Le radici profonde di una canzone italiana che sembra inglese (ma è solo nonsense)
Traduzione dell’articolo di Vittoria Traverso, pubblicato il 25 gennaio dal sito americano Atlas Obscura:
Prima che i bambini imparino a parlare correttamente, passano attraverso un periodo di imitazione dei suoni che ascoltano, con risultati occasionalmente esilaranti, almeno per i loro genitori (…) Ma non sono solo i bambini a imitare i suoni della lingua parlata. C’è una lunga tradizione di canzoni che “suonano” come un’altra lingua senza che in realtà dicano nulla. In Italia, ad esempio, a partire dagli anni ’50, canzoni, film e jingle americani hanno ispirato una vasta gamma di prodotti culturali “dal suono americano”.
Il più famoso è probabilmente Prisencolinensinainciusol, una canzone del 1972 composta dal leggendario artista italiano Adriano Celentano e interpretata da lui e da sua moglie, Claudia Mori. Il testo della canzone suona foneticamente come l’inglese americano – o almeno come ciò che molti italiani sentono quando parla un americano – ma in realtà è chiaramente delizioso, totale nonsense.
Prisencolinensinainciusol non ebbe successo al momento del rilascio, ma nel 1973 – dopo che Celentano la eseguì sull’emittente pubblica italiana RAI – la canzone arrivò in cima alle classifiche in Italia, Francia, Belgio e Olanda.
È stata riscoperta nell’era di YouTube, quando nel 2010 Cory Doctorow di Boingboing ha descritto un video della canzone come “uno dei video più bizzarri trovati su internet” e il settantaduenne Celentano è stato intervistato in una puntata di All Things Considered della National Public Radio. “Sin da quando ho iniziato a cantare, sono stato molto influenzato dalla musica americana e da tutto ciò che gli americani hanno fatto”, ha detto Celentano.
Non era l’unico. Dopo la seconda guerra mondiale, la cultura americana ha iniziato a esercitare la sua influenza in molte parti d’Europa. Il fenomeno fu particolarmente forte in Italia, dove l’arrivo delle truppe americane a Roma nel giugno del 1944 contribuì alla liberazione del paese dal fascismo.
L'”americanizzazione” è stata catturata in film come Un Americano a Roma del 1954, in cui l’attore italiano Alberto Sordi interpreta un giovane romano ossessionato dagli Stati Uniti. Cerca di imitare gli americani nella sua vita quotidiana, e una delle scene più famose lo vede scambiare vino rosso con latte.
Al tempo in cui venne pubblicata la canzone di Celentano, il suono dell’inglese americano aveva “contaminato” la cultura italiana per decenni. Il linguista Giuseppe Antonelli ha analizzato le canzoni pop italiane prodotte tra il 1958 e il 2007 e ha rivelato i modi in cui i cantanti italiani hanno incorporato i suoni americani nella loro musica.
Un modo era usare in maniera intermittente parole inglesi, con preferenza per i termini alla moda. L’esempio più notevole è Tu vuo ‘fa l’americano, una canzone del 1956 di Renato Carosone su un giovane napoletano che cerca di impressionare una ragazza.
La canzone, presente nel film del 1999 Il Talento di Mr. Ripley, menziona “baseball”, “rock ‘n’ roll” e “whiskey and soda”, che non solo “suonano americane” ma evocano anche una sorta di aspirazione allo stile di vita americano. Altre canzoni alternavano frasi in entrambe le lingue, e altre ancora, come Kiss Me, Kiss Me di Bruno Martino del 1959, erano cantate per metà in inglese e metà in italiano.
Allo stesso modo, negli anni ’60 c’era una tendenza delle band anglofone a cantare in italiano con forte accento inglese. Entrambi i fenomeni hanno prodotto un suono ibrido simile, a cui gli italiani hanno risposto. Secondo Francesco Ciabattoni, che insegna cultura e letteratura italiana alla Georgetown University, questo genere pop anglo-italiano è cresciuto a causa dell’interesse collettivo italiano per l’America, così come accadde per la British Invasion negli anni ’60. “Non sono sicuro di quali intenzioni avessero, ma i produttori devono aver capito che imitare i suoni inglesi e americani avrebbe fatto vendere più dischi”, dice. Anche la linguistica può aver avuto un ruolo. “La struttura fonetica dell’inglese lo rende più adatto alle canzoni rock o pop rispetto all’italiano”, aggiunge.
“La musica rock o pop è spesso arrangiata in tempo semplice, un pattern ritmico composto da quattro battute con enfasi sulla seconda e sulla quarta”, afferma Simone Lenzi, scrittore e frontman italiano della rock band toscana Virginiana Miller. “Questo schema si sposa molto bene con la lingua inglese, che è composta principalmente da parole brevi e monosillabiche che possono essere facilmente disposte su quattro battute.” L’italiano, d’altra parte, è composto in gran parte da parole più lunghe – solo il 2% circa delle parole più usate sono monosillabiche, rendendolo più adatto alle arie che al rock o al pop. Ad esempio, la canzone You got a fast car di Tracy Chapman si traduce in “Tu hai una macchina veloce”.
