Gli 80 anni di Adriano: le tappe salienti della carriera di un mito
Le mode vanno e vengono. Celentano, nel bene e nel male, resta.
Gianfranco Baldazzi
La carriera di Adriano Celentano ripercorsa attraverso frammenti di articoli di giornale, dichiarazioni di colleghi e dello stesso Adriano.
La presenza del rock’n’roll comincia a farsi sentire dal 1957, anno in cui l’opinione pubblica si accorge del nuovo fenomeno (…) e la RCA distribuisce i primi successi di Elvis Presley. Tutto è pronto per il debutto ufficiale che di lì a pochi mesi infiammerà l’Italia: il primo Festival del rock’n’roll al Palazzo del ghiaccio di via Piranesi, ovviamente a Milano. Gli organizzatori dell’evento sono il ballerino Umberto Gallone e il ballerino-coreografo Bruno Dossena, detto “Bruno Bughi”, della Federazione Internazionale danze jazz, che sono soliti esibirsi in squadra nelle sale da ballo di Milano e nelle balere del Nord Italia. Bruno Dossena è stato da poco proclamato campione del mondo di rock’n’roll al Campionato internazionale di ballo di Lione. Finalmente si ha l’occasione di contarsi, di constatare veramente quanti siano gli affezionati del nuovo genere e di far conoscere gli artisti di casa nostra che suonano il rock’n’roll. L’appuntamento è fissato per sabato 18 maggio 1957 alle ore 21:30. Il prezzo dei biglietti è popolare, va dalle 300 alle 1.000 lire. Il richiamo è raccolto un po’ in tutta Italia, ma la maggior parte del pubblico arriva da Milano e provincia. Il programma della serata prevede l’esibizione di tre orchestre: la Original Lambro Jazz Band, Celentano & His Rock Boys e la Swing Parade.
(Tiziano Tarli)
Nel momento in cui l’agognato spettacolo avrebbe dovuto avere inizio, la situazione era questa: duemila persone bloccate all’interno in inutile attesa e cinquemila giovani all’esterno sempre più indisciplinati. Il cancello pronto a cadere per la pressione della folla, puntellato all’interno. Sei camionette della polizia con sirene urlanti, disposte a due per volta per tagliare la folla. Un centinaio di poliziotti che tentavano invano di organizzare un ingresso ordinato. I furbi e gli ingenui, scovato un ingresso secondario, ricevettero – prima delle ventidue – una randellata in testa dai solerti custodi: dopo, soltanto una multa. Più di una volta la situazione sembrò decisamente pericolosa (…). All’interno la situazione era ancora peggiore, perché nella confusione erano rimasti fuori i membri della giuria, gli strumenti della Lambro Jazz Band e la squadra francese di ballo (…). La sala del Palazzo del ghiaccio, sotto le luci al neon annebbiate dal polverone sollevato dagli irrequieti piedi giovanili, si presentava come una palestra di boxe al decimo round (…). Non essendo reperibile la giuria, essendo andate disperse le coppe e i trofei e parte dei dilettanti in gara, i giovani si accontentarono volenterosamente di un’ora e mezzo di spettacolo […]. Quando Adriano Celentano & His Rock Boys ebbero il sopravvento sul presentatore e sull’urlo della folla, fu chiaro che neppure l’intervento della celere e dei carabinieri presenti avrebbe permesso ad altri di suonare (…).
(Natalia Aspesi)
L’impressione che gli eventi del festival creano nell’opinione pubblica è tanto grande da far alzare un coro di condanna unanime per il rock’n’roll. La Chiesa, dal «Corriere della Sera», lancia pesanti attacchi per mezzo dell’Arcivescovo Montini, che si dichiara indignato per l’incivile manifestazione, e anche la Federazione italiana del jazz prende le distanze da quanto accaduto, precisando di non aver nulla a che fare con la Federazione danze jazz organizzatrice dell’evento. Nei mesi successivi sarà praticamente impossibile organizzare spettacoli rock’n’roll in Italia, poiché i proprietari dei locali temono i disastri del pubblico.
