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Quanto è rock vivere lento

Il 19 febbraio è la giornata dedicata allo slow living. Occasione per riflettere sul nostro affanno quotidiano. Inutile e inelegante

Per avere se non il migliore almeno il più sentito fra i possibili elogi della lentezza non è il caso di rivolgersi a Seneca, o a qualche diramazione della più meditativa filosofia orientale. Basta pensare di assistere al dialogo fra una moglie spaventata e un marito entusiasta che alla guida della propria berlina è contento di emulare Alonso.
Del resto la Giornata mondiale della lentezza non viene indetta proprio nel periodo in cui l’analisi delle acque fluviali rivela una preoccupante presenza di cocaina e il ministro dell’Interno ammette che non si può far molto per combattere i traffici illeciti, giacché «la cocaina è richiesta dagli italiani»?

La lentezza, insomma, si definisce sempre per contrasto e reazione con il suo opposto. Anche nei divertenti deliri di Adriano Celentano, che opponevano ciò che è buono e rock a ciò che è malinconico e lento, si poteva notare come la lentezza, in sé, non esiste: non è un valore.
Nessuno è contento di essere tardo e torpido, a meno che non tenga ben presente quella volta che ha rischiato di schiantarsi in autostrada, o quella volta che ha fatto una gaffe perché ha parlato prima di pensarci bene.
Si dice che proprio dopo avere sfiorato un incidente automobilistico il regista Stanley Kubrick, grande orchestratore di cambi di ritmo nei suoi film, diede ordine al suo autista di non superare in alcun caso la velocità di 30 chilometri all’ora.

Alle prudentissime nonne ci volevano tre versi e altrettante rime per dire che «chi va piano, va sano e va lontano», mentre ne bastavano due per sottolineare: chi va forte va alla morte. Ecco, la morte. Che la tartaruga preceda il piè veloce Achille è considerato un paradosso, e in effetti Zenone di Elea lo formulò proprio per trovare una contraddizione nell’opinione, è il caso di dire, corrente.
La filosofia consiste nel ripensare con ponderazione (termine fatalmente connesso alla lentezza), quasi manovrando una moviola mentale, ciò a cui ordinariamente si pensa saltando passaggi intermedi. Se poi però riportiamo i protagonisti di quella storica corsa sul piano dell’esistenza, ci accorgiamo che la longeva tartaruga supera effettivamente Achille, destinato a morire giovanissimo e proprio perché colpito nell’organo della sua velocità: il tallone.

Ritroviamo la lentezza in un mito addirittura precedente, quello di Edipo. L’enigma della Sfinge descriveva l’uomo come un animale che cammina con quattro, due e tre piedi, e che è più lento tanti più appoggi usa: da bambino a quattro zampe, da vecchio con il bastone. Già il mito dunque stabiliva una relazione tra la velocità e le stagioni dell’uomo. Il tempo immobile dell’infanzia accelera con la giovinezza, poi rallenta con la vecchiaia, prima di consegnarsi all’immobilità.

Se ogni elogio della lentezza appare sempre provocatorio e paradossale, ciò è dovuto al fatto che, come si diceva, in sé la lentezza non esiste: esiste il rallentamento. Gli esempi vengono da ogni settore: i concerti rock non incominciano mai con un brano lento, lo slow food è stato inventato dopo il fast, i quieti snodi del «chill out» smaltiscono l’adrenalina dei più frenetici rave party. Nelle sue Lezioni americane Italo Calvino affronta il tema della lentezza solo all’interno del capitolo dedicato alla rapidità.
Glenn Gould incise poco più che ventenne una sua esecuzione velocissima e brillante delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. A cinquant’anni, poco prima di morire precocemente, ne incise una versione invece lenta: 51 minuti contro i 38 della prima esecuzione, una differenza enorme.

Ci si adegua così all’aforisma coniato da un geniale dirigente sportivo, Gianmario Missaglia. Giustamente convinto che «ogni educazione è fisica», Missaglia consigliava: «Rallentate. Qualsiasi cosa stiate facendo, rallentate». La velocità è sempre un’ebbrezza, la lentezza no. E non è neppure sempre un ‘ipnosi (che è un’ebbrezza sapiente). È piuttosto una conquista, un punto d’arrivo.
Per aumentare la velocità bastano allenamenti, macchine, a volte droghe. Esistono un ‘economia e un mercato della velocità, ma non esistono un ‘economia e un mercato della lentezza. Solo nei tornei per fumatori di pipa viene premiata la lentezza. Per rallentare e proseguire piano l’allenamento possibile è solo psicologico, e implica il passaggio dal pensiero lineare e quantitativo del tempo al più complesso (e qualitativo) calcolo del ritmo.

La velocità assoluta incontra i suoi limiti nel mondo fisico, molto prima e più efficacemente che nel codice stradale. Si può battere, forse, il record mondiale dei 100 metri piani, ma non li si potrà mai correre in 6 secondi. Ci si può allenare ad abbassare i propri tempi di reazione, ma non si può rendere la reazione simultanea all’azione.
Quando ci si rende conto che la simultaneità è irraggiungibile, quando si percepisce che il tempo impone la distinzione fra il prima e il dopo, in quell’istante la tartaruga ha messo la freccia e ha incominciato a superare, non in velocità ma nell’esistenza, Achille.

14/02/2006 – Panorama.it

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