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Adriano Celentano in trenta dichiarazioni… altrui

collage fotografico con Dario Fo, Domenico Modugno, Leonardo Pieraccioni, Mina, Ennio Morricone e Giorgio Gaber

Incidemmo per il mio primo film la canzone “I’m the king of rock”, con lui in fondo alle scale per fare l’effetto di sound americano con la voce dilatata e riverberata, dato che non avevevamo alcun tipo di apparecchiature. Era di notte, in uno stabilimento, e Adriano in fondo alle scale, cantava, urlando talmente forte che, non essendo in sala di registrazione, la voce si spargeva per il quartiere. Qualche lampadina si accese nei palazzi vicini per le urla.
(Ermanno Olmi, 2001)

Ricordo ancora la prima volta che lo vidi, al Festival di Sanremo del ’60. Eravamo insieme ad amici comuni quando Adriano si avvicinò e mi disse: “Ehi, tu! Io ti ammiro moltissimo, soprattutto perché hai composto quel “Volare”. Ma vedrai di che cosa sarò capace io!”, e capii subito che quella specie di sosia di Jerry Lewis non era il solito sbruffoncello. Infatti, l’anno seguente, si presentò al Festival con Ventiquattromila Baci, ottenendo uno strepitoso secondo posto. Bisogna riconoscere che sa modificare continuamente il proprio personaggio con l’avanzare del tempo; ecco perché non passa mai di moda, contrariamente a ciò che accade ad altri cantanti tipo Dallara, Pavone, Cinquetti.
(Domenico Modugno, 1970)

Celentano, da subito, non è uno dei tanti rocker servili, puri rifacitori. E’ un padrone, nel senso letterale, che si è impadronito a tal punto di uno stile, di una sincope, di un saltello, da rifarlo, da reinventarlo. Da cambiarlo. Se prendete Bobby Solo o Little Tony, entrambi ottimi imitatori, pero’ didascalici, dei modi rock’n’roll, e poi vedete e sentite Celentano, capite subito la differenza. Celentano non subisce, non ripete. Aggrava, esagera, distorce. Trasforma il rock in una specie di fragorosa malattia…
(Michele Serra, 1999)

Affascinante: un’esplosione erotica.
(Goffredo Parise nel 1962, commentando un concerto di Adriano a Porto Santo Stefano)

Celentano: cavallo bizzarro, genialoide di talento. Imitava Presley, ma non provava: mai. Così lo sostituivo al microfono: e ho imparato a cantare.
(Giorgio Gaber, 1992)

Qual è la migliore canzone della storia di Sanremo? Quella di Celentano: “Il ragazzo della via Gluck”. Bellissima. E infatti fu eliminata.
(Ennio Morricone, 1999)

“Il ragazzo della via Gluck” è stato per la generazione dei quarantenni quello che “Casablanca” è stato per i sessantenni di oggi.
(Eugenio Scalfari, 1987)

Assieme a Gianfranco Reverberi, avevamo tutti e tre iniziato un movimento per il folk italiano. Ho già avuto occasione di parlarne. Si trattava di restituire una dignità ed un senso alla nostra canzone, inserendo un filone nazionalpopolare su esperienze formali oggi internazionalmente accettate. Luigi era orgoglioso di questo progetto e la RCA (la casa discografica) lo aveva appoggiato in pieno. Si erano anche fatte tre conferenze stampa a Milano, a Torino ed a Roma, nel corso delle quali lui, con l’abituale sincerità ed il suo splendido disinteresse, non aveva esitato ad indicare i nomi di altri cantanti e di altre canzoni, come ad esempio, il Modugno del “Pesce spada” e il Celentano del “Ragazzo della via Gluck”. Sulle prime i dirigenti della sua casa discografica erano rimasti perplessi. Ma come, avevano giustamente considerato, noi sosteniamo le spese per fare conoscere te e le tue idee e tu poi, te ne vai in giro a parlare ed a fare gli elogi degli altri?!
(Piero Vivarelli, 1967)

Sembra persino impossibile che un uomo come Celentano, tanto timido, abbia potuto affrontare con tanto coraggio un mondo che poco offre a chi non ha il carattere duro, o il famoso “pelo sullo stomaco”.
(Claudio Lippi, 1972)

Lui è veramente un candido, anzi, pensando a Celentano, Voltaire avrebbe potuto scrivere un nuovo romanzo, “L’Ipercandido”.
(Dario Fo, 1987)

Ha le mani bucate e i suoi cosiddetti amici ne hanno approfittato deludendolo ogni volta. La verità è che Adriano è rimasto sempre un gran ragazzone.
(Padre Ugolino Vagnuzzi, 1984)

Adriano non è minimamente interessato al denaro.
(Sergio Bernardini, storico patron della Bussola, 1987)