(Tiziano Tarli)
Cosa sia la gioventù bruciata non l’ho ancora capito (…). Secondo me non sono i blue jeans o i juke box che spiegano i Teddy Boys. Se ci sono dei teppisti fra i ragazzi sotto i vent’anni, probabilmente portano i blue jeans e gli piace la musica dei juke box, solo perché questo piace a tutti i giovani. Ma perché bisogna confondere le due cose? I mascalzoni ci sono sempre stati e se adesso ce n’è di più fa benissimo la polizia a rastrellarli (…). Ma sempre teppisti sono, mica giovani. Non dovrebbero chiamarli Teddy Boys perché questo confonde le idee alla gente.
(Adriano Celentano)
Adriano aveva diciotto anni quando un giorno il grande Fellini lo convocò a Roma per incontrarlo. Stava preparando La Dolce Vita, quando su L’Europeo vide due pagine con delle foto di un giovane cantante, sfrenato e dinoccolato, che si esibiva allo Smeraldo di Milano scatenando un putiferio tra la folla di giovani che era andata ad ascoltarlo, spaccando sedie, sfasciando automobili e bloccando il traffico. Il suo nome era Adriano Celentano. Fellini rimase così colpito da quello strano ragazzo sconosciuto che disse a qualcuno dei suoi direttori di produzione di cercarlo: lo voleva incontrare subito a Roma. Aveva deciso di scrivere per lui una scena de La Dolce Vita.
(Claudia Mori)
Urlatori alla abarra, film diretto da Lucio Fulci e scritto da Piero Vivarelli. Mina e Adriano Celentano, capibanda degli “urlatori” del titolo, rubano la scena a chiunque altro. Celentano ha solo ventidue anni ma è già un’icona pop: è comparso in “La dolce vita”, film che ritorna come imprescindibile pietra di paragone. Alle Terme di Caracalla, Adriano – doppiato nelle pochissime battute di dialogo – intona un rock’n’roll maccheronico, con il testo improvvisato lì per lì, e fa ballare una scalza e scatenatisima Anita Ekberg. Nel 1959 ha già interpretato “I ragazzi del Juke-box”, sempre diretto da Fulci. Ma “Urlatori alla sbarra” è un’altra cosa, perché è il primo film in cui il nascente rock’n’roll italiano diventa strumento di emancipazione giovanile e di vera e propria teoria politica (…). Fulci e Vivarelli (…) sono entrambi del 1927, poco più adulti dei loro interpreti; con Celentano hanno scritto, sempre nel ’59, “Il tuo bacio è come un rock”, trasformando una canzonetta melodica (inizialmente si intitolava “Vieni a Capri mon amour”) in un autentico rock’n’roll.
(Alberto Crespi)
[Nel 1961] Celentano partecipa al Festival di Sanremo con “24000 baci”. Siamo in pieno boom economico e nella fase di massima espansione dei consumi e l’intero sistema sociale italiano (del quale Sanremo è un frammento minuto ma non insignificante) risente delle grandi novità che attraversano gli orientamenti collettivi (e di gusto). La partecipazione di Celentano a Sanremo ne è una traccia. Intanto, per quel rock’n’roll all’italiana che ottiene un grande successo; e poi (o forse prima) per quell’atto stilistico che offre a un trasecolato pubblico televisivo. Celentano è inquadrato di spalle e la sua voce irrompe alta e quasi armoniosa con un: “Amami / ti voglio bene”. Poi, appunto con le spalle compie un gesto rapido e ritmato, sollevando l’una e abbassando l’altra. Quindi, velocissimo di balzo e, finalmente inquadrato di fronte, esplode in “Con 24mila baci / oggi saprai perché l’amore /vuole ogni istante mille baci / mille carezze vuole all’ora”. L’interpretazione di Celentano non passa inosservata. L’Unità, con Arturo Gismondi, parla di “spregiudicata vitalità” e l’inviato del Corriere della Sera, Enzo Grazzini, offre una valutazione tutt’altro che superficiale: “24000 baci è un rock composto in tono minore e proprio per questo si distingue dagli altri, che sono di solito in tono maggiore. Il tono minore dà al pezzo qualcosa di romantico e ammorbidisce la violenza dello stile”.
