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Niente accordo per Proietti cala il sipario sul Brancaccio

da Cavi di Lavagna (Genova)

Il Duca, jazzista puro. Le trombe, Dodi e Gigi. Pejo alla batteria e Cin al contrabbasso. Beppe, detto Mistinguette o Cicalino, che fa un gran solo al clarinetto in Liza. E il Canadese, che quella notte d’inverno del 1958, tornando a casa dopo il concerto all’Unione Studenti Medi Astigiani, se ne sta pensieroso e medita di passare dal trombone al vibrafono. Sono i primi musicisti a sfilare nel memoir di Giorgio Conte Sfogliar verze (Excelsior 1881, 118 pagine, 12,50 euro). I primi di una lunga serie: Adriano Celentano e il suo Clan, Rosanna Fratello, Ornella Vanoni, Mina, Milva, Fausto Leali. E il fratello maggiore Paolo, che poco tempo dopo quella sera d’inverno fondò, con Giorgio alla batteria, il Paul Conte Quartet.
Entrambi avvocati allevati a lezioni di piano da un’amica della mamma, Ninita Bossola, che veniva da Torino apposta per somministrare a Giorgio e Pablo la tortura dei solfeggi, i due iniziano insieme con il jazz, poi sotto contratto con il Clan Celentano: «Ai primi passi ce ne capitò subito una bella: Paolo aveva tra le musiche un valzerone che ad Adriano piacque. Scoppiavano allora i primi focolai di protesta. Il paroliere Beretta scrisse sul valzerone versi così: «A noi ci piace la donna/altro che far la protesta/fa mal la testa/la donna invece no, che non fa mal». Era uno dei momenti mistici di Adriano e quelle parole furono cambiate in un inno alla coppia: La coppia più bella del mondo, appunto». E fu proprio in uno di quei momenti mistici che Giorgio e Pablo composero per Adriano Chi era lui, la canzone che Celentano incise come facciata B del Ragazzo della Via Gluck.
Il contratto col Clan fu proposto ai Conte da Roby Matano, incontrato proprio a Cavi di Lavagna, dove Giorgio ha iniziato due sere fa la sua tournée estiva: «Eravamo tra i pochi piemontesi a fare la vacanze sulla più signorile riviera di Levante, in una villa a Sestri. Ai bagni Arcobaleno di Cavi, quell’estate anni Sessanta suonavano I Campioni di Roby Matano, il gruppo di Tony Dallara. Il chitarrista era un ragazzino, un certo Lucio Battisti. Roby mi promette che quell’inverno mi presenta al Clan. Ci andiamo, io e il Canadese. Ci riceve Alessandro, fratello di Adriano. I brani che portiamo gli piacciono. E ci mette subito sotto contratto».

Da quel momento, la ditta Conte produce per parole e musica. E che risultati. Tra i frutti di Giorgio Deborah e Non sono Maddalena: «Le canzoni con un nome di donna funzionavano. Noi avevamo un testo che si riferiva alla storia di un marine con una bella libanese. Per dare il nome a lei, guardiamo sulla Bibbia: la spuntò Deborah, con l’h. Leali fu incaricato di cantarla. Dopo A chiii, speravamo nell’allungo di vocale con Deboraaah. Era l’anno delle doppie interpretazioni a Sanremo e Deborah toccò a quel mostro sacro di Wilson Pickett, che ne fece il primo r’n’b mai cantato al Festival». E con Rosanna Fratello come andò, invece? «Il capo delle edizioni Ariston Alfredo Rossi ce la presentò come una sua scoperta dalla voce eccezionale da portare alla Gondola d’Argento. Io avevo nel cassetto una canzone su un commesso viaggiatore e una moglie fedifraga. Il paroliere Parravicini suggerì l’accostamento con la Maddalena di Gesù. Mi dissi: «Se non è copiata, è un successo». Fu un successo: in Francia è ancora nelle evergreen di Mireille Mathieu. Ma adesso me la sono ripresa in ritmo sincopato e la faccio come bis alla fine dei miei concerti».
Epperò i Conte scrissero anche a quattro mani. E ne uscirono due gioielli: Una giornata al mare e La Topolino amaranto: «Devi sapere che mi e el me fradel avevamo un archivio dei ritornelli dove infilavamo tutte le cose incompiute da non buttare. Un giorno ne caviamo fuori una mia frasetta musicale da presentare a Little Tony, che aveva una fidanzata hostess, biondissima: “Vola vola bionda, ti scaglia una fionda nell’alto dei cielâ€?. Da lì nacque la Topolino amaranto, in cui è rimasta solo la fionda». Una giornata al mare ebbe invece una genesi velocissima: «Ai tempi io e Paolo vivevamo sotto lo stesso tetto. Un pomeriggio componevo in camera, con un armadio a due ante che mi faceva da cassa di risonanza. Mio fratello passa di lì ed è attratto da un ritornello che aveva lo stesso ritmo di milonga di Non sono Maddalena. Dopo cinque minuti tornò con il testo di Una giornata al mare. La incise l’Equipe 84, usando per la prima volta il Moog. Poi Lauzi, Milva, Paolo e anch’io». Che mare è, quello lì? «È il mare di Paolo, un ragazzo di provincia che vive oltre la colline, critico e malinconico». Il mare di un Canadese: «Lo chiamavamo così, Paolo, per via che veniva a suonare il jazz con un cappotto col colletto di opossum».
Le strade degli avvocati Conte si sono divise molto tempo fa, anche se non tutti sanno che entrambi incidono e calcano palcoscenici internazionali. Chissà se torneranno mai a suonare insieme: «Ne abbiamo parlato. Ma pensiamo che i tempi non siano ancora maturi. Aspettiamo ancora un po’ di anni. Una cinquantina». Gente discreta, i piemontesi.

28/07/2007 – il Giornale

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