Lui fa l’artista, non bada ai soldi.
(Ricky Gianco, 1994)

Celentano era proprio quello che si considerava un posseduto! Credeva di essere Gesù Cristo, o un amico suo, o almeno parte della sua cerchia di amici. È meraviglioso, così originale, praticamente unico.
(Charlotte Rampling, 2006)

E’ meglio di James Bond: più imprevedibile.
(Barbara Bach, futura moglie di Ringo Starr, che dopo aver recitato come bond girl nel film “La spia che mi amava”, reciterà con Adriano in “Ecco noi per esempio”, nel 1977)

Adriano ha un innegabile talento d’artista, e non solo in fatto di musica. Un talento che si manifesta con un sottile fascino che ci arriva ogni volta che Adriano appare in un film, un concerto, in un programma televisivo. Un talento fatto di sensibilità, di “voglia di sbalordire la gente”, di cambiare o comunque di andare controcorrente… Eppoi il suo talento s’avverte in quella strana voce che non è paragonabile a nessun’altra, né straniera (come fanno tanti) né tantomeno italiana: una voce che qualche volta si permette pure d’essere imprecisa, sgranata ma che è pur sempre personalissima e comunicativa come poche.
(Renzo Arbore, 1979)

Io, quando scrivo le canzoni, che siano per me o per gli altri non importa, penso sempre a Celentano, perché è l’unico cantante che, quando canta, continua a parlare l’italiano, e non quella assurda, stereotipa, mielosa lingua che serve per fare rima tra cuor e amor. Ma non è solo per come canta, che mi piace lavorare con lui, ma per quello che racconta mentre perdiamo tempo pensando alla canzone da scrivere.
(Paolo Conte, 1981)

Mi sono trovata di fronte un interlocutore assolutamente straordinario, mi ha incantato anche se sono l’opposto totale di lui. L’attrazione che suscita è irresistibile: è vero che è “primitivo”, ma di grandissima intelligenza. La cosa che mi ha colpito è che la sua intelligenza non è razionale ma “espressiva”: ha un istinto rabdomantico per capire i luoghi fondamentali dell’uomo. Dio, l’amore, un mondo onesto e libero… La ragione della sua popolarità è nella sua fondamentale innocenza. Questo ovviamente non vuol dire che non sia un uomo d’affari, ma la sua anima ha conservato un’integrità. E’ riuscito a cristallizare dentro di sè quell’attitudine così azzurra che è l’infanzia.
(Ludovica Ripa di Meana, 1982)

Quella, per me, è una data da ricordare. “I miei americani” era uscito a metà novembre con una prenotazione di sessantamila copie; dopo la trasmissione, in dieci giorni, ne aveva già vendute altre duecentomila. Ma quella performance per me rimarrà nella storia della televisione. E Adriano Celentano è un essere straordinario, fuori quota. Quello è un genio. Non solo perché ha una voce meravigliosa e assolutamente sua, e perché canta benissimo, ma perché nella sua voce c’è lui tutto intero nella sua immagine.
(Caterina Caselli, 1984)

I suoi show hanno scardinato lo spettacolo televisivo da quando nel 1987 il “molleggiato” demolì Fantastico 8, spettacolo di prima serata, con le sue incursioni surreali e i lunghi silenzi. Adriano ha teorizzato in tanti suoi programmi un set-teatro dalla profondità multi-prospettica, dove la telecamera assume diversi punti di vista, la luce non appiattisce la scena ma crea ombre e misteriosi angoli bui. Quel che chiameranno “istinto”, è invece il frutto di una grandissima cultura del movimento, dell’immagine, del montaggio e dei tempi di recitazione che Adriano ha appreso facendo cinema. Non solo come attore, ma come regista. Il suo “Yuppi Du” è considerato un capolavoro ed è stato presentato alla Mostra di Venezia. Ma allora, nel 1987, la critica televisiva si accanì tutta contro il “re degli ignoranti”, e un solo giornale lo difese. Da quell’articolo uscito sul Manifesto è cominciata la nostra amicizia e il mio interesse per le sue opere musicali e televisive, le battaglie pacifiste ed ecologiste, l’humour inconfondibile, l’assoluto anticonformismo, e per la sua voce dal tocco straniato.
(Mariuccia Ciotta, 2015)

Non è che vada pazzo per Celentano perché è contro la caccia, o per la pace, o, come spero, contro il taglio dei grandi alberi di Natale: anche perché quello da un momento all’altro ti piazza una pastorale sull’aborto, e l’idillio finisce. Semplicemente sto più attento al medium che al messaggio, e agli effetti più che alle intenzioni. E’ un fatto che almeno in un’occasione l’acume di Celentano ha sfiorato la genialità: quando ha violato il sancta sanctorum del culto televisivo, il feticcio del minutaggio e l’imperativo dell’inesistenza di network concorrenti.
(Adriano Sofri, 1987)