(Luigi Manconi)
Canzone bomba per come Celentano la interpreta: con strafottenza, con rabbiosi e isterici contorcimenti e soprattutto, per la prima volta, mostrando la schiena in pubblico. I rabbiosi e isterici contorcimenti erano anche nel suo caso un modo per dissimulare il più possibile un incontenibile furore sessuale che i coetanei di Celentano avevano fino a quel momento dovuto reprimere.
(Gianni Borgna)
Siamo in un periodo assai fecondo: l’anno successivo Celentano incide una canzone importante come “Sabato triste” e un 33 giri “A New Orleans” che contiene oltre a “24000 baci”, “Si è spento il sole” che eserciterà una poderosa forza di suggestione in quello che possiamo definire l’ascolto sociale della musica negli ultimi cinquant’anni. Sempre del 1963 è “Grazie, prego, scusi”, canzone d’ambientazione e recitazione (oltre che di tango)…
(Luigi Manconi)
[Nel 1966 a Sanremo] Celentano fu escluso dalla finale (…) ma Tv7 di Brando Giordani ed Emilio Ravel, che ne avevano capito la genialità, trasmisero il lunedì seguente la canzone esclusa dal Festival, decretandone l’eterno successo.
(Mimma Gaspari)
[A Sanremo] oltre ad Adriano che se la cava benino, la canzone è interpretata da un trio di sciagurati: il grosso Santercole, lo spilungone Pilade, il brevilineo Cerutti che cantando ondeggiano da destra a sinistra e ritorno come gli avventori dei keller bavaresi dopo un boccale di birra in più (…)
(Umberto Simonetta)
Quella di Celentano è una canzone bellissima. Se non ci fosse stato quel Trio ad accompagnarlo…
(Gigliola Cinquetti)
Forse, se l’avesse cantata soltanto il suo autore, la canzone sarebbe riuscita a ottenere l’ingresso alla serata finale: così invece suscita un’impressione desolante e viene bocciata. Quando bussa al camerino del fratello, Sandro ha il viso stravolto. I giornalisti specializzati che lo seguono numerosi si preparano a gustare e a riprendere la scena della morte del leone. Adriano si comporta con lodevole fierezza: non ha le crisi di pianto di Bobby Solo, non gli abbandoni isterici delle reginette dell’urlo: accende una delle rarissime sigarette della sua vita, sorride, fa appello a tutto il suo stoicismo: “E va be’, pazienza, non è mica morto nessuno. Di dischi ne venderò moltissimi lo stesso. No, non credo che sono finito”. Sandro ha le lacrime agli occhi, Miki Del Prete è giù in sala e fra poco verrà fermato per schiamazzi di protesta, i giornalisti sorridono anche loro, increduli e impietosi, si sente qualche parola di vuoto incoraggiamento: sembra di assistere alle ultime volontà del condannato alla sedia elettrica. L’unico a essere sicuro è lui: “Non sono finito”, ripete ancora due o tre volte, testardo. I mesi che seguono gli daranno ragione. “il ragazzo della via Gluck” sarà il disco più venduto dell’anno, diffuso in tutto il mondo, tradotto in ventidue lingue compresi, e non è un tocco pittoresco, alcuni dialetti curdi pachistani malesi, e renderà al suo autore e interprete svariate centinaia di milioni.
(Umberto Simonetta)
Fortuna volle che egli [Luciano Beretta] stesse cercando una musica per una canzone fatta su misura per Celentano e la moglie i quali, allora, volevano creare un duo. Scrissi perciò la musica per quel testo di circostanza: dopo una settimana era in testa alle classifiche e trasmessa a tutte le ore.
