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Nove milioni per il film di Celentano

di NormaRangeri

Nove milioni, anche undici nei momenti clou, e l’asticella dello share che supera il 30 per cento e arriva fino a sfiorare il 49. Un botto. Merito di Celentano, autore-regista-protagonista di una bella commedia, ma anche delle scenografie (firmate da Gaetano Castelli) che inventano lo spazio ristretto di uno studio di registrazione che somiglia a un rifugio primitivo. E di quegli sprazzi luminosi che sfondano lo schermo giocando con effetti speciali cinematografici (light-designer Franco A.Ferrari), sottolineati dalla «amichevole collaborazione di Paolo Beldì. Poi i titoli di testa citano i coautori, Claudio Fasulo e Riccardo Piferi, mentre non menzionano quel golf a rigoni verticali sopra una camicia a righe orizzontali, indossati dal molleggiato, il personale tocco di glamour della serata.
Come mai uno spettacolo definito da molti come il solito noioso, predicatorio, mediocre miscuglio di paroloni alla fine conquista il grande pubblico di Raiuno? C’entra il piccolo capolavoro della canzone di Tricarico: La situazione di mia sorella non è buona è una prova d’artista. C’entra l’idea di mettere in scena un avvolgente racconto. Ogni inquadratura studiata nei particolari, tessera di un puzzle da comporre in un tempo umano (il programma è finito intorno alle 23). Una piccola rivoluzione di fronte all’occupazione di tempo pubblico perpetrato dai treni dei desideri della Clerici o dai ballerini della Carlucci, che si inchiodano allo schermo fino alla mezzanotte e oltre.
E, come sempre succede con Celentano, ai telespettatori che vengono informati solo dalla televisione si offre una discussione su informazione e televisione. Con la telefonata a Milena Gabanelli, con il sofisticato, specialistico discorso sugli applausi. Il copione assegnava a Fabio Fazio il compito di trattare l’argomento applausometro, così centrale in Che tempo che fa, dove pause, battute, sguardi, ironie sono appunto scanditi dall’applauso. «È troppo finto», dice Celentano, «il pubblico applaude perché ha l’abitudine alla tv», spiega Fazio. La situazione celentaniana non ne ha bisogno, è sufficiente affollare lo studio con gli autori, i musicisti, le comparse come fossimo su un set.
Del resto la retorica dei testi con il carico dell’applauso diventerebbe indigesta. Meglio evitare, specialmente quando si maneggiano temi come la violenza degli ultrà, che Celentano esorta a cambiare diventando lievito di una rivoluzione personale che scopre il volto e butta a mare quell’accento (ultrà) micidiale.

28/11/2007 – il Manifesto

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