Era il 6 maggio 1999 quando usciva un album destinato a scrivere la storia della musica leggera italiana: Adriano Celentano lanciava infatti Io non so parlar d’amore, il primo lavoro in collaborazione con Mogol e Gianni Bella, che da quell’album iniziarono a scrivere per il Molleggiato tantissime canzoni divenute poi dei successi clamorosi.
Io non so parlar d’amore segnó il grande ritorno di Adriano sulla scena, dopo alcuni anni di silenzio e produzioni poco comprese dalla critica. Finito il successo del suo discusso Fantastico iniziò infatti un decennio di difficoltà per Celentano a farsi amare all’unanimità dalla stampa: Il re degli ignoranti fu un album troppo lontano dal suo genio creativo, nemmeno le sue partecipazioni agli spot di Trenitalia venivano digerite dagli addetti ai lavori, Arrivano gli uomini, uno dei suoi lavori più pregevoli fu considerato parte di un progetto che ormai lo disegnava solo e unicamente come santone dello spettacolo. Alcuni progetti saltarono (un programma televisivo con Ambra, la sua possibilità di intervenire a sorpresa nelle trasmissioni interrompendo quello che era in onda), e sembrava che la stampa non aspettasse altro. Poi arrivò l’album MinaCelentano, nel 1998, e allora rinacque l’amore dell’Italia verso un artista che aveva dato moltissimo alla musica italiana. Ma ad Adriano non bastava: voleva dare ancora di più, e non solo in chiave musicale, ecco che la collaborazione con Mogol e Bella fu la grande occasione.
Il primo singolo lanciato fu Gelosia, che è anche la prima traccia dell’album. Ritmo incalzante, parole azzeccate per descrivere una voglia di riscatto e l’importanza della complicità, arrangiamenti di autentica internazionalità, ritornello orecchiabile, e naturalmente la sua voce: c’era tutto perché quel brano potesse diventare un tormentone estivo, e nell’anno di Supercafone, Me cago nell’amor, Rewind, Mi piaci, Il mio corpo che cambia, Per te, Troppo bella, si fece spazio anche questa Gelosia, nata per soddisfare un certo pubblico e in grado poi di fare cantare diverse generazioni. Ma il meglio doveva ancora venire.
Chiunque avesse già ascoltato quel cd, infatti, (erano gli anni in cui, ahimè, il vinile era del tutto scomparso, e ancora non era diffusa la musica liquida degli mp3), si era accorto che subito dopo la prima traccia, ne partiva una di una poesia unica, che tutti avrebbero dovuto ascoltare. La storia narra che Adriano si fosse mostrato scettico e critico su tutti i brani propostigli da Mogol e Bella, ma quando gli fecero ascoltare questo, si mise in mezzo Claudia Mori: “Se non lo accetti sei un pazzo!”. Si trattava di L’emozione non ha voce, quella il cui verso iniziale dava il titolo all’album: la potenza di questo brano era evidente già ad Adriano, in un mondo dove non c’è nulla di sicuro e scontato, questo sarebbe stato un successo clamoroso. Ormai si erano già sprecati tutti, giá da diversi anni, a proclamare quella che doveva essere la canzone del secolo, e così L’emozione non ha voce non fece più in tempo a ottenere alcun riconoscimento di questo tipo -che andó invece ad almeno una decina di brani secondo altrettante diverse iniziative analoghe- ma probabilmente la cosa migliore fu fatta proprio in quegli ultimi mesi del ‘900 (con buona pace anche della leggendaria Questo piccolo grande amore, premiata come canzone del secolo addirittura a Sanremo nel 1985!). Fu così che Adriano poté rilanciarmi definitivamente da metà agosto, per spopolare un paio di mesi più tardi con il suo storico show su Raiuno, Francamente me ne infischio. Un programma fatto con la solita immancabile nota provocatoria di Celentano che alle 21.30 (bei tempi quelli in cui alle nove e mezza i programmi di prima serata avevano già fatto quaranta minuti di trasmissione!) mandava in onda filmati shock di esecuzioni di pene di morte, maltrattamenti, brutture della vita: naturalmente solo così poteva fare discutere, perché in fondo quell’unanime critica positiva verso il suo album un po’ lo metteva a disagio. L’arte deve fare discutere, Celentano è l’artista a 360 gradi più grande che abbiamo in Italia, e lui lo sa bene. Provocazioni, rigorosamente con acqua San Pellegrino sempre in mano, quindi, insieme a tanta bellissima musica con ospiti incredibili (David Bowie, Manu Chao, Jovanotti, Morandi, Pelù, Ligabue solo per citarne alcuni) che cantavano con Adriano brani del passato e di quell’album uscito il 6 maggio 1999, ampiamente promosso in prima serata su Raiuno per quattro settimane, con tanto di cartello dichiarativo Sto cantando in playback. Se la musica fosse la cornice a uno show di grandi contenuti morali o i monologhi fossero solo il pretesto per pubblicizzare l’album non è mai stato un segreto svelato, né troppo interessante in fondo nemmeno per il pubblico che si godé un grandissimo spettacolo.