(Paolo Conte, a proposito de “La coppia più bella del mondo”)
Il giorno in cui Celentano registrò ‘Azzurro’, portai a casa una copia del provino. Era tardi, ma mia madre era ancora alzata. Andammo tutti e due in cucina e accesi il magnetofono. Mia madre si mise a piangere. Mi domando ancora adesso quanto ci fosse, in quelle lacrime, di passato o di futuro.
(Paolo Conte)
Sono felice che la mia “Non credere” sia entrata in hit-parade, ma non credo che sarà mai prima. Battere Celentano con “Storia d’amore” è impossibile. Che genio quel ragazzo! Che mostro di musicalità, di idee; gli voglio bene come fosse un fratello.
(Mina)
La politica non c’entra, spiega Luciano Beretta. [Chi non lavora non fa l’amore, vincitrice del Festival di Sanremo nel 1970] è una storia alla milanese: una mano sul cuore e una sul portafoglio. Come dire: caro padrone, dammi l’aumento perché ho anch’io diritto di vivere in pace con mia moglie come tu fai con la tua.
(Luciano Beretta)
Appena cantato “Chi non lavora non fa l’amore”, Celentano se n’era andato, l’altra sera, dalla porta di servizio, privilegio che gli è riservato ogni volta che viene a Sanremo. E’ rientrato poco dopo in sala da trionfatore (…). L’altra notte, dopo la vittoria, si è visto un Celentano diverso dal solito, emozionato…
(La Stampa)
Ho vinto grazie a Claudia.
(Adriano Celentano)
Celentano stava attraversando un periodo di grande successo, con brani che sistematicamente scalavano la Hit Parade. Nello stesso anno aveva realizzato anche un brano ecologista e impegnato come Un albero di trenta piani, in cui Celentano attaccava la speculazione edilizia, protestava contro l’ inquinamento e se la prendeva soprattutto con il grattacielo Pirelli di Milano, una struttura che, per l’ appunto, era fatta di 30 piani. Brano che faceva parte di un album interamente dedicato a temi scottanti, intitolato programmaticamente I mali del secolo. Fu una sorpresa, dunque, ascoltare il 3 novembre del 1972, un brano che non voleva dire nulla, che non aveva un testo in nessuna lingua, che apparentemente non aveva alcun messaggio. Però quella canzone ebbe un grandissimo successo e diventò uno dei classici del repertorio di Celentano.
(Ernesto Assante)
Quel giorno ero in sala d’incisione, stavamo registrando la base di un brano da me composto dal titolo Disk Jockey. E come sempre accade, curavo personalmente i colori degli strumenti. Quello sul quale mi soffermai di più, fu quello della batteria. Il batterista era un tedesco, molto bravo. Gli feci allentare la pelle del tamburello in modo che il colpo sul rullante risultasse di tono più basso e più sconquassante, quasi come se il colpo si rompesse. La stessa cosa feci con la chitarra e con il resto degli strumenti. Finalmente quando tutto funzionava alla perfezione e il colpo del tedesco era perfetto come una vera e propria macchina da combattimento, (perché questa era l’ impressione che mi suggeriva il brano) sovrapposi la voce. Come al solito i miei dischi non finiscono mai con un finale preciso, e anche in quel caso lasciai alla batteria il compito di chiudere il pezzo. Fu a quel punto che dissi al bravissimo e simpatico tecnico, Gualtiero Berlinghini, di farmi un anello di quel finale che durasse circa quattro minuti e di mettermelo da parte perché intendevo con quel finale fare un nuovo pezzo. Tutto era pronto. Dissi a Gualtiero di mandarmi in cuffia quell’ anello che si ripeteva per quattro minuti. Cominciai quindi a improvvisare con la voce il suono di un qualcosa che evidentemente avevo dentro fin dalla nascita. Un ritmo che in qualche modo sentivo che dovevo tirar fuori. Fu così che nacque Prisenconilnensinainciusol.
