Negli anni Cinquanta l’erba, poi cemento e capannoni. E ora una nuova mutazione con la metropoli multietnica. Da qui sono andati via il barbiere, la sarta, la merciaia
di CARLO BRAMBILLA
«Là dove c’era l’erba ora c’è una città… E quella casa in mezzo al verde, ormai, dove sarà…». Pier Paolo Pasolini è stato a un passo da trasformare in film la storia autobiografica di quel ragazzo, «anche lui nato per caso in via Gluck», portata al Festival di Sanremo nel ‘66 da Adriano Celentano. Il grande scrittore-poeta-regista era rimasto affascinato dalla semplicità folgorante di quella straordinaria ballata antimoderna. Una denuncia ambientalista delle disastrose speculazioni edilizie degli anni ‘60, fatta due anni prima che scoppiasse il ‘68. Una canzonetta “pasolinana”, sull’industrializzazione che snatura il tessuto antropologico delle metropoli e distrugge le relazioni umane. Il regista e il cantante s’incontrarono più di una volta per lavorare al progetto. Venne stesa perfino la sceneggiatura, poi non se ne fece nulla.
Oggi via Gluck è una strada stretta e lunga, dimenticata, abitata in massima parte da extracomunitari arabi e cinesi (ci sono ben tre centri massaggi). Una strada a senso unico da cui non capita mai di passare, a meno che non si voglia proprio andare lì. Una via tranquilla che dal trafficatissimo viale Lunigiana piega verso Greco e la Martesana, a due passi dal muraglione della Stazione Centrale, dalla parte di via Sammartini. La casa dove è nato Celentano il 6 gennaio del 1938, ultimo di cinque figli di Leontino e Giuditta, immigrati pugliesi, è ancora lì, quasi identica a com’era allora, al numero 14. Una palazzina degradata, color grigio e nocciola, su tre piani, molto povera, in stato di semiabbandono. I Celentano abitavano in cortile, a piano terra, di fronte all’uscio del bagno comune, che c’è ancora. Qua e là qualche giocattolo lasciato in terra e un paio di vecchie biciclette contro al muro. Gli stranieri che ci abitano nulla sanno del ragazzo della via Gluck, di Celentano e di una celebre canzonetta entrata nella storia del costume di Milano.
Racconta Hans Bickler, 79 anni, di origine tedesca, che da 50 abita all’angolo con via Gluck e ha qui un ufficio di importexport: «Ricordo perfettamente i prati e l’aperta campagna di quando sono arrivato qui dalla Germania. Ricordo le pecore che pascolavano qui vicino, in via Zuccoli e via Lesa, verso il quartiere di Greco, allora nettamente separato da Milano. Ricordo gli zampognari d’Abruzzo che si radunavano a Natale sotto casa mia. Il quartiere ha cambiato completamente la sua fisionomia proprio nel corso degli anni Sessanta, fino alla completa fusione edilizia tra Greco e Milano».
Oggi là dove c’era la città industriale è avvenuta una nuova mutazione, è arrivata la metropoli multietnica. Non c’è più il falegname, se ne sono andati il barbiere, la sarta, la merciaia. Resistono però ben tre ristoranti di pesce, una tradizione legata al fatto che fino a pochi anni a via Sammartini c’era il mercato ittico milanese. Trattoria storica, che ha sede qui da più di 50 anni, quando si chiamava «Terzilio», è quella che oggi ha preso il nome di «Antica Osteria di via Gluck», proprio a fianco della casa natale di Celentano. «Qui vengono ancora a mangiare, ogni tanto, quelli del Clan — assicura il responsabile del locale, Guglielmo Papetti — Dal giardino, dove si può cenare all’aperto, si vede perfettamente casa Celentano. E siamo spesso meta di fans che vogliono mangiare chiedendo di ascoltare, naturalmente, Il ragazzo della via Gluck. Chi fosse poi questo Gluck nessuno lo sa. Sulla targa della via si legge Cristoforo Gluck, musicista. E molti sono convinti abbia ha scritto le musiche per Celentano». Cristoph Gluck (1714-1787) è in realtà il noto compositore tedesco, operista e grande rappresentante del classicismo.
Quando Celentano presenta per la prima volta a Sanremo Il ragazzo della via Gluck, in coppia con il Trio del Clan (Gino Santercole, Ico Cerutti e Pilade), si classifica agli ultimi posti. Avrà però un clamoroso successo di vendite, grazie anche alle parole di Miki Del Prete e Luciano Beretta, che raccontano particolari della sua vera storia: nato in via Gluck, a 13 anni, nel 1951, trasloca con la famiglia in via Cesare Correnti. È lui che «un giorno disse vado in città. E lo diceva mentre piangeva». «Mio caro amico, disse, qui sono nato, e in questa strada lascio il mio cuore. Ma come fai a non capire, è una fortuna per voi che restate, a piedi nudi a giocare nei prati, mentre là in centro respiro il cemento».
Il ragazzo Celentano si trasferisce nel cuore della città, ma non ne vuole sapere di tagliare i ponti con via Gluck. Ogni giorno attraversa Milano per andare a salutare i suoi vecchi amici. Anni dopo, però, la famiglia torna per fortuna a vivere in quartiere, in via Zuretti 47, una strada che corre parallela alla via Gluck. È il passaggio biografico annunciato nella canzone: «Ma verrà un giorno che ritornerò, ancora qui, e sentirò l’amico treno che fischia così, «wa wa»». In effetti il rumore dei treni della stazione Centrale, a due passi, si sente decisamente ancora. Fino al disastro antropologico che Pasolini avrebbe voluto portare sullo schermo: «Passano gli anni, ma otto son lunghi, però quel ragazzo ne ha fatta di strada, ma non si scorda la sua prima casa, ora coi soldi lui può comperarla». Ma i soldi, naturalmente, non sono tutto, denuncia il predicatore Celentano. E infatti: «Torna e non trova gli amici che aveva, solo case su case, catrame e cemento…» Conclusione: «Se andiamo avanti così, chissà come si farà. Chissà…».
04/09/2011 – La Repubblica