Noi mostravamo molta attenzione verso l’esperimento di Celentano di cui apprezzavamo e condividevamo la rottura delle strutture convenzionali del discorso e quel tanto di aria di libertà e fantasia che, infranti gli argini che tenevano distinti i generi, furiosamente prendeva a circolare. In questa esperienza, anche per noi esaltante, trovavamo la conferma del nostro convincimento che occorreva andare al di là del senso comune che ancorava la televisione ai cosiddetti contenuti, trascurando il ruolo dei linguaggi… Grande era la spregiudicatezza e la ricchezza di accenti con cui Celentano scandiva la sua comunicazione con il pubblico. Celentano ci ha aiutato a capire quel che noi stessi maturavamo dentro e a cui stavamo per dare applicazione nell’organizzare la nostra offerta di rete? Forse.
(Angelo Guglielmi e Stefano Balassone, 2011)

Adriano è sempre stato un uomo libero e coraggioso. L’ho reincontrato un anno fa e sono rimasta di nuovo sorpresa: non era cambiato di una virgola.
(Elke Sommer nel 1997, l’attrice tedesca che divenne nota per il film “Uno sparo nel buio” della serie della Pantera rosa, che girò con Adriano “I ragazzi del jukebox” nel ’59 e “Urlatori alla sbarra” nel ’60)

Celentano, insieme a Sordi, Billy Crystal e Mario Monicelli, è un mio mito. L’ho conosciuto di persona, e abbiamo parlato molto di “Yuppi Du”, che è il mio film culto, ma questo ha solo accresciuto l’immagine mitica che ne avevo. E’ un’entità astratta, un’idea, un colore. E’ come la Schiffer per la bellezza, appartiene alla stirpe di quelli che non fanno fatica, perché sono nati con questo colore, questa grazia e questo potere addosso. E poi mi piace molto la sua mentalità. Mi sembra un altro che nella vita faccia di tutto per non prendersi sul serio.
(Leonardo Pieraccioni, 1997)

Avrà fatto almeno 40 canzoni memorabili, nessun altro ha un repertorio di capolavori come il suo. A partire da “Azzurro”, la cosa più bella nella storia della canzone italiana. Neanche Paolo Conte la canta così bene. Pensare che quando la registrò, Adriano aveva il raffreddore. Il naso chiuso produsse una particolare voce, che fu la sua fortuna.
(Vincenzo Cerami, 2007)

Da ragazzo avevo tre miti: Celentano, con cui poi ho fatto una trasmissione tv, “Svalutation”. De Andrè: ho imparato a suonare la chitarra sulle sue prime canzoni. E Battisti.
(Claudio Baglioni, 2012)

Con Adriano farei un duetto con canzoni sulla vita delle formiche albine del Borneo e anche sul vomito di cammello.
(Mina, 2013)

Roberto Benigni e Celentano hanno regalato giovedì scorso quarantacinque minuti di televisione che sono già culto, hanno spazzato via tutte le possibilità della destra di poter distinguere sul diritto di satira e sul diritto di informazione. Quei quarantacinque minuti ci hanno ricordato che la battaglia sulla qualità della televisione non è persa e che un’altra televisione è possibile.
(Gianni Minà, 2005)

Per la festa dei loro 50 anni di matrimonio, ho regalato a Adriano Celentano e Claudia Mori un collage fatto sulla copertina del 33 giri “I mali del secolo” del ’72, che conservo in uno scatolone con altri LP. Non so se sia il 33 giri più bello di Celentano, ma contiene la straordinaria canzone “Un albero di 30 piani”, che mi ha accompagnato per tutta la vita. Con Adriano ho avuto momenti di scontro ed altri bellissimi, di collaborazione. Ma nulla come quella canzone, da quando ho cominciato a immaginare il Bosco Verticale nel centro di Milano, mi lega alla sua arte. Nel collage, a fianco dei due sposi uno dei grattacieli della copertina si trasforma in un Bosco Verticale… di 30 piani».
(Stefano Boeri, 2014)

Basta chiamarlo ancora oggi il Molleggiato, Adriano è tutto tranne che un molleggiato. Adriano è una persona molto intelligente, chiamarlo Molleggiato è solo ripetere alla nausea certi cliché. Non è mica un burattino che si muove e suona in un certo modo, è una persona piena di spirito, con cui è bello e piacevole starci insieme. Una persona molto spiritosa. Lo posso dire visto che ci sono cresciuto insieme e sono stati anni davvero molto belli.
(Enzo Jannacci, 2012)

Fonti

Antonio

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