(Adriano Celentano)
Quando venne pubblicata nel 1972, Celentano spiega che non fu capita. Ma questo non gli impedì di ricantarla molti anno dopo nella televisione italiana. La seconda volta fece effetto: divenne immediatamente n°1 in Italia, così come in Francia, Germania e Belgio.
(tratto dal sito della NPR, la radio pubblica americana)
Il film [Yuppi Du] tra il biografico e il visionario prende il via nei giorni dell’Italicus. Adriano lo gira con entusiasmo naïf rispondendo sublime alle dotte domande di Gianluigi Rondi: “Si è ispirato a Jodorowsky?” “Non saprei, io non distinguo Jodorowsky da Dostoevskj”.
(Malcom Pagani)
Adriano Celentano, divo della canzone, è da oggi un autore di cinema. Sono forse il primo a stupirsene, ma è così. È un autore “serio”, da accogliere con soddisfazione, senza troppe riserve, Yuppi Du lo laurea, lo consacra. Non è un film perfetto, intendiamoci, ma è un film ricco, composito, estroso, con un senso felicissimo dello spettacolo, sia musicale sia teatrale; e con molte intuizioni cinematografiche, linguistiche, tecniche (…). è un film ricco, composito, estroso, con un senso felicissimo dello spettacolo, sia musicale sia teatrale; e con molte intuizioni cinematografiche, linguistiche, tecniche. (…)
Una ballata tutta umori e sapori, visivamente interpretata con un susseguirsi continuo di situazioni sceniche e di trovate narrative che l’infiammano di vitalità, di vivacità e anche di cultura. (…)
Un gusto ora pop ora abilmente naif che, con il suo candore premeditato e entusiasta, sana i contrasti, addolcisce le contraddizioni, riconducendo tutto, o quasi (cinema, teatro, musica, balletto), a unità di spettacolo.
(Gian Luigi Rondi)
Celentano è uno dei talenti più originali che abbia mai incontrato. Lui non parlava l’inglese, io non capivo l’italiano: ci intendevamo lo stesso. Girare “Yuppi Du”, un film ancora fresco, è stato come entrare in una favola.
(Charlotte Rampling)
Durante la Notte delle stelle, al Teatro Greco di Taormina, ripresa da Raiuno alla fine di luglio [1976], Adriano si presenta vestito di bianco e canta Svalutation fra il tripudio della folla.
(Aldo Fittante)
Geppo il Folle e’ un film che non puo’ essere raccontato senza renderne lo spessore, un’opera diseguale e velleitaria ma “diversa” che non si puo’ inquadrare nei canoni usuali. Celentano, al di la’ delle spacconate semiserie, e’ uno che si prende il lusso di rischiare miliardi per dare corpo non solo alla fantasia ma anche alle sue convinzioni di uomo e di artista. Nel panorama che ci circonda e’ un “isolato” che non cerca scorciatoie, e che della sua creativita’ ha fatto il suo modo di vivere.
(Alfio Cantelli)
Caso quasi unico nella storia del cinema, nelle scene di massa allo stadio le comparse pagarono per apparire nel film del loro idolo.
(Paolo Mereghetti)
Nel 1979 (…) il Molleggiato (…) ha l’intuizione di affidarsi alla coppia di autori che tanti anni prima avevano già lavorato occasionalmente per lui (‘Ahi! Che male mi fai’, interpretata dai Ragazzi della Via Gluck a Sanremo 1970): Cristiano Minellono (…) e Cutugno (…). Cutugno e Minellono immediatamente confezionano ‘Soli’, brano mirabilmente ‘celentanesco’ per costruzione e spirito.
(Galleria della canzone)
Io ho scritto canzoni per molti cantanti, e quando l’ho fatto ho sempre saputo che le mie canzoni andavano nelle mani giuste, che le avrebbero interpretate grandi cantanti… Ma con Adriano c’è qualcosa di più. Adriano è il più grande artista che l’Italia abbia mai avuto.
