzoni di innocua indignazione: Mondo in Mi7, Svalutation. Ora no: «Né destra né sinistra», ha scritto per lui Ivano Fossati. Ci si specchia ancora. Però sembra come che il ragazzo della Via Gluck voglia andare alla guerra. Sopra le barricate, addirittura.

08/07/2010 – La Stampa

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