Questo non vuol dire che non ci sia una vasta gamma di musica popolare cantata in italiano, ma Celentano ha espresso la sua preferenza quando ha parlato della sua creazione alla NPR. “Quindi ad un certo punto, visto che mi piace il gergo americano – che, per un cantante, è molto più facile da cantare dell’italiano – ho pensato che avrei scritto una canzone che avrebbe avuto come tema l’incapacità di comunicare”, ha detto . “E per fare questo, ho dovuto scrivere una canzone in cui i testi non significano nulla.”
Ma le radici della canzone di Celentano sono ancora più antiche. “Prima di Celentano, la creazione di un linguaggio senza senso era già stata fatta da Dante e dai comici medievali”, dice Simone Marchesi, che insegna letteratura medievale francese e italiana all’Università di Princeton. E quella pratica, spiega Marchesi, risale addirittura all’Antico Testamento.
Il passo della Genesi 11: 1-9 dice che dopo l’alluvione, la popolazione della terra, dove tutti parlavano la stessa lingua, fondò la città di Babele e progettò di costruire una torre così alta da raggiungere il cielo. In reazione a questo atto di arroganza, Dio decise di confondere gli umani creando lingue diverse in modo che non potessero più capirsi l’un l’altro.
E così, nella Divina Commedia di Dante, l’autore incontra un gigante di nome Nimrod accanto al nono cerchio dell’inferno. Negli scritti non canonici, Nimrod è associato alla costruzione della Torre di Babele. Si avvicina a Dante e Virgilio e dice “Raphèl maí amècche zabí almi”, una serie di parole senza significato ma che, secondo alcuni studiosi, assomiglia un po’ all’antico ebraico. Nimrod parla una lingua senza senso, come risultato della punizione divina. Ecco perché, spiega Marchesi, le lingue senza senso erano tradizionalmente associate al peccato. “Il periodo medievale era caratterizzato da una divisione in aspetti ‘alti’ della vita, associati ai cieli, e aspetti ‘bassi’ associati all’esistenza carnale, animale: il regno del peccato.” Per il linguaggio, la parte alta erano i “significanti” – i concetti che la lingua trasmette – e la parte bassa erano i “segni” – i suoni e i simboli che rappresentano quei concetti.
Ne consegue che il linguaggio divino, puramente ideale, non richiede alcun suono, che è il modo in cui gli angeli della Divina Commedia comunicano. La lingua inferiore, d’altra parte, sarebbe radicata nella materialità dei peccatori mortali: il suono puro. “E cosa succede quando il linguaggio diventa suono puro?” Dice Marchesi. “Hai bisogno del corpo. È il linguaggio dei mimi, è un linguaggio di rappresentazione. “Infatti, comici e giullari nel Medioevo ricorrevano a suoni inventati per raccontare storie oscene e audaci e storie sulla fame, sulle malattie e su altri soggetti bassi“.
Un esempio di questo è il Grammelot, un linguaggio reso popolare dalla Commedia dell’arte: una forma teatrale che è sorta in Italia nel XVI secolo e successivamente si è diffusa in Europa. Il grammelot è stato utilizzato da artisti itineranti per fare in modo che sembrasse che si esibissero in una lingua locale usando in realtà parole maccheroniche e suoni onomatopeici insieme alla mimica. Dario Fo, drammaturgo e attore italiano che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1997, ha utilizzato il Grammelot nel suo spettacolo Mistero Buffo.
“Anche Charlie Chaplin ha fatto qualcosa del genere”, sottolinea Marchesi. Il film del 1936 Tempi Moderni vede il comico esibirsi in una canzone che suona come un mix di italiano e francese, ma che in realtà non significa assolutamente nulla. “Canta dell’amore, si può dare un senso attraverso la performance, anche se i suoni un senso non ce l’hanno”, dice Marchesi.
Così, millenni dopo Babele, secoli dopo Dante, e qualche decennio dopo Chaplin, Celentano ha offerto la sua versione di questo elemento classico dello spettacolo. “Quando ho ascoltato per la prima volta la canzone di Celentano sono rimasta molto impressionata dalla sua americanità“, dice Arielle Saiber, professoressa di lingue e letterature al Bowdoin College. “In particolare enfatizza il suono nasale americano, borbottante, elaborato, che è diverso da quello pulito dell’inglese britannico o dell’italiano melodico.”
In effetti, sembra che Celentano abbia seguito il consiglio sul Grammelot che Fo ha offerto nel suo libro The Tricks of the Trade:
Per eseguire una narrazione in Grammelot, è importante avere a disposizione un repertorio degli stereotipi tonali e sonori più familiari di una lingua e stabilire chiaramente i ritmi e le cadenze della lingua a cui si desidera fare riferimento.
E Celentano ha certamente ripreso i ritmi e le cadenze americane degli anni ’60. “Celentano ha catturato i suoni stereotipati americani di quel periodo da film e canzoni rock, proprio come i comici teatrali della Commedia dell’arte del 1600 che imitavano un linguaggio colloquiale e regionale”, dice Saiber.
E’ importante anche – aggiungeva Fo – informare il pubblico di ciò che caratterizzerà la performance Grammelot. Così nella sua esibizione televisiva del 1972, Celentano introduce Prisencolinensinainciusol come l’unica parola che può esprimere l’amore universale. Se queste regole vengono seguite, scrive Fo, il mondo immaginario creato dall’artista avrà perfettamente senso per quel pubblico in quel tempo e in quel luogo.
Quindi: Prisencolinensinainciusol ha senso per voi?
25/01/2018 – Atlas Obscura (www.atlasobscura.com)