(Toto Cutugno)
Il 14 luglio ho festeggiato il quindicesimo anno di matrimonio con Claudia e ho pensato di dedicarle un disco: Soli. Non alludo a nulla di serio, ben inteso, il fatto è che si parla di crisi della coppia e ho voluto dire la mia.
(Adriano Celentano)
L’11 agosto 1979 ‘Soli’ entra nella hit parade dei singoli al n.8. In classifica ci sono ‘Ricominciamo’ di Pappalardo, ‘Balla’ di Umberto Balsamo, ‘Super superman’ di Miguel Bosè e, ai primi due posti, ‘Tu sei l’unica donna per me’ di Alan Sorrenti e ‘Gloria’ di Umberto Tozzi. Lentamente ma inesorabilmente, ‘Soli’ scala la classifica, e dopo quasi due mesi (il 29 settembre) scavalca Sorrenti e Bosè ed occupa il n.1, dove resterà sino al 3 novembre.
(Galleria della canzone)
Durante l’estate Celentano anticipa un’altra pratica che diverrà consuetudine: suonare e cantare negli stadi. Allo stadio San Paolo di Napoli fa il pienone (65000 spettatori), a Rimini si contano 50000 persone, a Torino 44000.
(Aldo Fittante)
Adriano Celentano è partito alle 13 da Linate verso i cieli azzurri della Russia, vincendo la sua nota antipatia per l’aereo: è andato, per la prima volta nella sua vita e nella sua carriera, a Mosca, dove è atteso da circa vent’anni, per lanciare il suo Joan Lui e tenere finalmente due concerti al Palazzetto dello sport.
(Maurizio Porro, a proposito del viaggio in Russia di Adriano nel 1987)
I suoi show hanno scardinato lo spettacolo televisivo da quando nel 1987 il “molleggiato” demolì Fantastico 8, spettacolo di prima serata, con le sue incursioni surreali e i lunghi silenzi. Adriano ha teorizzato in tanti suoi programmi un set-teatro dalla profondità multi-prospettica, dove la telecamera assume diversi punti di vista, la luce non appiattisce la scena ma crea ombre e misteriosi angoli bui. Quel che chiameranno “istinto”, è invece il frutto di una grandissima cultura del movimento, dell’immagine, del montaggio e dei tempi di recitazione che Adriano ha appreso facendo cinema. Non solo come attore, ma come regista. Il suo “Yuppi Du” è considerato un capolavoro ed è stato presentato alla Mostra di Venezia. Ma allora, nel 1987, la critica televisiva si accanì tutta contro il “re degli ignoranti”, e un solo giornale lo difese. Da quell’articolo uscito sul Manifesto è cominciata la nostra amicizia…
(Mariuccia Ciotta)
E’ un fatto che Celentano [con Fantastico] ha invecchiato tutti di cinquant’anni. E’ come se sulla strada per la quale ci eravamo sempre mossi Celentano avesse gettato un macigno.
(Brando Giordani)
Noi mostravamo molta attenzione verso l’esperimento di Celentano di cui apprezzavamo e condividevamo la rottura delle strutture convenzionali del discorso e quel tanto di aria di libertà e fantasia che, infranti gli argini che tenevano distinti i generi, furiosamente prendeva a circolare. In questa esperienza, anche per noi esaltante, trovavamo la conferma del nostro convincimento che occorreva andare al di là del senso comune che ancorava la televisione ai cosiddetti contenuti, trascurando il ruolo dei linguaggi… Grande era la spregiudicatezza e la ricchezza di accenti con cui Celentano scandiva la sua comunicazione con il pubblico. Celentano ci ha aiutato a capire quel che noi stessi maturavamo dentro e a cui stavamo per dare applicazione nell’organizzare la nostra offerta di rete? Forse (…). La nostra rete (…) qualche anno dopo, e precisamente nel 1992, gli assicurò un degno spazio nel proprio palinsesto con Svalutation. La trasmissione, che nasceva certo da quel Fantastico, rappresentava una lucida maturazione di quella esperienza che consentiva scelte non più affidate al caso e all’istinto.
