di Riccardo Bocca
Nel caso del post di oggi, gioco forza, vanno fatte non una ma due premesse.
La prima è che Adriano Celentano, nella stagione postbellica imperniata sulla rinascita emotiva ed economica della nostra nazione, è stato un clamoroso esempio di genialità e voglia di fare.
Non vanno dimenticate, affatto, le sue battaglie insistite in difesa dell’ambiente, o anche la capacità rabdomantica con cui negli anni Settanta avrebbe pescato smorfie e parole apparentemente incongrue per imporre al successo una canzone cubista come “Prisencolinensinainciusol”.
E d’altronde, indimenticabile è la tenerezza un po’ analfabeta e un po’ intellettuale -quando a dargli sostanza e poesia interveniva gente come Paolo Conte- di certe sue canzoni estive, leggere nell’aria almeno quanto certi baci e carezze rielaborati nei ricordi.
Dopodiché arriva la seconda premessa, che riguarda la figura artistica di Adriano Celentano aggiornata al 2012.
Il ritratto di un cantante senza più eccessi d’estro né buoni maestri che, per non morire di noia in una villa brianzola, ha pensato di dedicarsi alla demagogia sermonale.
Roba che sa di inutile, almeno per milioni di teleitaliani in overdose di banalità e furbizie, i quali vorrebbero un passo indietro del guru Adriano sul fronte del suo pseudo impegno sociale, e magari un passo avanti verso nuove soluzioni canore (o cinematografiche, perché no).
Ma comunque:
aldilà delle impressioni personali, dell’evidente involuzione dell’ultimo Celentano, e della sottolineatura dei suoi gloriosi trascorsi, è giunto finalmente il momento di rivolgermi al direttore dell’intrattenimento Rai Giancarlo Leone, e di ragionare riguardo alle due serate live all’Arena di Verona che il clan Celentano gli ha proposto di trasmettere sui canali Rai, e che lui ha scelto di rifiutare.
Vede Leone, vorrei poterle qui scrivere che lei ha fatto non bene ma benissimo, a declinare l’offerta della simpatica Claudia Mori, quando quest’ultima le ha suggerito di ospitare il ritorno dal vivo di Celentano dopo 18 anni di nascondino.
E non ho dubbi che lei sia stato sincero, quando ha dichiarato che «di fronte a una situazione oggettivamente critica da un punto di vista economico-finanziario, e alla necessità di finanziare un programma non previsto in palinsesto né in piano di produzione, il cui costo anche soltanto produttivo sarebbe stato molto rilevante, è stata comunicata alla signora Claudia Mori l’impossibilità di accogliere la sua proposta, e dunque di iniziare l’eventuale negoziazione».
Tutto giusto, non c’è che dire, nella logica di un’emittente pubblica che si è ridotta ai piedi di Cristo -quello vero, non colui che ha straparlato quest’anno a Sanremo-, e dunque in cassa conta i flop al posto dei tradizionali soldi.
Però, direttore Leone, per raccogliere veri applausi, la motivazione del suo gran rifiuto avrebbe dovuto essere diversa: non dettata da emergenze contabili, ma da una diversa interpretazione della realtà Rai.giancarlo-leone
È infatti scoraggiante che, anche per un solo secondo, i vertici di viale Mazzini abbiano ipotizzato di investire vagoni di euro per celebrare un artista esaurito -solo perché il suo nome a scatola chiusa garantisce ascolti-, rinunciando poi per le tasche desolatamente vuote.
Piuttosto, il responsabile dell’intrattenimento Rai avrebbe dovuto mettere in chiaro che la tv di Stato, già affollata e anzi affogata di vetero show, preferisce spendere i propri (pochi) soldi per intercettare al meglio il presente- e perché no: il futuro-, lasciando ad altri il ruolo di sentinella del passato.
Parole, è logico, che Leone non ha pronunciato. E che forse neppure pensa. Ma quanto sarebbe bello, se corresse in questa direzione?
22/06/2012 – Gli antennati di Riccardo Bocca – L’Espresso BLOG