La bellezza venerea di Francesca Neri e la comicità surreale di Olcese e Margiotta, unita a quella dell’ospite quasi fisso Teo Teocoli, icona di quegli anni che lo vedevano in stato di grazia televisiva, diedero vita cosí a uno dei prodotti televisivi più riusciti e vanamente imitati da altri cantanti ma anche dallo stesso Celentano coi programmi successivi.
Fu così che oltre alla canzone, decisamente audace e romantica nello stesso tempo, che dava il titolo all’album, l’Italia scoprí poesie come L’arcobaleno, frutto di una visione che Mogol ebbe di Battisti in sogno, che sarebbe diventata per la cultura popolare un brano dedicato alla memoria di Lucio: non era esattamente così, forse Battisti in qualche modo suggerì proprio le parole all’amico, non sapremo mai come andarono davvero le cose, ma quei versi che parlano a un amico scomparso troppo presto toccano l’anima e strozzano la gola a ogni ascolto. Senza amore, scritta da Mazzoni, stesso autore di Così come sei di qualche anno dopo, fu l’altro singolo di incredibile successo. Il resto sono chicche, conosciute solo da chi acquistó l’album: ovvero solo da più di due milioni di persone! Per undici settimane consecutive Io non so parlar d’amore fu al primo posto in Hit Parade, dove rimase per un anno e mezzo nella Top 50. In pochi quindi non conoscono canzoni come Una rosa pericolosa, Qual è la direzione, L’uomo di cartone, Le pesche d’inverno, Sarai uno straccio, Il sospetto, Angel (la più delicata, forse meno immediata ma di una poesia inestimabile) e Mi domando (già cantata nove anni prima da Marcella Bella).
Adriano Celentano, a 61 anni, tornava a essere il grande protagonista della scena musicale e televisiva, con un album tutto da ascoltare, a cui è mancata solo l’edizione in vinile per essere completo. Era passato solo un anno da Acqua e sale: ormai imperversava nelle classifiche, e solo allora furono riscoperti quei lavori poco capiti nel decennio precedente. Sarebbero passati poi solo altri due anni prima di rivederlo in tv, con Centoventicinque milioni di cazzate. Si può discutere Adriano, è lui stesso a volerlo: ma la bellezza di quel disco che oggi compie 20 anni fa venire ancora più nostalgia per una musica che oggi sembra difficilissima da replicare. È passato tanto tempo, l’Italia si è persa in tanti monologhi, governi, eppure è sempre più corrotta: un album d’amore (Adriano sa benissimo di sapere parlare d’amore con la sua voce) è forse l’unico modo per tornare a respirare quell’aria di speranza e ottimismo che altrimenti sembra persa.
Massimiliano Beneggi
06/05/2019 – Teatro e Musica News (www.teatroemusicanews.com)