di Maurizio De Caro
C’era un ragazzo, ormai vecchio, che come noi, anche lui nato per caso in via Gluck e come il grande compositore sarebbe diventato il simpatico musicista-mattacchione dell’Italia urlatrice del rockettino padano negli spensierati e rattoppati anni cinquanta. Swinging Adriano, il molleggiato-ragazzo ne ha fatta di strada, torna e non trova gli amici che aveva (perché li aveva fatti fuori tutti col Clan), solo case su case catrame e cemento. L’anti-architetto giaceva in Lui già all’oratorio, e peccato che non ci fosse “neppure un prete per chiacchierar”. Il povero ricco, er più, Lui, il mito cresce nelle simpatie iacp-ambientaliste. Grida sono il Re degli Ignoranti (come dargli torto?) vuole i prati del dopoguerra, la città d Rocco e i suoi fratelli e la musica del 1° festival del Rock al Palalido. Le sue esternazioni politiche come le sue canzoni sono romantiche e popolari, facili facili, spesso condivisibili, perché assolutamente risibili. Vuole giardinetti ovunque (straordinaria la Contro -via Gluck liberatoria di Gaber) perché teme l’albero di cento piani. E’ l’uomo in fuga dall’inquinamento, di cui si occupa solo lui. Tra un film di cassetta e una carezza e un pugno, l’energetico cantante, invecchia e si costruisce il suo nuovo partito che è la riedizione dell’Uomo Qualunque in salsa rock.
Parte la stagione delle omelie, lui prete mancato, politico dilettante, re degli opinionisti ignoranti, pontifica da tribune miliardarie prima e milionarie in euro poi, per contrastare nei lustri “i politici”, “i palazzinari”, quelli la che si riempiono labocca di paroloni o addirittura parlano un corretto italiano. Da sempre vive in una splendida tenuta tra Milano e Como, piena di Foreste e parchi, e ci sembra difficile che si ricordi della città dove è nato, se tanto la disprezza. La svolta avviene con le pause in tivvù, il suo “non aver nulla da dire” viene scambiato per profonda inquietudine dai radical-chic in crisi di astinenza da mitologie e lo spompato-sempre-meno-molleggiato, sbanca al botteghino. Cinquant’anni di successi non gli danno il lasciapassare per poter parlare, come fa sempre più spesso, di cose di cui oltre a non sapere nulla ,invoca soluzioni impossibili, non immaginarie alla Jarry. Attraverso una lettura falsa e insopportabilmente semplificata della realtà, come l’episodio di oggi, l’ennesima Lettera al Direttore che scatena l’iradiddio, l’anti-depressivo di un ricco-ragazzo-signore annoiato. Da Galbiate spara contro tutti con un carico a pallettoni, usa le stesse parole delle sue canzoni,ed è più facile colpire nel mucchio quando non si ha uno straccio di idea e vengono in mente certi designer celebrati per la loro assenza perfetta di talento. Verrebbe voglia di dirgli, vieni caro Adriano a parlare del tuo PGT(sigla di prisencolinencinaiciusol) ma non fare finta di essere Maria Goretti, spiegaci qual è la tua idea di città realizzabile, concreta, rock. Non verrà e non risponderà perché a furia di fare il simpaticone, è diventato uno zio noioso che ricorda i bei tempi del Santa Tecla, con Gino, Giorgio, Enzo e gli altri, e la sua cifra è rimasta quella. Caro Rugantino mio, non è facile rendersi credibili, ristrutturare la propria modalità di comunicazione che è ferma a chi non lavora non……e i ventiquattromilabaci.
Che ti ha fatto di male il cemento, caro Adriano, non hai visto dalla tua tenuta che c’è stato un secolo che è permeato da capolavori fatti proprio di cemento. Sei mai stato davanti alla stazione centrale? Sulla sinistra c’è un albero di centotrenta metri che è tutto di cemento lo hai mai visto? Nel 1955 dov’eri quando si parlava di fare quel muro di cemento, e nel sessanta quando l’hanno inaugurato, eri troppo impegnato a cantare nella “dolce vita”. Leggendo le parole del futuro leader politico, viene voglia di piangere perché la mediocrità del dibattito è insopportabile per un’era già insopportabile per mediocrità concettuale, e Adriano ha sempre ragione perché è famoso, come le starlette e i tronisti, e quindi dobbiamo perdere tempo dedicargli i nostri strali che comunque non lo colpiranno. Il suo, infatti, non è un linguaggio dialettico ma un comizio acritico che si rivolge ad una parte politica (un Travaglio canterino senza il quadernetto) che, mi auguro, abbia il buon senso di non abboccare all’amo del nazional-popolare per riscattare una stagione avara di soddisfazioni. “Cemento nel parco Sud” non ce ne sarà (sentite come suona bene sembra il sottotitolo di un film di Romero), e il povero swinging Celentano dovrà trovare altre occasioni per allestire il suo banchetto di ovvietà e banalità ambientaliste che piacciono tanto a mia nonna Maria Antonietta, perché le dice Lui, non perché abbiano qualsiasi barlume di senso, figuriamoci di buon senso.
Canta caro Adriano, canta che ti vogliamo bene quando fai la mossa, ma se per qualche decennio ci hai fatto credere che potesse esistere un Elvis lombardo, e nella nostra ingenuità provinciale continuiamo a crederci, non riusciamo ad immaginarti architetto e urbanista. Fai il tuo mestiere e se hai ancora cose da dire dille cantando: nelle canzonette le stupidate, coperte dalla musica, si notano meno.
06/07/2010 – Affaritaliani.it