Più Adriano per tutti
Quando il forzista Sandro Bondi, su mandato del capufficio, cita lo show di Adriano Celentano come prova regina che l’Italia è un paese libero «grazie alla Cdl», somiglia tanto a quei poliziotti della Stasi che il giorno del crollo del Muro di Berlino inneggiavano alla libertà per non essere riconosciuti dalla folla. Giovedì sera, intorno alle 22, quindici milioni di cittadini hanno dato una vigorosa spallata al muro di Berlusconi, alla ferrea gabbia di censure, persecuzioni, epurazioni che per quasi cinque anni ha irregimentato, minacciato, mortificato l’informazione televisiva in Italia; e dunque gravemente limitato la libertà di pensiero. Un ascolto senza precedenti che ha avuto il suo picco in una precisa ambientazione di Rockpolitik, spettacolo anarchico e mescolato con generi diversi.
È accaduto non nel momento della satira, non nel momento della politica ma nel momento dell’informazione. Rivediamolo. Lettura dei messaggi di Enzo Biagi, Beppe Grillo e Daniele Luttazzi, grandi scomparsi dalla tv del regime che ringraziano Celentano ma declinano l’invito in trasmissione (tre sedie vuote riempiono la scena). Il presidente del Consiglio che in visita ufficiale a Sofia (18 aprile 2002) ordina ai dirigenti Rai di sbarazzarsi di Biagi, Santoro e Luttazzi, colpevoli di «uso criminoso» della tv. Scorre la classifica di Freedom of the press sulla libertà d’informazione, con l’Italia al 78° posto, piazzata tra Bulgaria e Mongolia. Infine, Celentano che consegna il microfono-simbolo a Michele Santoro; il quale, però, vuole il suo di microfono, il suo di lavoro, sottrattogli da un atto di enorme prepotenza e ingiustizia.
Quattro momenti di forte dramma televisivo che sono in realtà altrettante notizie: dimenticate o non date. Perché l’editto di Sofia è un fatto realmente accaduto. Perché è realmente avvenuta l’espulsione dalla Rai di Biagi, Santoro, Luttazzi; ma anche di Grillo, di Sabina Guazzanti e di un numero imprecisato di artisti e giornalisti ignoti, colpevoli di non essersi mostrati sufficientemente servili con la destra. Così come è un giudizio verificato nella realtà delle cose l’umiliante collocazione del nostro paese, assoggettato dal più colossale conflitto d’interessi, nelle graduatorie e nei rapporti internazionali (dall’Onu all’Unione Europea) sulla libertà di stampa.
Non si capisce, dunque, in base a quali argomentazioni il ministro (An) Landolfi possa parlare di «spot politico», e annunciare con il piglio del gerarca un’immediata ritorsione sul canone Rai. E non si comprende neppure di cosa si lamenti il direttore di Raiuno, Fabrizio Del Noce, quando accusa Rockpolitik di «qualunquismo di sinistra». Si è chiesto Del Noce come sia potuto accadere che quei fatti, quelle notizie, quelle dichiarazioni, quei numeri abbiano dato origine a un evento mediatico senza precedenti raccogliendo attorno ai teleschermi quindici milioni di italiani? La risposta è semplice: perché a nessun altro nel servizio pubblico è stato concesso di esporre nella loro elementare concatenazione quei fatti, quelle notizie, quelle dichiarazioni, quei dati. L’autocensura Rai è giunta a tal punto che perfino le immagini bulgare del premier ringhiante mai più sono state ritrasmesse: non tanto per il loro carattere disgustoso (ne abbiamo viste di peggio) ma in quanto prova evidente a carico dell’autore del misfatto.
Rifletta Del Noce: la condizione di servilismo nella quale annega il servizio pubblico è tale che perfino le notizie più elementari fanno paura. Cosi, il primo che, dopo anni di silenzio, riesce a trasmetterle sulla rete ammiraglia fa il pieno di ascolti. È un caso che questo qualcuno sia un grande uomo di spettacolo indifferente ai diktat, visto che i giornalisti sono stati o intimoriti o imbavagliati o cacciati? Proprio come in Mongolia o in qualche repubblica tartara.
Però, sappiamo tutti che questo spiraglio di dignità, e verità non si è aperto per grazia divina, per improvviso ravvedimento o atto eroico. Il vento è cambiato perché sono cambiati gli equilibri politici, e dunque di potere in Rai, a seguito della squillante vittoria dell’Unione nelle Regionali dello scorso aprile. A viale Mazzini, adesso, c’è un consiglio di amministrazione presieduto da un esponente dell’opposizione, il ds Claudio Petruccioli. Quanto al direttore generale Alfredo Meocci (Udc), messo davanti al difficile caso Celentano ha saputo mantenere la schiena dritta.
Il Rockpolitik di Adriano apre una fenditura nel muro del regime. Ma la sinistra che giustamente se ne compiace dovrà guardarsi dal commettere due errori. Eviti di considerare fiaccata l’offensiva berlusconiana sulle tv. Ricordi che, tranne poche eccezioni (Raitre, La7, Sky), il resto delle comunicazione politica resta saldamente nelle mani del premier o è da lui controllata. Sappia che i “suoi” tg continueranno a propinarci dosi massicce di propaganda governativa. Senza contare la grandinata di spot elettorali che il cavaliere sta per rovesciarci addosso.
Il secondo sbaglio da evitare riguarda il futuro quando l’Unione (speriamo) al governo dovrà affrontare, a sua volta, la questione informazione Rai. Si sottragga, per cortesia, alla tentazione di promuovere direttori suoi, giornalisti suoi, programmi suoi. Fugga come la peste l’incensamento dei propri leader. E anzi promuova la satira di destra; e se la destra non ce la fa si sottoponga volentieri alla satira di sinistra, la più corrosiva possibile. Si crei una tv più libera, più vera e dunque più divertente. Anche perché il bubbone della disinformazione, dell’arroganza e della menzogna prima o poi scoppia e sono guai. Insomma: più Celentano per tutti.
di Antonio Padellaro
21/10/2005 – L’Unità