(Angelo Guglielmi)
[Il titolo della trasmissione] lo ha scelto una collaboratrice del direttore Angelo Guglielmi, pensando ad una mia vecchia canzone centrata su una precedente crisi. Ma sembra scritta adesso. Oggi la potrei riscrivere tale e quale: la crisi si presenta sempre con gli stessi segni.
(Adriano Celentano)
Sono cattolico. Penso che Dio non sia quella pietra gelida che ci insegna la Chiesa, ma un’entità buona e giusta. Vado in Chiesa e faccio la comunione tutte le domeniche, ma questo non significa che debba approvare quello che fa la Chiesa.
(Adriano Celentano)
Nella sua vita ha rischiato di risultare perfino blasfemo. Dovendo raccontare in un film le gesta di un Gesù moderno, lo ha ambientato in discoteca. Ma a suo modo Adriano Celentano la religione l’ ha vissuta da bravo credente, pur senza rinunciare alle sue idee. E oggi trova strane convergenze con la svolta impressa dalla Chiesa alla comunicazione verso i giovani. Lui, a Bologna il 27 proprio non poteva mancare e per esserci, dopo le polemiche, ha dovuto innestare una vistosa retromarcia. Allora, questa volta Celentano ha fatto il bravo ragazzo? “Ah sì, più bravo di così cosa devo fare? Ho soppresso tutte le possibili punte di orgoglio che un uomo può avere, anche le più piccole. Però devo dire che dal momento in cui ho deciso di fare retromarcia, mi sono sentito liberato”. Ma davvero è successo, come si dice, mentre ascoltava la messa? “Sì, nel duomo di Lecco. Il parroco non sapeva neanche che ero lì, ma ha letto quel passo del Vangelo in cui Gesù dice: se volete seguirmi dovete rinnegare voi stessi. Mi è bastato. Anche perché sentivo che avevo ragione con gli uomini ma c’era un riguardo per l’ Altissimo…”
(Adriano intervistato da Gino Castaldo per Repubblica)
Più o meno alle 21, è andato in onda su Raiuno il temuto RockPolitik di Celentano: scenografia di Gaetano Castelli che vuol rappresentare (crediamo) l’intero mondo di oggi e di ieri e la confusione nella quale viviamo, tre sedie vuote, che attendono i censurati Rai di Berlusconi – cioè Biagi, Grillo e Luttazzi -, foto di Biagi e scritta con le sue parole: “Grazie per l’invito, ma non posso entrare nella rete che mi ha impedito di lavorare”. Il quarto invitato era Michele Santoro che aveva fatto sapere di essersi dimesso dall’Europarlamento per poter partecipare al programma. Eccolo arrivare, infatti, impacciato, parla un italiano zoppicante, dà l’impressione di avere un groppo in gola. Non nomina Berlusconi, dice che tornerà presto in video, invita i “suoi” a prepararsi, poi esclama: “Viva la fratellanza, l’uguaglianza, viva la cultura, viva la libertà”. Dopo di lui il comico Cornacchione fa finta di essere un berlusconiano doc e ridicolizza il Cavaliere, Maurizio Crozza sulla musica di Bamboleo canta “Ho sognato Che Guevara e c’è Bordon” e realizza così una specie di par condicio. Celentano fa vedere una classifica dell’associazione Freedom of the Press, dalla quale l’Italia risulta un paese semilibero, che occupa il 77° posto nella graduatoria mondiale della libertà di stampa. Il cantante va a chiedere ad Alfredo Meocci, direttore generale della Rai, seduto in prima fila, se si sente tranquillo. Meocci: “Stasera l’Italia è salita nella classifica della libertà. Hai attaccato Raiuno e siamo su Raiuno”. L’atteso, tradizionale monologo delle 22.30 mette insieme bambini, ecologia, illuminismo, bruttezza e bellezza, eccetera. Durissimo attacco ad Albertini, sindaco di Milano. Tutto il programma viene giocato sulla distinzione tra ciò che è rock, cioè bello, e ciò che è lento, cioè brutto (…). Ascolti mostruosi: più del 47 per cento di share, undici milioni e seicentomila spettatori di media, distribuiti tra tutte le fasce d’età. Numeri che non si vedevano dal Fantastico 8 del 1987.
