La Festa della Liberazione e quell’aneddoto su Adriano Celentano
Vi auguriamo buona Festa della Liberazione con questo significativo aneddoto su Adriano, risalente ai prima anni di carriera, riportato da Umberto Simonetta nel suo libro Celentano, pubblicato per la prima volta nel 1966:
Le nove e mezzo di sera, una sera come un’altra. Davanti all’entrata del baretto, illuminata dall’insegna al neon che reclamizza una birra non tanto buona, molte macchine: vetture sportive di grossa cilindrata, di quelle che Adriano ha sempre sognato, o piccole ma veloci e super-compresse, modelli non recentissimi, chiaramente di seconda mano (…) E’ un caffè di media periferia, anonimo e discreto. Nulla di pittoresco. Dentro, attorno al banco e seduti ai tavolini, un gruppo di giovanotti in maglietta vivace e gabardine ultimo taglio discutono animosamente aspettando l’ora di scendere sotto dove si balla. Sono, soprattutto si illudono di essere, la crème della Milano-male. Protettori o aspiranti tali, ricettatori di mezza tacca, ladruncoli da salumeria, magliari di complemento, neofiti della truffa, bari più volenterosi che abili che si confondono e talvolta arrosiscono al momento di tirar fuori l’asso della manica, scommettitori e abituali clienti della pelota di via Palermo, dell’ippodromo, dei tabarin di quart’ordine, disoccupati senza una lira tonda in tasca che attendono da sempre l’offerta di una solida rappresentanza (…) Tutti con la loro bella fedina macchiata e tutti furbi. Chi non è furbo è un fesso e la legge del baretto gli impone di soccombere. A guardarli bene in faccia, uno per uno, a seguire le loro parole, i loro movimenti, si avverte subito che non hanno nulla a che spartire con i personaggi di Jean Genet: la componente anarchico-romantica qui non esiste, l’aureola picaresca non li sfiora. Discutono. E, per una volta, non di sport, di donnine di infima virtù, di colpi magici. Parlano di politica. Adriano non s’intromette: ascolta. La televisione sta trasmettendo un programma sulla Resistenza, il momento è favorevole.
Improntata a un generico qualunquismo la conversazione assume via via contorni più precisi e definiti. Dal “si stava meglio quando si stava peggio”, pronunciato con tono sicuro da un giovanotto ventenne con il ciuffo arrogante e le unghie sporche, si passa a visioni terapeutiche più concrete e di maggior impegno: l’Italia va male, una rovina, scandali, soprusi, partite di calcio comprate dalla Juventus, commemorazioni troppo lunghe e fuori posto: uno sfacelo.
“Ci vuole un uomo nuovo, un uomo forte”, esclama un ragazzotto con le spalle larghe la fronte stretta gli occhi senza luce. E tutti che approvano e fan cenno di sì, addolorati, si direbbe, dalla brutta piega che stanno prendendo gli avvenimenti interni.
“Bisogna ripulire la nazione”, segue un altro, con uno stuzzicadenti infilato in bocca. Han l’aria di scoprire importanti novità.
Un biondino elegante, cravatta e fazzoletto del taschino in nuance come i gangster degli anni ruggenti, tira fuori un portachiavi d’oro e comincia giocherellarci con finta indifferenza, in attesa di poter dire la sua. “Io”, comincia poi, nel mezzo silenzio che s’è creato, “l’estate scorsa sono andato a Cannes: che ci avevo un giro lì che mi interessava… Be’, vi posso giurare una cosa, che ho parlato anche con degli stranieri: quando c’era Mussolini noialtri all’estero eravamo più rispettati…”
“Più temuti…” aggiunge un ex giovane con la pancia, la maglietta di flanella aderente, l’abbronzatura da Idroscalo.
“E’ vero, è vero”, assicura un magrolino spaurito, specializzato nei furti alle automobili in sosta, “anche le donne ci davano più retta: l’italiano lo consideravano più virile. Più maschio.”
“E’ una vergogna!” s’indigna un diciottenne che s’è fatta una certa fama come conquistatore di donne sposate, nelle balere domenicali. Amore e mancia, s’intende.
“Bisogna fare qualcosa!” propone il biondino elegante.
E tutti di nuovo che fan cenno di sì e assumono espressioni decise. Pronti a passare all’azione se non fosse che sotto l’orchestra ha cominciato a suonare e c’è già qualche ragazza che attende in pista. Eppoi meglio non correre rischi inutili. La seconda marcia su Roma viene rimandata e Adriano che è sempre stato zitto scende anche lui per prendere il suo posto di cantante. Qualche anno dopo quando qualcuno tenterà di convincerlo a votare per il Movimento sociale si ricorderà improvvisamente di quella sera al baretto di Corso Buenos Aires e risponde che non se la sente: non è il suo partito.
Antonio