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Quell'”Urka!” di Celentano ballando con la Ekberg

Adriano aveva diciotto anni quando un giorno il grande Fellini lo convocò a Roma per incontrarlo. Stava preparando La Dolce Vita, quando su L’Europeo vide due pagine con delle foto di un giovane cantante, sfrenato e dinoccolato, che si esibiva allo Smeraldo di Milano scatenando un putiferio tra la folla di giovani che era andata ad ascoltarlo, spaccando sedie, sfasciando automobili e bloccando il traffico. Il suo nome era Adriano Celentano. Fellini rimase così colpito da quello strano ragazzo sconosciuto che disse a qualcuno dei suoi direttori di produzione di cercarlo: lo voleva incontrare subito a Roma. Aveva deciso di scrivere per lui una scena de La Dolce Vita. Adriano prese la “valigetta” e partì per Roma. Quando incontrò Fellini rimase, per la prima e forse unica volta della sua vita, senza parole. Sapeva chi era Fellini e, proprio per questo, restò muto davanti a lui. Federico, con la sua dolce voce così particolare, lo mise subito a suo agio, spiegandogli e mimandogli la scena che avrebbe voluto che lui interpretasse nel film. Adriano ascoltava attento e quando Fellini gli disse che ci sarebbe stata anche Anita Ekberg, che avrebbe ballato e dialogato con lui, Adriano riuscì a dire solo una parola: «Urka!». La scena si girò a Caracalla. Adriano era su un palco allestito dallo scenografo del film, in mezzo ad una folla urlante di ragazzi, cantando Ready Teddy. Il complesso che lo accompagnava non era il suo ma quello scritturato dal film: I Campanino. Ad un certo punto Anita Ekberg, dopo l’esibizione canora di Adriano, gli va incontro e lo trascina con lei in un ballo. Adriano era evidentemente intimidito dalla bellissima Ekberg ma soprattutto dalla consapevolezza di essere parte di un film del grande Federico Fellini. Fellini volle quel ragazzo, “Celentano”, così diverso, uguale a nessun altro, forse perché intuì che lui era la rappresentazione di quanto la società stesse mutando. La sua Dolce Vita ci segnalò in quale società stessimo vivendo: ma la speranza di come dovesse cambiare rimase nei giovani.

CLAUDIA MORI

08/02/2010 – La Repubblica

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