(Giorgio Dell’Arti)
La bravura dirompente di Roberto Benigni, che con Celentano a fianco ha regalato giovedì scorso quarantacinque minuti di televisione che sono già culto, hanno spazzato via tutte le possibilità della destra di poter distinguere sul diritto di satira e sul diritto di informazione. Quei quarantacinque minuti ci hanno ricordato che la battaglia sulla qualità della televisione non è persa e che un’altra televisione è possibile.
(Gianni Minà)
E’ sbagliato dire che adesso è di sinistra, mentre prima lo consideravano un eroe del qualunquismo destrorso. La verità è che vince il suo linguaggio, la capacità di mischiare generi, fare “situazioni”, detto alla Debord.
(Angelo Guglielmi)
“E’ stata un po’ dura preparami per questi due concerti, non mi ricordavo più i testi delle canzoni, 18 anni sono tanti. Qui a Verona andavo in giro e la gente mi vedeva che parlavo da solo, ripassavo le parole, e a volte scambiavo un testo con un altro”: così Adriano Celentano nella seconda serata di Rock Economy, in diretta su Canale 5 dall’Arena di Verona. Il Molleggiato quindi attacca con un’alternanza di alcuni versi di Ringo, che nel ’66 fu usata per una pubblicità di una nota carne in scatola, e della struggente Viola, altro suo grande successo datato 1970. Imbraccia la chitarra e gli basta intonare le prime due note del Ragazzo della via Gluck per scatenare il delirio dell’Arena gremita (persone di tutte le età e anche tanti sosia, o presunti tali, del Molleggiato), che canta all’unisono un pezzo diventato simbolo della lotta alla cementificazione delle città e della difesa dell’ambiente.
(Ansa del 10 ottobre 2012)
La seconda serata di ‘Rock Economy’ ha migliorato su Canale 5 la performance della prima, ottenendo 9.338.000 spettatori con il 30.74% di share nella prima parte, 9.124.000 con il 32.70% nella seconda, e 8.653.000 con il 38.54% nella terza. La media delle tre parti è stata di 9.112.000 con il 32.80%.
(ibidem)
Sono quasi quattromila (3.897 per la precisione) le canzoni (italiane e straniere) che nel corso dei 55 anni che vanno dal 1959 al 2014 sono entrate nella top ten, cioè nelle prime dieci posizioni delle classifiche di vendita in Italia (…). La classifica per interpreti vede al primo posto Adriano Celentano con 17 brani in top ten…
(da uno studio di Stefano Cilio pubblicato nel volume “Mezzo secolo di ritornelli”)
Con l’ormai imminente album Le Migliori che – ci vuol poco a prevederlo – balzerà al primo posto in classifica con la stessa perentoria rapidità con cui la strepitosa Amami amami è volata nel giro di poche ore in cima alla graduatoria dei brani più scaricati su iTunes, Mina e Adriano Celentano stabiliranno un record senza precedenti nel nostro Paese e con pochissimi eguali nella storia del pop planetario: saranno, cioè, i due soli artisti italiani di ogni tempo ad aver conquistato – con uno o più dischi – la prima posizione della hit parade in ben sette decadi differenti, partendo da quel mitico 1959 in cui il Molleggiato fu per la prima volta number one con Il tuo bacio è come un rock seguito poche settimane dopo dal felino balzo in vetta di Tintarella di luna della sua amica Baby Gate.
(Loris Biazzetti, Mina Fan Club)
Antonio